Linkiesta, 12 aprile 2022
Elon Musk e i picchiatelli di Twitter
Caro Elon, dovrei dirti «benvenuto tra noi», ma tu mi risponderesti che eri picchiatello di più e da prima, che il tuo essere divenuto socio di maggioranza di Twitter è lo sbocco naturale di uno come te che è sì fantastiliardario ma non per questo più lucido di Vongola 75 e Broccolo81. (Forse quello che ha più quote di tutti ma non la maggioranza assoluta non si chiama socio di maggioranza? Sei anni che guardo “Billions”, e ancora non ho imparato niente).
Caro Elon, vorrei dirti che nel momento in cui Twitter si prende i tuoi fantastiliardi ma non ti dà un posto nel consiglio d’amministrazione (o forse sei tu che non ci vuoi stare, nel board dell’azienda più amata dai picchiatelli cui potresti insegnare il mestiere; mica ho capito: tre quarti d’ora che guardo “Diavoli”, e ancora non ho imparato niente), che in questo momento io sono l’unica che non ti chiederà niente, ma mentirei.
Caro Elon, vorrei elencarti i momenti in cui, negli ultimi anni, ho capito d’amarti. D’amare un uomo col trapianto di capelli, che chiama i figli con nomi che Vongola75 in confronto è presentabile, e che ha una madre con l’invidia dei follower.
Caro Elon, ti amo da quel giorno in cui lessi che da bambini tu e i cuginetti fondevate tavolette di cioccolato e ne facevate uova di Pasqua dal prezzo decuplicato. Quando i vicini di casa vi chiedevano perché avrebbero dovuto comprare uova assai più costose di quelle che si trovavano nei negozi specializzati, tu rispondevi che quello era il costo del sostenere la giovane imprenditoria. Tu, Elon, avevi capito l’importanza del ricatto morale ben prima delle militanti di Instagram.
Caro Elon, ti amo da quella volta che stavate per andare su Marte (o forse era qualche altra gita fuori porta, ma comunque era una destinazione alla quale si arrivava con un missile: una volta l’andropausa gli uomini poco ricchi se la risolvevano comprandosi la spider e sdraiandosi la segretaria, adesso voialtri fantastiliardari andate su Marte). Da quella volta in cui tu stavi per dare a Richard Branson un passaggio sul tuo missile, o viceversa (ora non pretenderai mi ricordi di chi fosse il missile: è uno sforzo che posso fare solo in comunione dei beni), e vi faceste fotografare in cucina, ed era la cucina più brutta del mondo, neanche da Mondo Convenienza ci sono dei pensili così, e tu eri pure scalzo, e insomma ho pensato che ti sarai pure fatto il trapianto di capelli, ma le insicurezze dovevi averle superate, se lasciavi che vedessimo tutti quant’era cane il tuo arredatore.
E ti amo da quando seppi del tuo primo matrimonio, di te che sulla pista di ballo alla festa nuziale le dici che nella coppia comandi tu (Elon: lo sappiamo entrambi che se devi dirlo non è vero), di lei che vuole fare la romanziera (come la moglie di Bezos: cos’è, nelle romanziere, che attrae i prossimi fantastiliardari?), di lei che ti dice «Non sono una tua impiegata» e di te che rispondi «Se lo fossi, ti licenzierei».
Più di tutto, ti amo con l’ampiezza e il respiro e l’altezza che la mia anima raggiunge quando non si sente osservata (è una citazione, te lo specifico perché scommetto che, come tutti i picchiatelli, eri molto distratto nelle ore di letteratura), dal 2018, quando desti un’intervista al New York Times dopo che, senza neanche esserne azionista, combinasti un casino su Twitter.
Come un qualunque rapper che pubblica una foto del cazzo che voleva invece mandare in un messaggio privato a qualcuna, tu twittasti che avresti ricomprato tutte le azioni di Tesla, che non sarebbe quindi più stata quotata in Borsa. Perfino io, che quando guardo “Billions” o “Diavoli” ho lo sguardo sveglio della mucca di fronte al treno, so che è una dichiarazione che farà perdere miliardi a qualcuno, e che non si fa senza aver avvisato il consiglio d’amministrazione.
Col New York Times gestisti l’inciampo come un concorrente del Grande Fratello contrito in confessionale. Piangesti (l’ho detto: saresti una perfetta militante dell’Instagram). Dicesti che t’era toccato lavorare anche il giorno del tuo compleanno (vieni, ti presento Rocco Casalino, diventerete buoni amici). E, infine, usasti la scusa di tutte noialtre che abbiamo un rapporto difficile con le benzodiazepine: è colpa dell’Ambien.
Ambien è il nome commerciale americano dello Zolpidem, il sonnifero cui tutti i picchiatelli danno la colpa quando combinano qualche casino. È un mistero come sia ancora in commercio, considerato di quante allucinazioni e deliri gli viene data la colpa. Se posso rendermi utile, nell’anno in cui presi lo Zolpidem scrissi un romanzo, nelle ore tra l’assunzione della pasticca e il momento in cui riuscivo finalmente ad addormentarmi, e posso sostenere che sarebbe stato un bestseller se non fosse stato scritto sotto benzodiazepine (a parità di goccine, io faccio i romanzi e tu fai i fantastiliardi, ma soprattutto libro dopo libro nessun fantastiliardario mi chiede in moglie: la vita è ingiusta).
Caro Elon, nel quarto d’ora tra quando è stata annunciata la tua entrata nel consiglio d’amministrazione di Twitter e quando è stata annunciata la tua rinuncia, hai spiegato che pianificavi la creazione di una spunta blu a pagamento, con la quale si avrebbe avuto diritto a correggere i refusi entro trenta secondi dall’emissione del tweet. Chissà cosa ne sarà di questa gita su Marte in forma di pulsante Twitter, ora che non si capisce più che ruolo avrai nel nido del cuculo cinguettante. Chissà se ti hanno preso sul serio. Chissà se eri sotto Zolpidem. Chissà se apprezzano il fatto che, di tutta l’azienda, sei quello che più somiglia, per equilibrio psichico, all’utenza.