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 2022  aprile 12 Martedì calendario

Intervista a Maggie Gyllenhaal

Anche se il consiglio arriva da Meryl Streep («Se vuoi che un regista segua un tuo suggerimento artistico, chiedilo con uno zuccherino») a Maggie Gyllenhaal non è mai andato a genio. Vent’anni di carriera, figlia e sorella d’arte – il padre Stephen è regista, la madre Naomi Foner sceneggiatrice, il fratello Jake attore – è passata al di là della macchina da presa con La figlia oscura con Olivia Colman, Dakota Johnson e Jessie Buckley, ora in sala con Bim, tratto dal romanzo di Elena Ferrante (edito da e/o). Un esordio che le ha dato soddisfazioni: premi a Hollywood, miglior sceneggiatura a Venezia 78, tre nomination agli Oscar. E, come racconta al Corriere, i complimenti, preziosi, di Ferrante. 
Meditava da molto tempo il passaggio alla regia, perché proprio questo libro? 
«Perché dice la verità intorno alla maternità, aspetti di cui abbiamo deciso di non parlare, e neanche pensare. I suoi libri, in particolare questo, mi hanno insieme disturbata e confortata. E ho pensato: invece di leggere certe cose ognuno per conto proprio, che effetto farebbe portarle sullo schermo, magari in una sala con accanto tua madre, tuo marito, tua figlia? Così non potrebbero più rimanere nascoste». 
Una madre non materna è ancora un tabù? 
«La nostra cultura ha stabilito una gamma ristretta di sentimenti che una madre può concedersi. Tutti pronti a giudicare se si esce da questo spettro, a dire che c’è qualcosa di sbagliato in te. Non lo credo. Mi è sembrato prezioso riflettere, invece, sull’ambivalente condizione dell’essere madre, sui falsi sentimenti legati alla maternità. Quello che ho fatto è provare ad allargare lo spettro della normalità». 
Nel film ha portato la sua esperienza personale? 
«Ho due figlie, essere madre è la cosa più grande che abbia mai fatto. È qualcosa di enorme per quello che ci regala e anche per quello che richiede. Penso non esista una donna che non abbia desiderato andare via di casa, sbattere la porta e lasciare i figli». 
Per ottenere i diritti del libro ha mandato una lettera a Ferrante. Cosa le ha scritto? E cosa le ha risposto? 
«Le ho scritto che non sapevo esattamente come lo avrei adattato, ma ho spiegato perché volevo farlo. E che mi sarebbe piaciuto dirigerlo. E lei mi ha risposto che mi avrebbe concesso i diritti solo se lo avessi diretto io». 
Le ha dato consigli? 
«Non li ho chiesti. Non potevo andare a pranzo con lei... Mi piacerebbe dire che so chi è, ma le ho parlato solo attraverso lettere che custodisco gelosamente. Sono sincera, mi sentivo un po’ intimidita ad avere a che fare con un’autrice così celebre. Lei poi ha pubblicato un articolo sul Guardian dove ha scritto che voleva essere certa che mi sentissi libera. Ma anche che se io fossi stata un uomo avrebbe insistito per avere voce in capitolo. Così mi sono presa questa libertà, il film è diverso dal libro, ho fatto alcuni cambiamenti, soprattutto la fine. Ha visto il film finito, mi ha scritto una bella lettera e ha detto che lo ha amato in un’intervista a New Statement. Ha capito e apprezzato. Il migliore adattamento è un tradimento dell’originale, dice Ferrante. Vuol dire molto per me». 
Perché due attrici diverse (Olivia Colman e Jessie Buckley) per la parte della protagonista Leda Caruso? 
«L’idea di affidare a loro due, ognuna con il suo stile, lo stesso personaggio in due diversi momenti della vita, mi è sembrata la cosa giusta. Ho lasciato loro completa libertà. Sono perfette». 
E Dakota Johnson, l’altra madre «imperfetta»? 
«Bravissima, non mi viene in mente un’altra attrice così vulnerabile e potente allo stesso tempo». 
Ha voluto anche suo marito Peter Sarsgaard, fa il professor Hardy, l’amante di Leda. State insieme da 20 anni, com’è stato dirigere qualcuno che conosce così bene? 
«Ho scritto tutti i personaggi maschili avendo in mente lui, avrebbe potuto farli tutti. Si è superato, mi ha sorpreso, ha portato sfumature che non mi sarei aspettata. È un personaggio complesso, un uomo pronto a rischiare tutto, che non si preoccupa di quello che gli altri pensano di lui». 
Vorrebbe dirigere anche suo fratello Jake? 
«Jake? Certo, mi piacerebbe dirigerlo, non vedo l’ora, ma proprio perché gli voglio bene e lo stimo, vorrei fosse una parte che gli permetta di andare su nuovi territori». 
Il suo futuro: regista o attrice? 
«Non so. Certo non smetterò di fare la regista».