il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2022
Cuffaro, Cosentino, D’Alema, Brunetta, Negri e Grillo. Quando la politica si dà alla vendemia
Dovesse servire una ulteriore conferma della dimensione etilica della politica italiana, viene in soccorso la leggendaria edizione del Vinitaly 2022. Alla manifestazione di Verona hanno trovato la giusta considerazione i calici di due sfortunati protagonisti della recente storia del Paese. C’è la cantina “Napoleone” di Nicola Cosentino, già sottosegretario berlusconiano, e ci sono i vini biologici siciliani delle “Tenute Cuffaro”, dove per Cuffaro si intende Salvatore, ex governatore dell’Isola. I due, Nick ’o mericano e Totò Vasa Vasa, hanno condiviso oltre alle fortune politiche e alla passione per i filari, anche la frequentazione delle patrie galere. Senza soffermarci sui rispettivi percorsi giudiziari, il pubblico ricorderà che il primo è stato considerato il referente politico dei Casalesi (l’ultima condanna, per concorso esterno, risale allo scorso luglio), il secondo ha “sbattuto sulla mafia” (parole sue) e ha trascorso cinque anni nel carcere di Rebibbia per favoreggiamento a Cosa Nostra.
Entrambi devono aver trovato nel vino una forma di serenità o almeno di sollievo, dopo tante turbolenze. Di certo Cuffaro continua ad alternare la politica al bicchiere e prova a pesare ancora nella sua Sicilia. Cosentino invece – forse perché i guai con i tribunali potrebbero non essere finiti – vorrebbe soltanto scomparire dalla scena pubblica e dedicarsi in pace alle vigne. O almeno questo si deduce dal ritratto morbidissimo, quasi commovente, che gli ha dedicato ieri il Mattino: “Poche parole e solo sul vino (per il sensibile Nick, ndr). Il timore, evidentemente, è di gettare un’ombra su un lavoro antico, prezioso, recuperato ostinatamente non per ragioni di lucro ma di sentimento di sé, della propria storia, e anche un po’ di tenuta mentale”.
A proposito del sentimento di sé, non vi è dubbio che il più noto dei politici che coltivano la vite sia Massimo D’Alema. Il vino è uno degli elementi fondamentali – i baffi, la barca, il risotto, la “mediazione” di armi, diciamo – che compongono il prisma della non sempre amabile personalità del primo (e finora ultimo) presidente del Consiglio post-comunista della storia d’Italia. “Fruttato con note di ciliegia, poi note di mirto pepe. In bocca si esprime con un finale di arancio e ribes. Morbido, cioccolatoso”, è il ragguardevole giudizio online (4 stelline su 5) di un sedicente sommelier sul pinot nero de “La Madeleine”, la tenuta della famiglia D’Alema a Narni. Curiosamente, La Verità ha scovato un presunto tratto d’unione tra gli interessi dell’ex premier nel vino e nell’infruttuosa mediazione per vendere una commessa di armi alla Colombia: si chiama Massimo Tortorella, a lui D’Alema avrebbe offerto di acquistare una quota dell’impresa enoagricola di famiglia, per la modica cifra di “2-3 milioni, non ricordo esattamente” (parole dello stesso Tortorella), “eravamo pure mezzi brilli”. Tortorella sarebbe a sua volta legato agli intermediari della sconsiderata operazione armi. Quella è un’altra storia, ma le parole di Tortorella regalano un dettaglio prezioso: il valore di una quota dell’impresa dalemiana parrebbe assai elevato, così la sincera cultura del politico per l’enologia diventa difficile da separare dal solito senso per gli affari. Altro ministro col calice in mano, Renato Brunetta: nel 2019 il forzista ha acquistato con la moglie Titti una tenuta in borgo Capizzuchi, località Divino Amore, periferia agricola di Roma. L’obiettivo, ambizioso, non sappiamo se sia stato raggiunto: Brunetta puntava a produrre 250mila bottiglie l’anno. Di certo nel fondo della bottiglia ha ritrovato la passione per la politica. Quando ha iniziato a fare vino era epoca di populismi ruggenti (Conte I e i gialloverdi), Brunetta raccontava la sua disaffezione: “Vendo vino e non mi occupo dei teatrini della politica come Di Maio e Salvini”, diceva. Con Draghi invece ha riscoperto il piacere del palco.
Altri eno-politici in ordine sparso: il radicale Giovanni Negri, dopo gli anni eroici nel partito di Pannella, si è ritirato a produrre Barolo e Cesanese tra Langhe e Lazio. Luigi Grillo, ex senatore di Forza Italia fautore del “patto dello Sciacchetrà”, pregiato vino ligure di sua produzione, con cui nel 2004 fece trovare un’intesa tra Berlusconi e l’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Anche per lui non è andata benissimo: dieci anni dopo (2014) viene arrestato per tangenti nell’inchiesta su Expo. Patteggerà 2 anni e 8 mesi. E si sfogherà così: “Io, vecchio e senza forze, in galera per aver regalato un po’ di vino”.