Corriere della Sera, 14 aprile 2022
Intervista a Jon Batiste
I cinque Grammy Awards che in America hanno reso Jon Batiste l’uomo del momento – il più premiato dell’ultima edizione, un jazzista in mezzo a tante star del pop – sono riusciti a fare arrivare il suo nome fino in Italia. Trentacinque anni, presenza magnetica e talento poliedrico, Batiste aveva già incassato un Oscar per le musiche del cartoon Soul. Ora il suo «We Are» è stato incoronato album dell’anno, grazie a un mix di jazz, soul, rap, pop, che rivela un personaggio dai mille talenti e contrasti, talvolta (ottimo) ballerino glitterato, talvolta predicatore gospel versione 2022. «Sento delle bellissime vibrazioni stamattina», esordisce con voce lenta e profonda via Zoom.
Com’è la sua vita dopo i Grammy?
«C’è stato un vero cambiamento. Ho ricevuto riscontri da tutto il mondo per il mio disco. Molti mi dicono che ascoltarlo sta cambiando il loro modo di percepire l’oscurità che accade nel mondo».
Nel suo discorso ha detto che l’arte trova le persone quando più ne hanno bisogno. Per lei è stato così?
«Sono cresciuto in Louisiana e dal lato paterno vengo da una famiglia molto musicale, nell’ambiente di New Orleans. Il lato materno è invece quello da cui arriva la mia coscienza sociale. A 17 anni mi sono trasferito a New York per studiare musica alla Juilliard e ho dato vita alla mia band. Ho registrato dischi da indipendente fino a pochi anni fa, ma “We are” è la mia presentazione al mondo».
Da dove viene il mix di generi che c’è dentro?
«Volevo solo essere la miglior versione possibile di me stesso. E tutte queste cose sono parte di me. Non penso di rientrare in alcuna descrizione o definizione. Mi muovo in base a quel che mi ispira».
Ai Grammy ha detto anche che per lei la musica è una pratica spirituale.
«L’arte ci fa sentire connessi con qualcosa di più grande e io credo che tutta la musica, tutte le cose a tutti i livelli vengano da Dio. Quando usi la musica come uno strumento per connetterti con Dio e con gli altri, non è solo intrattenimento, è qualcosa di più. Quando la usi per stare meglio, per riflettere sul mondo e sulla tua evoluzione personale, per celebrare la tua comunità e tramandare saggezza alla prossima generazione, allora la musica è una pratica spirituale ed è quello su cui mi concentro».
Ha suonato alle proteste del Black Lives Matter. Si ritiene un attivista?
«Per me non si tratta tanto di attivismo, quanto di umanità e mi sembra che oggi la gente equipari i diritti umani basilari con la politica. Tutte le cose che nella mia discendenza abbiamo inseguito fin dalla nascita di questo Paese, con le diverse forme di protesta, sono partite dalla ricerca di dignità. Se ciò significa essere considerati attivisti o politici, allora che sia così».
Come valuta oggi il clima sociale negli Stati Uniti?
«Penso che i cambiamenti partano sempre dalla gente, non lasciando il voto al caso. La partecipazione è positiva a prescindere e non era esattamente quel che accadeva con la nostra ultima amministrazione, con oltre il 40% di astenuti. Quel numero è sceso alle ultime elezioni e per me questo è un bel cambiamento».
Come band leader di «The Late Show with Stephen Colbert» lei è anche un personaggio televisivo. Che effetto le fa questa popolarità?
«Stando ogni sera in tv sono arrivato a tante persone. La gente viene da me e mi abbraccia, mi parla come se mi conoscesse perché in tv diventi uno di casa. È un legame speciale. Quando lascerò “The Late Show”, non credo che smetterò di fare tv».
Dopo i Grammy ha rivelato di essersi sposato a febbraio, il giorno prima che sua moglie, la scrittrice Suleika Jaouad, si sottoponesse a un trapianto di midollo: le è stata diagnosticata, per la seconda volta, una leucemia. Come si affrontano queste situazioni?
«È la vita, allacciate le cinture: ogni istante è prezioso. Gli alti e bassi a volte accadono contemporaneamente e insegnano a mettere le cose in prospettiva: gli alti sono meravigliosi e i bassi contengono delle lezioni. Questa consapevolezza dà equilibrio. Dio è in controllo, noi possiamo controllare solo come reagiamo. E ciò dipende molto dalla pace interiore».
Sua moglie ha scelto di condividere la malattia.
«Rendere pubblica la sua vita personale è una sua scelta come artista e la sostengo in quanto parte del processo creativo della nostra famiglia. Di natura io sono più riservato, ma non mi preoccupo».