Corriere della Sera, 12 aprile 2022
Lazza, il rapper stregato da Chopin
Il pianoforte e il rap. Il solfeggio e l’autotune. «Non ripudio la musica classica. La ascolto ancora e Chopin mi toglie ansia. Forse viene da lì l’aspetto triste e malinconico della mia musica. Non ho mai letto una sua biografia, ma ascoltando la sua musica credo che Chopin non stesse bene».
Lazza, vero nome Jacopo Lazzarini, il pianoforte non lo dimentica. Il rapper milanese lo ha messo anche in apertura del nuovo album «Sirio»: è uscito venerdì e sta monopolizzando Spotify con 12 brani in top 20. Per regalare ai fan un’anteprima aveva preso un teatrino ottocentesco a Milano e si era fatto accompagnare da un pianista classico. «Anche in tour ci sarà un pianoforte. Lo suonerò anche, con un po’ di ansia. Un po’ perché sono uno che ricerca il virtuosismo e diventa difficile coordinare mani e voce. Un po’ perché ricordo ancora il trauma di un saggio di fine anno dove mi ero autoconvinto di non essere pronto: ho iniziato a sbagliare, mi sono alzato e sono uscito dalla classe». Per il resto, quello di Lazza è rap senza compromessi. A partire dal titolo. «Sirio è la stella che brilla più di tutte, idea molto rap. Ma è anche la stella che è presente quando le altre non ci sono: è difficile brillare da solo e in questi due anni mi sono sentito solo». L’effetto è un velo di malinconia steso sulle rime quando ego trip e sfoggio di brand lasciano spazio ai sentimenti. «Nel disco mi sono aperto di più rispetto al passato. Sono stati due anni difficili. Poco prima del Covid è finita male una storia che durava da 5 anni. Sono anche andato via di casa. Un po’ tardi ma non perché sono un mammone: non era credibile parlare di auto, ristoranti e orologi e poi stare a casa da mamma».
Lazza alla musica ci è arrivato attraverso la famiglia. «Mio nonno, che aveva imparato a suonare la fisarmonica in tempo di guerra, a 6 anni mi ha regalato una tastiera Bontempi. A 10 anni ho iniziato il Conservatorio. Non l’ho finito, non mi piaceva l’ambiente: mi prendevano in giro perché ero diverso, mi vestivo coi pantaloni larghi da rapper...». Il mondo hip hop lo ha conosciuto grazie agli amici: «Un vicino di casa mi ha fatto scoprire il freestyle. Lo stile zarro, l’estetica presa dalle techno di Emis Killa mi ha spinto a scrivere: lo sentivo vicino». Si sente odore di periferia e di strada nelle sue canzoni. Uno si immagina che un ragazzino che andava al Conservatorio abbia alle spalle un altro percorso. «Vengo da una famiglia umile, mamma contabile che adesso difende le finanze dalle mie mani bucate e papà che lavorava nell’edilizia. C’è tanta strada nella mia vita, ma non mi sento più forte se lo dico. Ci sono rapper che la sbandierano: alcuni sono validi altri puntano solo a farsi la collanona».
In «Sogni d’oro» si guarda dentro e dice «Cerco me stesso ma non mi trovo»: «Nel lavoro non ho fatto errori, devo migliorare dal punto di vista umano. Fisicamente l’ho già fatto: mi trascuravo, con alimentazione e palestra ho perso 18 chili. L’ho fatto per me, c’erano gli hater che scrivevano “panzone di m...” ma i miei dischi vendevano bene». Gli hater musicali saranno meno violenti, ma saranno pronti a criticare «Panico», brano prodotto da Takagi & Ketra, scritto con Davide Petrella, in cui canta. «È pop, ma non mi spaventa. So cantare perché al Conservatorio ho preso lezioni. Ma non conta saperlo fare... Vasco spacca lo stesso, a me fa piangere. E anche Jova».