Avvenire, 12 aprile 2022
In Ucraina la focaccia è un’arma efficace per scovare le spie
La resistenza ucraina ha un’arma non convenzionale chiamata palanytsia.
È una parola, una semplice parola, dieci lettere: significa «focaccia». Quando gli ucraini trovano un infiltrato russo, o qualcuno sospettato di essere una spia, di far parte dei gruppi di sabotatori, gli chiedono di pronunciarla. Se ce la fa, è ucraino. Se non ce la fa, è un nemico. «È un test semplice ma efficace – spiega Anna Baydatska, ucraina di Vinnycja (centro del Paese), professoressa di russo all’Università Cattolica di Brescia – : il termine palanytsia combina l’alternanza di suoni duri e suoni palatizzati che per un russo che non abbia studiato l’ucraino è impossibile pronunciare correttamente. È solo un esempio di come la lingua sia elemento determinante in tutta questa guerra».
Putin sta infierendo con particolare ferocia sulle città russofone del Paese. Un accanimento che ha il sapore di una vendetta ancestrale verso popolazioni che parlano la sua stessa lingua e da cui si aspettava un caloroso Dobro pozhalovat’! (benvenuto ).
Putin ha fatto male i conti con il presente e soprattutto con la storia. Compresa quella della lingua ucraina, che ha una tradizione so- lida e antica, fissata da scrittori importanti come Ivan Kotljarevs’kyj (1769-1838) Taras Shevchenko (1814-1861), Lesja Ukrainka (1871-1913). Già durante l’Impero russo, però, l’ucraino cominciava ad essere definito malorosskij jazyk, “lingua della Piccola Russia¨, con quel diminutivo che mirava a privare il Paese del suo nome e della sua identità, relegandola al ruolo di un fratello minore. Nell’Unione sovietica, poi, la lingua ufficiale era il russo: in tutte le 15 Repubbliche era obbligatorio studiarlo, e le lingue nazionali spesso non venivano nemmeno insegnate nelle scuole. Quando ero piccola l’ucraino era considerato una specie di dialetto usato dalle persone non colte. Ci sono stati tantissime leggi, nell’Impero e nell’Urss, che hanno provato a cancellarlo, proprio demolire l’identità di un popolo. Ma la lingua è sopravvissuta. E il popolo anche.
Come si arriva alle maggioranze
russofone del Paese?
In epoca sovietica – ma è accaduto anche al tempo degli zar –, interi villaggi venivano deportati: ci sono state popolazioni ucraine traferite in massa in Siberia e popolazioni russe ricollocate nel Donbass. L’ideologia voleva rimescolare i popoli, puntava ad abolire la distinzione tra le nazioni nel nome della grande Urss, dell’“uomo nuovo sovietico” di cui parla Michail Bulgakov ne Il maestro e Margherita. L’“uomo nuovo” di nuovo non aveva nulla. Però lingue si sono mischiate. Oggi quasi tutti gli ucraini capiscono perfettamente il russo. Mentre i russi, se non l’hanno studiato, non sempre capiscono l’ucraino.
In genere, però, le comunità sopraffatte tendono a stringersi intorno al loro idioma, perché è ciò che li identifica.
Va considerato che l’ideologia sovietica prevedeva anche la coabitazione delle famiglie nella stessa casa. Non esistevano spazi privati. Tutti usavano la stessa cucina, lo stesso bagno, e la stessa lingua, perché non sapevi mai veramente chi avevi di fronte e rischiavi di venire denunciato al Kgb se usavi l’idioma sbagliato o dicevi la cosa sbagliata. I miei genitori hanno vissuto in questo mondo per 18 anni, in una casa di coabitazione, con tre figli. Le zone dell’Est ucraino hanno subìto massivamente questo processo e lì si parla soprattutto russo. Quelle dell’Ovest meno, perché erano sotto l’influenza della Polonia, per questo in tutta quella regione la lingua ucraina si è conservata molto meglio. Nel centro del Paese c’è poi tutta una fascia che parla surzhik, un miscuglio di ucraino e russo molto tipico, molto riconoscibile. Ma il popolo è e resta uno solo.
La Legge sulla lingua del 2019 dell’ex presidente Petro Poroshenko, che ha riconosciuto l’ucraino come unica lingua ufficiale, di fatto escludendo le lingue minoritarie, è stata però l’innesco di una crisi arrivata fino a qui.
Nessuno in Ucraina ha mai impedito a chi volesse parlare russo di parlare russo. Mai. Tra l’altro, era stato lo stesso presidente Zelensky, che è russofono, a criticare quella legge, proponendone una revisione. Adesso, con la guerra, stiamo verificando un fenomeno tutto nuovo: i russofoni dell’Est, che hanno studiato e conoscono l’ucraino, lo scelgono e lo parlano. Hanno visto chi è Putin, cosa può fare, e hanno deciso da che parte stare. Il presidente russo ha ottenuto esattamente l’effetto opposto di quello desiderato.