il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2022
Gli otto anni di guerra in Donbass
Ad Adviivka i soldati scendono dal camion per sostituire i compagni sporchi e stanchi che erano di turno nei giorni precedenti. Qui non ha nessun significato il 25 febbraio 2022, la guerra c’è dal 2014.
Erroneamente il Donbass è stato definito una crisi dell’Ucraina dell’est. Ma i segni dei bombardamenti e le strade devastate dai colpi di mortaio non parlano di una crisi, ma di un conflitto. Donetsk dista solo mezz’ora d’auto da Adviivka. “La città da un milione di rose”, amava ripetere il presidente Zacharcenko nei discorsi in piazza Lenin. Morirà il 31 agosto 2018 in un attentato-bomba, come praticamente tutti i comandanti separatisti: Givi, Motorola, Drymov, Bednov e Mozgovoy. Nessuno di loro morto sul campo di battaglia, ma uccisi in attentati per chissà quali faide interne. Perché questa guerra ha anche questa particolarità oltre quella di non esser stata riconosciuta tale: veniva definita “conflitto a bassa intensità” come se un ordigno da 127mm che ti cade addosso possa far meno danni da queste parti.
Il Donbass era una delle aree più ricche d’Ucraina, il potente oligarca Akhmetov aveva qui la sua fortuna: carbone e acciaierie. Nel periodo sovietico questa regione era definita il cuore pulsante dell’Unione.
Qui i miti non sono cavalieri o poeti ma i minatori. Essere minatore nelle aree separatiste vale quanto essere volontario al fronte: si rischia la vita ogni giorno, si torna a pezzi a casa e il lavoro più duro è al buio, mentre i propri figli dormono sicuri lontano.
Nelle aree ancora sotto controllo ucraino, dopo la crisi scoppiata nell’aprile 2014, il sentimento di opposizione alla Russia è ben radicato. La statua di Lenin non c’è più a Sloviansk che ha vissuto giorni terribili quando le forze separatiste furono costrette a ritirarsi in massa. Le immagini di Irpin sono un aggiornamento di quel che è successo qui: persone legate ai pali per varie ragioni, persone uccise perché considerate collaborazioniste e fosse comuni ritrovate nelle periferie.
Il Donbass dimenticato torna adesso a essere una notizia, l’esercito russo si è ridislocato ed è prevista un’offensiva in tutta l’area dell’oblast di Donetsk. Due grandi fronti dunque: il sud che coinvolge Mariupol, Cherson e Mykolaiv. Ed il nord tempestato di cittadine industriali e sterminate aree di campagna di terreni incolti e villaggi di piccole case fatiscenti.
L’artiglieria russa sta colpendo in particolar modo Izium e Sjevjerodonenck, gli abitanti sono senza acqua, elettricità, riscaldamento. Nel centro di Sjevjerodonenck si cucina fuori mentre si sentono colpi in partenza, e tanti colpi in arrivo. Si dorme sottoterra, nell’umido di scantinati bassi e bui.
La città di Kramatorsk vive giorni di silenzio, dopo il missile Tochka che ha ucciso almeno cinquanta persone. Un ordigno che uccide ma non devasta gli edifici: se qualcuno passasse per la stazione di Kramatorsk potrebbe avere il dubbio che la tragedia sia davvero accaduta.
Il Donbass è stato per anni centro di ondate propagandiste da parte ucraina e russa. I separatisti accolgono tutt’ora giornalisti indipendenti occidentali usandoli come utili idioti; ora vogliono presentare Donetsk come una città florida, e Mariupol come episodio accidentale della guerra. Ma a Donetsk si vive solo di aiuti provenienti dalla Russia, e Mariupol è il simbolo della tragedia che stanno vivendo gli abitanti rimasti per decisioni militari che hanno evitato di garantire corridoi umanitari. La guerra di propaganda qui è iniziata prima dei canali Telegram ed è parallela a quel che avviene sul campo, tra le trincee e gli obici puntati sul nemico.
Il disastro del conflitto di adesso convive con case abbandonate dove la natura ha preso il sopravvento. E l’aeroporto di Donetsk è una distesa senza vita dove le linee ucraine e quelle separatiste sono ferme da anni.