La Stampa, 14 aprile 2022
Intervista a Gianluigi Buffon
Un romanzo lungo 1.131 partite, 501 completate senza prendere gol: la prima a 17 anni contro il Milan, l’ultima d’una serie apertissima a 44 contro la Reggina, sempre con la maglia del Parma. In mezzo 10 scudetti con la Juventus, la Ligue1 vinta con il Psg, la Coppa del mondo sollevata a Berlino, una collezione unica di record e trofei, la Serie B accettata e vinta in bianconero che considera tra le medaglie più belle. Gigi Buffon, dalla porta, ha visto il calcio e il mondo cambiare: il contropiede si chiama ripartenza, la playstation ha pensionato il biliardo nei ritiri, il pallone è diventato tecnologico e lui è sempre lì ad agguantarlo, deviarlo, respingerlo.
Buffon, come fa a fermare il tempo?
«Il segreto è sentire dentro l’orgoglio, il desiderio di poter essere speciale. Non ho mai voluto sentirmi ordinario, mi annoia la monotonia e sono nemico dei luoghi comuni: credo che siano gli altri a metterti dei limiti e tu finisci per seguirli. Io vado oltre con entusiasmo, confortato ovviamente dai riscontri del campo».
Ha appena rinnovato il contratto: giocherà almeno fino a 46 anni.
«Il Parma mi ha dimostrato fiducia: alla mia età, di solito, ogni giorno è un esame».
Per sperare nel sesto Mondiale, primato assoluto, le toccherà spegnere 48 candeline.
«Se l’Italia si fosse qualificata, non credo sarei stato convocato. La meritocrazia è dalla mia parte, ma ci sono altri discorsi cui dare precedenza e rispetto: considerate le scelte degli ultimi anni, è giusto così».
È il secondo Mondiale di fila senza Italia.
«Già nel 2010 in Sudafrica, dopo l’eliminazione con la Slovacchia, osservai che la globalizzazione stava cambiando valori e gerarchie e che avremmo dovuto cominciare a festeggiare anche le qualificazioni. Da allora abbiamo avuto illusioni, momenti di gloria come l’Europeo, ma non avevo sbagliato: caratterialmente siamo unici, perciò nelle difficoltà sappiamo far blocco e andare fuori giri, quando però c’è calma ci mancano qualità e spavalderia. Ipermotivati diamo il massimo, altrimenti possiamo perdere con chiunque».
Giusto andare avanti con Mancini?
«È stato l’artefice principale del rinascimento vissuto con l’Europeo, ma dopo una batosta così qualche responsabilità ce l’ha anche lui. C’è modo e modo di uscire, se perdi ai rigori con il Portogallo nessuno può rimproverarti, dopo la caduta con la Macedonia del Nord ripartire è più duro: alle prime difficoltà, potrebbero tornare i fantasmi, riaffiorare i capi di imputazione. Diciamo che l’equilibrio è sottile».
Cannavaro è rimasto colpito dalla rassegnazione.
«Condivido e da un certo punto di vista mi fa piacere: anni addietro avremmo assistito a gogne mediatiche, perciò rilevo nelle critiche soft una crescita del senso civico. Mi auguro, ovviamente, al di là delle reazioni, che chi occupa ruoli apicali nel calcio trovi la rabbia e le soluzioni per ripartire».
Anche Donnarumma, suo erede, è finito nel mirino...
«Il tempo e le prestazioni leniranno tutto. Certo, dopo momenti così non è più concessa nessuna sbavatura, ma ci siamo passati tutti : con la sua bravura non avrà altri impicci».
Un nome per la ripartenza?
«Tonali. Mi ha colpito la sua crescita».
Per lo scudetto è corsa a tre o a quattro?
«Assistiamo a campionato sui generis, di solito una squadra domina e altre la infastidiscono: quella che sembrava dominare era l’Inter, ma poi ha avuto diversi passaggi a vuoto, s’è rilanciata vincendo a Torino e adesso la rivedo favorita».
La Juve ha perso una chance.
«Se avesse vinto, lotterebbe a sua volta, ma questo è il campionato dei rimpianti. Anche l’Atalanta, con il ritmo degli anni scorsi, avrebbe potuto ambire al titolo».
Esteti o risultatisti: con chi si schiera?
«Ero un risultatista convinto, oggi non ho una risposta: dipende dal materiale umano, dalle responsabilità e dagli obiettivi, da quello che chiede la società all’allenatore».
Allegri è l’uomo giusto per ricostruire la Juventus?
«Il campo dice che il gruppo sta migliorando».
Quali attaccanti la impressionano oggi?
«Vlahovic è dominante per fisico, qualità, forza, rabbia. Mi piacciono Zapata e Lautaro. E Ibrahimovic che a 40 anni può vincere ancora da solo».
Dybala lascerà la Juve…
«Non me l’aspettavo, ma la società è stata onesta, diretta, spiegando che non è più funzionale al progetto. Non gli hanno rinnovato il contratto per questo, non certo perché lo ritengono scarso: Paulo troverà altrove l’opportunità di fare grandi cose, ma non vorrà dire che la Juve ha sbagliato».
Cosa le lascia questo ritorno in B con il Parma?
«Un po’ di incazzature perché le cose non sono andate come pensavamo: diciamo che è stato un anno utile per prendere la mira. E poi conferme che cercavo, perché ho fatto cose pregevoli. Divertimento. Emozioni forti. Avversari e stadi inediti come Terni, Cittadella, Cosenza. Alla fine, tra A e B non c’è così tanta differenza».
Quale partita, nella sua carriera infinita , rigiocherebbe per cambiare il risultato?
«Parma-Brescia 1-3, finale del Torneo di Viareggio ’96. Dopo10’ ci trovammo in 9 e ancora oggi, scherzando, rinfaccioquei due rossi a Trentalange ».
Quale vorrebbe rivivere?
«Real Madrid-Juventus 1-3, quella del rigore di Ronaldo in extremis. Siamo usciti dalla Champions, ma ho provato emozioni incredibili, mi sono sentito orgoglioso di essere capitano di quella Juve».
Martin Turk, il suo vice, è nato nel 2003: come si sta in uno spogliatoio di ragazzini?
«Lui veniva al mondo e io perdevo la finale di Champions con il Milan. È importante capire dove sei, con chi devi relazionarti. Non farei presa ammorbando con discorsi da vecchio saggio: punto sull’esempio e, per creare empatia, sulla condivisione anche di banalità, tipo il gioco della morra. Non mi viene difficile, è la mia natura, e mi aiuta a trovare una chiave di comunicazione».
Lei ha detto: "Con la testa sono già oltre il calcio".
«Ho tanti interessi e mi sento appagato quando imparo cose nuove. Negli ultimi mesi ho ripreso a studiare inglese. Ne parlavo con Ilaria: la conoscenza mi dà energia e benessere».
Ha definito Ilaria "Moglie, compagna e amica".
«Troviamo sempre il modo di essere felici. Sappiamo sorridere e scherzare. Oltre all’attrazione, c’è condivisione».
Louis Thomas, David Lee e Leopoldo Mattia, i suoi figli, indossano già i guantoni?
«Sono tutti portati per lo sport. Louis Thomas ha 15 anni e da un paio fa il portiere: è un ragazzo d’oro, gli manca quel pizzico di sana strafottenza che nel ruolo aiuta».
Nei giorni scorsi ha incontrato Vlad, 12 anni, portierino ucraino fuggito dalla guerra che sognava di conoscerla.
«È stato un momento intenso, di quelli in cui capisco d’essere fortunato, e mi chiedo se lo merito, perché con niente ho il potere di far felice un bimbo».