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 2022  aprile 14 Giovedì calendario

Intervista alla presidente della Rai Marinella Soldi

«Sì, rispetto agli editori privati, alle televisioni commerciali, la Rai ha e deve sentire una responsabilità in più». La presidente Marinella Soldi lo dice senza voler fare polemica, senza entrare in decisioni che non le competono, ma anche senza indugiare. Nel suo ufficio al settimo piano di viale Mazzini sono accesi i canali Rai. Lei ha fatto risintonizzare gli altri schermi su quelli internazionali. Perché è di questa rete che il servizio pubblico italiano dovrebbe sentirsi parte. È con l’estero, con le possibilità che ha di interagire fuori dal nostro Paese, che la tv pubblica dovrebbe misurarsi per crescere, cambiare, evolversi. In una parola, salvarsi: «Se non lavoriamo su questo oggi, se non intercettiamo il pubblico giovane che ci ha premiati davanti a Sanremo – e che probabilmente tornerà per Eurovision, dal 10 al 14 maggio prossimi a Torino – tra qualche anno ci saranno persone che non pagano il canone perché non sanno cos’è la Rai. A volte non ci rendiamo conto di quanto il cambiamento, davanti a cui molti resistono, sia urgente. È la nostra sfida e i nostri competitor sono anche Youtube, Netflix, Amazon, i social network».
Il cda ha parlato di un codice di regolamentazione per i talk show. Lo stesso ha fatto la commissione parlamentare di Vigilanza, che ha preparato una sorta di decalogo. Ha ragione una conduttrice come Bianca Berlinguer, a difendere la sua libertà di invitare e pagare opinionisti molto richiesti anche dalla concorrenza, o la televisione pubblica ha un ruolo diverso?
«Bisogna avere una visione più strategica, capire qual è il nostro compito in questo momento. Davanti al suo pubblico e a eventi come la guerra, la Rai deve tenere conto di una maggiore responsabilità. Non possiamo semplicemente replicare quel che c’è nel mercato. È molto importante mantenere il giusto equilibrio tra fatti e opinioni. Essere consapevoli di un contesto che è terribilmente grave, serio, tragico. Quindi ben venga l’attenzione della commissione di Vigilanza, ma dev’essere chiaro che una riflessione di questo genere non ha nulla a che fare con la censura».
Con cosa ha a che fare?
«Con il coraggio di superare l’immobilismo, la forza di cambiare. Dobbiamo reagire in maniera contemporanea al bisogno di informazione degli italiani. Qualsiasi servizio pubblico finanziato dai cittadini per definizione dev’essere accountable, responsabile e credibile».
Impressiona che ancora una volta sia la politica a dire alla Rai cosa fare. Da anni i governi giurano di volerla liberare dai partiti, senza mai farlo. Fino all’ultima nomina. Bisogna cambiare?
«Ci sono tantissimi modelli di governance per un servizio pubblico. Da noi è il Parlamento, che è l’editore, a scegliere il cda, per definizione quindi specchio della politica. Ma una cosa è avere un quadro di riferimento, una visione ampia e strategica che riflette quel che il Paese chiede con il voto; un’altra è vedere la politica coinvolta nella contingenza specifica, nella singola scelta. L’intromissione nelle specificità rende l’azienda molto più fragile».
Cos’altro la infragilisce?
«Ci sono dodicimila persone, qui da tantissimi anni, e vertici e cda che ogni tre anni cambiano. È come avere qualcuno in affido. Questa situazione crea una sorta di disincanto davanti ai cambiamenti. Non ho dubbi, e non lo dico per me ma per chi verrà dopo, che serva più continuità».
Cosa entrerà nel nuovo contratto di servizio?
«Le linee guida sono compito delle istituzioni. I temi su cui in Rai stiamo lavorando – con il Consiglio di amministrazione e in sintonia con l’ad – sono transizione digitale, sostenibilità, inclusione e credibilità dell’informazione. Ci si chiede spesso se il servizio pubblico debba essere solo specchio della società o incidere su di essa. Io credo sia così, che debba essere un motore di cambiamento culturale. È un processo lungo, ma avviato. Anzi, abbiamo appena creato una direzione sostenibilità e dopo un processo di selezione innovativo per la Rai abbiamo nominato Roberto Natale direttore e Micol Rigo vicedirettrice. Anche questo è un modo per connettere di più la Rai con le nuove generazioni, attente a temi spesso trascurati: penso all’ambiente, alla parità di genere».
Tra i suoi primi atti c’è la firma del memorandum di intesa No women no panel per favorire la presenza femminile nei dibattiti. A che punto è su questo la Rai?
«Abbiamo aderito qualche settimana fa al progetto 50:50 della Bbc, che si propone di portare gradualmente la presenza femminile, non solo in termini quantitativi, ma qualitativi, allo stesso livello di quella maschile. E sa qual è la cosa importante? Che cominciando a contare le presenze, automaticamente le cose migliorano. Si prende consapevolezza del problema e si cercano strade per risolverlo».
L’incantesimo di Sanremo ha portato alla Rai un pubblico giovane. Adesso a Torino ci sarà Eurovision, che punta a fare lo stesso.
«Vengo da Mtv, conosco il potere della musica e riconosco l’importanza che un evento come Sanremo ha avuto per uscire da un momento cupo. Eurovision rappresenta questo all’ennesima potenza, anche se mai avremmo pensato di ritrovarci in un momento ancora più difficile. A volte ci si può chiedere se abbia senso investire, davanti a quel che sta accadendo, su uno show gioioso. Io credo di sì perché un public service media deve essere in grado di mostrare tutti i lati della realtà».
Eurovision è stato uno dei primi grandi eventi a escludere la Russia. È stato giusto?
«Ero seduta accanto al collega di Mosca il giorno dell’invasione durante il cda di Ebu, l’unione dei broadcaster europei. Ho sempre pensato che la cultura e la musica debbano essere canali di ricostruzione e di dialogo, ma mi rendo conto che non si poteva accogliere una delegazione russa insieme a quelle che si sentono minacciate o sono state aggredite. Il gruppo musicale ucraino dato in vantaggio dai bookmaker ha già detto che, se vincono, l’anno prossimo Eurovision dovrà tenersi a Kiev».
La Rai può vivere solo di grandi eventi e fiction? C’è tutta una parte digitale che non sembra al passo con i tempi. RaiPlay è stata una rivoluzione positiva, ma per lo più mette a disposizione lo stesso prodotto televisivo con altri tempi e modi. Bisogna investire di più sull’informazione digitale?
«È fondamentale che si faccia e che la Rai possa anche essere un argine contro le fake news. Insegnando alle persone a riconoscerle. Dando gli strumenti per capire dov’è la buona informazione. Abbiamo lanciato a gennaio il nuovo Rainews.it. È tredicesimo tra i siti di informazione in Italia per pagine viste, ma è chiaro che per quel che rappresenta la Rai, l’ambizione è che sia presto tra i primi cinque. Con il Covid abbiamo imparato quanto un’informazione credibile sia cruciale. È fondamentale avere un prodotto digitale con a monte una serie di verifiche di cui potersi fidare».