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 2022  aprile 13 Mercoledì calendario

A tutto Verdone

«Basta con questa storia che sono ipocondriaco» sbotta deciso. Ma, al solito, non riesce a essere serio fino in fondo. E la presunta arrabbiatura si stinge presto nella risata che tutti gli conosciamo: è la prima di alcune sorprese che ci riserverà Carlo Verdone, nell’ attico al Gianicolo, dallo splendido terrazzo dove abbraccia idealmente tutta la sua Roma. Sì, l’uomo che (apparentemente) temeva le malattie, a 71 anni, ha appena preso il Covid. 
E com’è stato, Carlo? 
«Roba da niente appunto. La storia della mia ipocondria è una leggenda che va sfatata per sempre. Sono solo un esperto che si mette a studiare la sera, ogni tanto mi chiedono qualche parere e ogni tanto ci azzecco». 
Il Covid però le ha fatto rinviare il suo ultimo film per molto tempo, «Si vive una volta sola», storia di medici peraltro... 
«Stavamo con la mascherina nel manifesto... il Covid ha penalizzato soprattutto la sala, mandando sul lastrico tante persone». 
Vent’anni fa, su questo giornale, i problemi erano altri: lei e Alberto Sordi discutevate sull’opportunità di fare un film sul Risorgimento. Già, Sordi, da sempre considerato un suo padre putativo. Definizione ingombrante? 
«No, solo non mi sono mai azzardato a definirmi il suo erede. Ci unisce la romanità, ma avevamo stili diversi». 
Qualcuno sostiene che sul set non andavate d’accordo: avete fatto solo due film insieme, in effetti. 
«Hanno detto perfino che ci odiavamo... ma va, era un amico speciale. Vede quell’orchidea? Me la regalò nel 1986 quando nacque mia figlia Giulia, una sera che venne con Sergio Leone e Pippo Baudo. È ancora lì e me lo ricorda tutti i giorni». 
Dai padri putativi a quelli veri: il suo, Mario, professore all’università, la bocciò a un esame 
«Storia del cinema: gli avevo pregato di non chiedermi gli espressionisti, ma Fellini e il Neorealismo. Mi chiese gli espressionisti, ovviamente: bocciato. “Non potevo fare differenze, Carlo”, rigoroso come sempre. A cena però lo mandai a quel paese». 
Sua madre Rossana, prof di liceo, di tutt’altra pasta... 
«Se parlo di cinema lo devo a lei che mi ha sempre incoraggiato. Peccato se ne sia andata così presto, a 59 anni, nel 1984, per una malattia neurodegenerativa». 
Già, fu molto difficile per lei, all’apice della sua carriera 
«Quattro anni d’inferno: al mattino giravo Acqua e sapone, alla sera dovevo andare da lei in clinica, uno strazio». 
Da sua moglie invece si separò nel 1996: dopo di lei il diluvio, non si è più risposato 
«No, ma non significa che stia da solo». 
Prima di Acqua e sapone, Borotalco: sono passati quarant’anni dal film e dal leggendario Manuel Fantoni, quello che le sparava grosse... 
«Mitomani, megalomani, cazzaroni come diciamo noi, quanti ne ho incontrati. Oggi però è più difficile, prima c’era “il” personaggio, oggi tutto credono di esserlo e alla fine non lo è nessuno, con gli stessi tatuaggi, gli stessi capelli, gli stessi vestiti. Non si stagliano». 
In questi tempi di orrenda guerra a Est, torna malinconicamente in mente Enzo di Un sacco bello che andava in Polonia a conquistare le ragazze con le calze di nylon 
«Tutte le guerre sono brutte, ma questa è particolarmente idrofoba. Comunque, per trovare Enzo, oggi bisognerebbe andare a Dubai, i “broccoloni” sono lì». 
È vero che a Sergio Leone, produttore di Bianco, Rosso e Verdone, il pedante Furio marito di Magda non piaceva? 
«Diceva che avrebbe fatto fallire il film e che la gente gli avrebbe voluto tagliare la testa. Poi però cambiò idea». 
Come? 
«Una sera vennero da lui a vederlo Sordi, Monica Vitti e e, chissà perché, Falcao. Alla fine Albertone si alzò e mi abbracciò: “Fatte bacià. E quel marito...”. E pure la Vitti moriva dal ridere “che capolavoro quel marito”. Leone si tranquillizzò, “avessero ragione loro”». 
Mario Brega o la Sora Lella, chi le manca di più?
«La Sora Lella. Mario Brega, se gli girava, era capace di dire dopo venti minuti “Ma chi é il signor Verdone?”. Sora Lella è la nonna che ogni ragazzo vorrebbe avere e che oggi non esiste più». 
Due campioni di romanità: ma, come nella sua ultima serie, Vita da Carlo, lo farebbe il sindaco della sua città? 
«No, grazie. Perché mi dovrei rovinare la vita?» 
In conclusione, la cosa più brutta di questi ultimi vent’anni? 
«Quando non riuscivo a camminare, per le mie anche senza cartilagini, otto anni di calvario.». 
La cosa più bella? 
«I miei figli. Seri, educati, bravi nei loro mestieri, diversi dal mio, lei nutrizionista, lui funzionario. Spesso chiedo loro consiglio, con la maturità che hanno. Sicuramente superiore alla mia».