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 2022  aprile 12 Martedì calendario

Intervista al filosofo filosofo Emanuele Coccia

Tornare indietro da certi libri è impossibile. Da questo, per esempio, che dice che siamo tutti la stessa carne da sempre, e ogni corpo è macelleria cosmica che la ricicla, e siamo bruco e farfalla insieme, e la nostra vita ha un cuore minerale, e ci troviamo al centro di una continua reincarnazione, e ogni specie è l’unione di tutte le specie, e le idee sono ali che spuntano dal nostro corpo di larva. Il libro si intitola Metamorfosi (Einaudi Stile Libero) e l’ha scritto un giovane filosofo italiano, Emanuele Coccia, che insegna un po’ a Harvard e un po’ a Parigi, saggista con prosa da narratore e un filo di ironia. Nello stagno delle nostre letture, questo libro alzerà molte onde.
Professore, perché lo ha scritto?
«Perché sin da bambino avverto un profondo sentimento di comunità con qualunque porzione di materia della Terra. Forse è una sorta di patologia, lo ammetto. Avevo un fratello gemello che purtroppo è morto: questa gemellanza ora la sento come la più acuta percezione di una condizione cosmica. Siamo tutti gemelli siamesi di tutti».
Qual è la parola chiave?
«Movimento. La vita è uno scambio di materia in movimento».
Perché questo titolo, “Metamorfosi”? Difficile non pensare all’istante a Gregor Samsa che si risveglia bacherozzo.
«Kafka mi ha di certo segnato, ho vissuto per otto anni in Germania, ma devo di più a Ovidio, all’idea bellissima che tutto si trasforma in tutto, senza gerarchie, senza una direzione dal basso all’alto, dal minimo al massimo.
La metamorfosi è orizzontale, è democratica ed è eterna. Anche Darwin ne dà una teoria: sapete che in nessuna delle sue righe compare il termine evoluzione? Lui racconta la metamorfosi».
Che cos’è la nascita?
«Il momento iniziale di ogni metamorfosi, è il dono di pezzi di corpi altrui finché a nostra volta doneremo i nostri a chi verrà dopo. La nascita è continuità: la nostra vita è antica quanto il primo vivente, e ognuno di noi ha la stessa età dell’umanità. E badate che sto parlando di scienza, non di filosofia. Di tecnica, non di pura teoria. La vita non è mai morta».
E allora, forse la morte non esiste. Però morire non ci garba tanto, non è il massimo della vita.
«Si tratta di passaggi di materia: siamo il vestito di Arlecchino di un grande ballo in maschera chiamato evoluzione. Moriremo e non moriremo».
Lei scrive che l’uomo non è niente di speciale.
«Perché si sente al centro dell’universo, mentre ogni porzione di questo universo lo è. Dobbiamo esserne felici, non tristi. Siamo il testimone della staffetta della vita, siamo una parte di immortalità mortale: non è un gioco di parole. Sentirsi speciali provoca una breve euforia, seguita da una profonda solitudine perché avvertiamo che nessuno è davvero come noi. Invece, al bando la malinconia».
Lei parla anche di una sorta di trasmigrazione di anime quando gli uomini si scambiano idee, per esempio scrivendo e leggendo.
Un’altra piccola immortalità?
«Credo che nel corpo della Recherche ci fosse più Proust che dentro Proust.
Siccome l’anima non l’ha mai vista nessuno, direi che questa cosa la possiamo pure chiamare così: anima. E di certo trasmigra in noi quando leggiamo, per non lasciarci più. A nostra volta la passiamo ad altri: riciclaggio di materia».
Possiamo dire che l’universo è un’amministrazione comunale in cui la raccolta differenziata dei rifiuti funziona benissimo?
«Ah, questa è buona! E non dobbiamo preoccuparci di essere carne riciclata, perché l’universo ci sa fare».
Scusi, ma allora siamo anche cibo per virus? Compreso il Covid?
«Certamente. La reazione planetaria alla pandemia, con la politica che ha saputo mettere in discussione l’economia degli Stati pur di salvare vite umane, ci dimostra che nel mondo non potranno mai più esistere destini separati, perché carnalmente siamo tutti uguali. Il virus non ci ha lasciato solo milioni di morti, ma una formidabile eredità culturale».
Cosa significa che «al cuore di ogni vita c’è materia minerale»?
«Vuol dire che siamo fatti della stessa sostanza del creato, dei medesimi atomi della Terra, cioè di Gea. Siamo modificazioni chimiche della Terra in movimento dal primo giorno della vita, qui. Questo, personalmente mi trasmette un grande senso di pace.
Sentirmi una sorta di roccia animata mi piace parecchio».
E poi respiriamo l’ossigeno delle piante: il mondo è un’entità più vegetale che zoologica?
«Il mondo è un giardino più che uno zoo. Gli alberi portano dentro di noi una porzione del sole attraverso la sua energia catturata, elaborata e insufflata negli altri esseri viventi.
Adamo non esiste».
E Dio?
«Tutto è divino perché tutto è sublime. Dio è la Terra, è la materia, non è un signore con la barba seduto sopra le nuvole. Ogni vivente è espressione assoluta del divino, e questo in natura lo può credere benissimo anche un ateo».
C’è una parola in questo libro a forte rischio di ambiguità: reincarnazione. Viene subito da pensare agli Egizi o ai pellerossa.
«La reincarnazione è soltanto una forma di metamorfosi: facciamo entrare il corpo d’altri nel nostro almeno tre volte al giorno. Mangiare è questo. Io mangio il pollo e il pomodoro, e morendo nutrirò il pomodoro e il pollo. La vita è un continuo scambio di carne, quanto di meno intimo possediamo anche se si pensa sempre il contrario: lo dimostra la nascita, moneta di scambio, circolazione di materia».
Il concetto di reincarnazione non soffre anche di pregiudizi culturali?
«Eccome, è un vero e proprio tabù.
Perché è l’esatto contrario del termine resurrezione, che ha da sempre un clamoroso successo: risorgere dai morti con questo stesso corpo.
Un’idea narrativamente bellissima ma del tutto sbagliata, incompatibile con metamorfosi e reincarnazione».
Ci perdoni, professore: ma al prossimo giro in chi o in che cosa ci reincarneremo?
«Tutto può succedere, però consoliamoci: non sarà comunque l’ultimo giro di giostra. Avremo altre eterne possibilità».