La Stampa, 13 aprile 2022
Fellini e Rol amici
Secondo gli induisti, dio crea e governa il mondo non per necessità o bisogno ma per allegria. La parola che indica questa divina attitudine è lila, il gioco. Nello stesso modo Gustavo Adolfo Rol, che non amava essere definito mago, considerava gli esperimenti prodotti dalla sua mente nient’altro che giochi. Lo racconta Franco Rol – lontano cugino e biografo dell’illuminato (definizione nella quale invece si riconosceva) – in un libro intitolato Fellini e Rol, una realtà magica (Reverdito editore).
Gustavo Rol, nato a Torino nel 1903, attraente e dai modi gentili, aveva una moglie norvegese, Elna Knudsen. Benestante, aveva conseguito tre lauree prima di scegliere un impiego in banca. Ma la sua passione era e rimase per sempre quella di esplorare i confini dell’umano. Sapeva, per esempio, far apparire lunghe lettere che avrebbero dovuto trovarsi a centinaia di chilometri di distanza, si divertiva a scrivere messaggi, usando solo il pensiero, sui tovaglioli di stoffa nei ristoranti, poteva attraversare le pareti e far apparire persone da altre stanze. Sognava di scendere dal terzo piano di casa sua camminando sul muro, parallelo al terreno. Una volta, sono in molti a raccontarlo compreso lo stesso regista, fece sparire il tacco da una scarpa di Federico Fellini. Era stato Dino Buzzati a fare incontrare questi due uomini straordinari, agli inizi degli anni Sessanta. Rol considerava Fellini un genio, in un’intervista a Bruno Quaranta aveva dichiarato: «Dovrei, per descriverlo, affidarmi a tre parole: genialità, intelligenza, bontà. Mi limiterò a una sola: immenso».
Fellini era invece sedotto dall’innocenza e la grazia che percepiva in quell’uomo dall’aspetto pacioso che, secondo le sue abitudini, chiamava con un vezzeggiativo: Gustavone. Riteneva, proprio come Rol avrebbe voluto, che tutto quell’armamentario di meraviglie e attività prodigiose non fosse altro che un gioco. Cioè la parte più seria della vita. Come ai bambini, e ai cani, gli riconosceva la capacità di tenere insieme conscio e inconscio, realtà e ricordo. E ne era ghiotto: la magia, l’incanto, l’apparizione erano per Fellini l’unico modo per alimentare l’immaginazione. Ovunque avesse sospetto di invisibile e di inspiegabile Fellini dimorava beato. Per alcuni Rol è stato un impostore, un abile prestigiatore che ingannava i suoi spettatori vorticando le mani, rifiutandosi di mostrare i suoi giochi davanti a giornalisti o scettici desiderosi di sbugiardarlo. Ma tutti testimoniano della sua generosità: non si tirava indietro di fronte alle sofferenze, usava la propria abilità per risarcire, suturare ferite dell’anima, persino impedire errori fatali. Smetti subito di fumare, per esempio, era il suo modo di prevenire malattie e infarti negli amici. Fellini, lo abbiamo detto, non aveva certo smania di esercitare cinismo e razionalità. Al contrario il suo sforzo era piuttosto quello di tenere in vita l’inganno più a lungo possibile. Per tutta la vita ha cercato qualcuno che lo accompagnasse dentro quel buio, nel sogno e nell’irreale. È stato paziente e amico dello psicanalista junghiano Ernst Bernhard fino alla morte di lui, era superstizioso e si entusiasmava per qualsiasi cosa o persona lo riportasse alla dimensione ludica dell’irreale. Con Rol quindi si divertiva. Fu lui a fargli acquistare il «cappelluccio inglese senza pretese, con un disegno di scacchi sulle tonalità del grigio» che avrebbe poi indossato Marcello Mastroianni in Ginger e Fred. Un oggetto magico che Rol aveva rintracciato dentro una scatola negletta, in cima a uno scaffale del quale lo stesso commesso non aveva contezza. E fu ancora lui, per la citata attitudine a salvare le persone, a metterlo in guardia quando il regista, già agli inizi degli anni Sessanta, cominciò a parlargli di un film, Il viaggio di Mastorna. «Se lo farai – disse Rol a Fellini senza messe parole – sarà l’ultima cosa che farai nella vita». Il film avrebbe raccontato la storia di un clown musicista, Mastorna, che atterra con l’aereo in una grande città del nord Europa, in mezzo a una tempesta di neve. La notte, dopo aver assistito ad alcune scene curiose tra cui il parto di una ballerina, apprende dalla televisione del suo albergo dell’incidente aereo dove, probabilmente, anche lui è morto. Il film, secondo le indicazioni di Rol, non è mai stato fatto, nonostante parte della scenografia fosse già costruita e Fellini avesse offerto il ruolo del protagonista a vari attori, da Mastroianni a Gassman. Ne fece invece un libro Milo Manara dando a Mastorna il volto di Paolo Villaggio.
Ma se il ruolo di Rol nel destino di Mastorna è abbastanza noto, è senz’altro sorprendente scoprire che, sempre grazie ai giochi dell’illuminato torinese, Fellini potè addirittura, prima e dopo la preparazione del film, avere un incontro clandestino con Giacomo Casanova. Questo personaggio olografico (cioè non lo spirito del defunto, come direbbero gli spiritisti, ma la copia rimasta sulla Terra, l’archivio mnemonico olografico corrispondente a quello che fu Giacomo Casanova) secondo i testimoni si dimostrò maleducato, forse infastidito dal modo in cui era stato rappresentato. E per manifestare il suo disappunto, si era rivolto al regista chiamandolo Signor Goldoni, aggiungendo «e datemi del voi, per favore». Fellini, a sua volta irritato da tanta arroganza, avrebbe replicato dicendo «questo cialtrone, francese d’adozione e precursore di ridicole consuetudini fasciste». Non si piacquero, ma nonostante questo Casanova non rinunciò a regalargli un paio di consigli sessuali, appuntati su un foglio che infilò nella tasca della giacca del regista: «Mai in piedi e mai dopo mangiato».
Qualunque cosa si pensi dell’occulto, non c’è dubbio che Fellini e Rol potessero piacersi e capirsi, compagni di scorribande in territori dell’essere con cui abbiamo poco confidenza. E «non c’è dubbio» è decisamente l’espressione più paradossale sia per chi fa sparire i tacchi delle scarpe che per chi si rappresenta come un aquilone, legato con il piede a una lunghissima corda, sullo sfondo del cielo.