Corriere della Sera, 13 aprile 2022
Biografia di Vladislav Surkov
Anche il suo arresto, un po’ come tutta la sua vita, è ammantato di mistero e di ambiguità. Sarebbe ai domiciliari perché dopo anni di contrasti, i militari, dalle cui fila peraltro Vladislav Surkov proviene, sarebbero riusciti a fargliela pagare. Ma la stessa fonte che ha dato questa notizia all’ex deputato di opposizione Ilya Ponomariov non esclude un’altra variante: «Che a quelli della Difesa piacerebbe tanto vedere Surkov in carcere. Sarebbe il loro sogno trasformato in realtà». Insomma, i dubbi sul reale destino dell’ex consigliere numero uno di Putin non si dissipano, anche perché conferme da altre fonti non ne sono arrivate.
L’accusa sarebbe quella di essersi intascato i quattrini che il Cremlino elargiva a valanga dopo il 2014 per russificare il Donbass, a partire dalle due repubbliche di Donetsk e Lugansk che avevano dichiarato unilateralmente l’indipendenza. Surkov, il «cardinale grigio» dietro i piani di Putin per l’Ucraina, già allora teorizzava che bisognasse fare di tutto per continuare a destabilizzare l’ex Paese fratello.
Due mesi fa, dieci giorni prima dell’invasione, Surkov aveva elaborato e dato forma compiuta alle sue idee che stavano dietro alla strategia russa. La Russia di oggi, è la sua idea, è ingabbiata nei confini che vennero imposti ai bolscevichi vittoriosi in patria ma sconfitti dagli imperi centrali nel 1918 con la pace di Brest-Litovsk: «È stupefacente ma il confine occidentale della Russia di oggi coincide quasi perfettamente» con la linea fissata da quella che Surkov chiama come i comunisti di allora, la «pace indecente». Per l’ideologo, dopo tanti anni il Paese «è di nuovo ricacciato indietro». E questo, «senza perdere una guerra, senza ammalarsi di una rivoluzione; sono bastate per sgretolare l’impero sovietico una ridicola perestrojka e una torbida glasnost». Con la solita sua prosa contorta, Surkov sostiene nell’articolo che ci sarà da agire nel campo geopolitico, anche in senso «pratico» e «perfino di contatto». Parole minacciose che sembrano preannunciare quello che di lì a poco il Cremlino avrebbe fatto.
Personaggio ambiguo, politologo con un trascorso nel Gru, lo spionaggio militare (lui sostiene che faceva solo il servizio di leva), ma anche scrittore di romanzi di fantapolitica. Perfino la sua data di nascita è ambigua: 1962 secondo alcune fonti e 1964 secondo altre. Figlio di un padre ceceno (il suo vero cognome è lo stesso del presidente della Cecenia indipendente degli anni Novanta, Dudayev) e di una madre russa. Dopo essere stato con l’Armata Rossa in Ungheria negli anni Ottanta, entrò negli affari. Prima con Mikhail Khodorkovskij, l’oligarca più ricco di Russia che poi ruppe con Putin e finì in galera. Quindi con un altro oligarca, Mikhail Fridman, patron dell’Alfa Bank. E un passaggio alle pubbliche relazioni della tv Ort, di un altro oligarca Boris Berezovskij, poi morto in Inghilterra. Infine nel governo e quindi nel ruolo di vice responsabile dell’amministrazione presidenziale e di ideologo capo.
È stato Surkov a indirizzare la politica russa su alcune delle questioni più importanti. La Cecenia, ad esempio. Sarebbe stata sua l’idea di portare alla presidenza il giovane e manesco Ramzan Kadyrov, figlio del precedente leader assassinato. E di affidare la repubblica come un feudo completamente indipendente al nuovo signore. Che effettivamente l’ha completamente pacificata (con i suoi metodi) togliendo a Putin una ricorrente preoccupazione.
La Russia è di nuovo ricacciata indietro. Sono bastate per sgretolare l’impero sovietico una ridicola perestrojka e una torbida glasnost
Quando Dmitrij Medvedev prese il posto di Putin che non poteva rimanere al Cremlino per un terzo mandato consecutivo, furono avviate timide riforme per liberalizzare e modernizzare la Russia. Nel 2009 Surkov fece sentire la sua voce forte e chiara. Le riforme portavano una gravissima instabilità che avrebbe finito «per fare a pezzi la Russia».
Ma il suo vero cavallo di battaglia era stato il concetto di democrazia guidata teorizzato già in precedenza fra il 2005 e il 2007. Lui l’aveva definita «democrazia sovrana», basata però sulla verticale del potere. Vale a dire che ogni decisione doveva discendere dall’alto. Tutto, dalle elezioni ai partiti politici serviva a dare questa idea di democrazia completa. Altri meccanismi, però, avevano poi il compito di tenere ogni cosa sotto controllo, affinché il sistema continuasse immutato.
Dal 2013 aveva iniziato a occuparsi a tempo pieno dell’Ucraina e della regione caucasica, con un occhio particolare su Ossezia del Sud e Abkhazia. Il suo nome era venuto fuori anche durante le proteste di piazza Maidan a Kiev del 2015, quando cecchini spararono sulla folla. Gli ucraini accusarono gli uomini di Surkov dell’accaduto, anche se secondo altre fonti, il fuoco proveniva da estremisti nazionalisti.
Nel 2020 il cinquantasettenne consigliere perse il posto al Cremlino, almeno ufficialmente. Questo dopo che un gruppo di hacker di Kiev aveva reso pubbliche migliaia di lettere nelle quali Surkov parlava dei piani per destabilizzare l’Ucraina. Via dal Cremlino, dunque, ma forse non dal cuore di Vladimir Putin.