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 2022  aprile 14 Giovedì calendario

Manet ora è maschilista

Il meraviglioso Un Bar aux Folies Bergère di Édouard Manet è un quadro maschilista? O contiene elementi misogini? La polemica, anzi la culture war, è scoppiata in queste ore in Inghilterra dopo una controversa decisione della Courtauld Gallery di Londra. Che, nel maestoso complesso di Somerset House sul Tamigi, conserva la più grande e straordinaria collezione impressionista nella capitale britannica, oltre a un’imperdibile mostra in corso sugli autoritratti di Van Gogh. Ma, in questi giorni, la Courtauld ha apportato anche una modifica alla descrizione di Un Bar aux Folies Bergère del leggendario pittore francese, che ha destato critiche.
Nella nuova targhetta sotto il capolavoro del 1882, infatti, ora c’è una novità: i curatori sottolineano come la donna protagonista dell’opera, ossia Suzon – barista del locale frequentato da prostitute, clienti e protettori a Parigi – abbia uno «sguardo enigmatico». Ciò perché, secondo la galleria, la giovane è probabilmente «turbata» dall’interazione di uno «sguardo maschile» nella parte destra del quadro, mentre viene riflesso dallo specchio alle spalle di Suzon. Interpretazione che non è piaciuta a molti. I tabloid si sono scatenati, accusando ancora una volta “l’ideologia woke”, ossia quell’ipersensibilità e attivismo – eccessivi e controproducenti secondo i suoi critici – per la difesa dei diritti e dell’immagine delle minoranze e dei gruppi etnici. Addirittura il Daily Mail ha preparato una lista di celebri dipinti che potrebbero essere presto messi all’indice woke: «Magari i vegani vorranno censurare Figure with Meat di Francis Bacon per le carcasse animali ai lati di Papa Innocenzo X? O magari cancellare l’autoritratto del 1889 di Van Gogh, con l’orecchio fasciato dopo esserselo mozzato, «per non incitare atti di autolesionismo?».
Provocazioni, certo. Ma il problema rimane secondo la storica inglese Ruth Millington, autrice di un libro sulle “muse” che hanno ispirato i capolavori dell’arte mondiale. «Questa lettura che cerca di additare misoginia nell’opera di Manet è fuorviante», ha dichiarato la studiosa al Telegraph. È vero che negli anni una lettura critica di Un Bar aux Folies Bergère ha spesso considerato Suzon oggetto di richieste del cliente uomo, possibilmente non solo di alcolici, dato il contesto. Ma per Millington, «oggi la vera misoginia è invece proprio cercare di spostare l’attenzione sullo sguardo dell’uomo. Mentre la protagonista indiscussa dell’opera è una donna. Suzon viene così sminuita da questa ossessione anti-maschilista dei curatori. È ora di smetterla di intrappolare le muse dell’arte in questi schemi».
In nome del politically correct, nel frattempo, la Courtauld ha cambiato anche altre descrizioni di opere. Per esempio, a un altro colosso francese della pittura come Paul Gauguin, viene associata la colpa di «aver approfittato della sua posizione di colonizzatore europeo» a Tahiti. Mentre vicino al dipintoTe Rerioa del 1897, ora si legge: «Quadro allora destinato al pubblico europeo bianco» attraverso «l’esorcizzazione» del popolo della Polinesia. Anche le stesse memorie di Gauguin recentemente acquisite dal museo, Avant et Après, vengono caratterizzate come «piene di esempi di razzismo e misoginia».
Rivisitazioni che turbano gli osservatori più tradizionalisti, per non parlare del recente dibattito sulle statue. Ma la Courtauld non è la sola. Perché vita e opere degli artisti problematici sono sempre più sotto la lente d’ingrandimento e di “etichette” nei musei. Dopo il MeToo, per esempio, i quadri di Balthus sono stati accusati di fomentare la pedofilia. O per rimanere in Inghilterra: in una sua recente mostra, la Tate Britain ha fatto mea culpa su «violenza sessuale, antisemitismo e razzismo» di William Hogarth e il museo l’anno scorso non ha riaperto il ristorante «per un dipinto schiavista» nelle sale. Oppure: l’eccezionale e potentissima mostra di Francis Bacon (fino a sabato) alla Royal Academy di Londra è stata bollinata dai curatori con un avvertimento: «Contenuti per adulti». Sarcastica la risposta di Millington: «Ma gli occidentali non sono oramai abituati a vedere dei nudi?».