Il Messaggero, 11 aprile 2022
Un aereo fatto di spugne marine
Una spugna marina che vive negli abissi oceanici potrebbe rivoluzionare il modo di costruire aerei, navi e persino grattacieli. Questa la scommessa di un team di ricerca internazionale, coordinata da Giacomo Falcucci dell’Università di Roma Tor Vergata, insieme a Sauro Succi dell’Istituto Italiano di Tecnologia e Maurizio Porfiri della New York University, che ha utilizzato uno dei computer più potenti al mondo, il Marconi100, per studiare – per la prima volta – i flussi idrodinamici dell’acqua marina, all’interno della struttura della bellissima Euplectella aspergillum, più nota come spugna di vetro.
Ricercatori di fisica, biologia ed ingegneria insieme per studiare una spugna marina. Perché?
«Questo organismo ci ha colpito prima da un punto di vista estetico, vive in profondità nell’oceano, tra 100 e 1000 metri, dove non arriva la luce del sole e nessuno può vedere la sua bellezza. Inoltre ha delle caratteristiche strutturali molto particolari, già note alla scienza, ma da un punto di vista interdisciplinare, nessuno ha mai cercato di capire come funzionasse l’ecologia funzionale della spugna, per cui è stato necessario radunare una serie di expertise per rispondere alle domande ancora aperte».
Quali caratteristiche della spugna di vetro, la rendono più interessante di altre?
«È un organismo tra i più antichi della Terra, si trova principalmente nel Pacifico, abbonda sulle coste orientali di Australia, Filippine e Giappone, dove è anche un dono di nozze, perché nella crescita una coppia di gamberetti resta imprigionata all’interno, per cui è un augurio di lunga vita alla coppia di futuri sposi. Il suo scheletro è fatto da capelli di vetro dal diametro di 0,2 millimetri, e secerne la silice, essenziale per il suo metabolismo, che forma questa struttura all’apparenza molto fragile, che invece riesce a sopportare le correnti oceaniche. Il nostro gruppo per la prima volta ha indagato il funzionamento della spugna dal punto di vista fluidodinamico».
Uno studio che ha impegnato ricercatori italiani dislocati su tre continenti: Europa, Australia, Stati Uniti. Che tipo di indagine avete fatto?
«Tutto è partito dall’assegnazione di un Grant, che mi consentiva di accedere a 2 milioni di ore di supercalcolo effettuato dal Marconi100 del Cineca; così abbiamo adattato i codici di calcolo e svolto una simulazione talmente complessa che abbiamo dovuto chiedere al Cineca altre ore di estensione per usare un’alta percentuale della macchina, all’epoca nella top ten delle più potenti al mondo. Gli stessi calcoli sono all’avanguardia perché nessuno al mondo avrebbe potuto farli su una geometria complessa come la spugna, anche grazie al metodo di calcolo, Lucen Bozmann, di cui Succi dell’IIT è uno dei padre fondatori mondiali».
Cosa è emerso dal vostro studio?
«I risultati ottenuti andavano oltre la comprensione dei singoli scienziati del team e proprio l’insieme dell’expertise di chimici, ingegneri e fisici ha reso possibile la traduzione dei calcoli. La spugna ha una caratteristica morfologica con funzioni di fluidodinamica molto avanzate: tutti gli elementi che concorrono a formare la sua struttura riducono la spinta dell’acqua, che consente alla spugna di restare ancorata al suolo senza fatica. Le stesse strutture che riducono la resistenza dell’acqua, creano dei vortici all’interno della cavità corporea, che le consentono di alimentarsi e riprodursi in modo efficace. È stata necessaria la presenza di un biologo nel gruppo, per spiegare il ruolo di quei vortici, ad ingegneri e fisici incomprensibile, che aumentano il tempo di permanenza del fluido nella spugna, permettendo il filtraggio delle sostanze in sospensione nell’acqua».
Capire la struttura della spugna che si è adattata ad un ambiente ostile, come il fondo dell’oceano, che tipo di applicazione può avere nel nostro mondo?
«Sfruttare l’evoluzione di milioni di anni di uno degli organismi più antichi sulla Terra, per noi ingegneri è una fonte d’ispirazione. Prima di tutto la struttura può essere studiata per realizzare dei grattacieli più snelli ed esteticamente più belli, che immagino ispirati alle bellissime forme della spugna marina, sfruttando la struttura che riesce a raggiungere 30-50 centimetri di altezza pur essendo fatta di capelli di vetro. Poi si potrebbero creare dei filtri, per aumentarne l’efficienza, magari applicabili contro le polveri sottili o gli agenti inquinanti. E ancora dei reattori chimici con la forma della spugna, potrebbe sfruttare quel principio di permanenza scoperto dal biologo, con un migliori rendimento nella produzione di farmaci».
State pensando ad un utilizzo anche per aerei e navi. Come mai?
«Strutture più leggere e resistenti che riducono la resistenza all’acqua e all’aria potrebbero essere di grande interesse nell’industria aerea e navale. Nel caso delle navi, pensiamo ai bulbi, cioè la parte anteriore ed arrotondata delle navi, con geometrie che possono ricordare lo scheletro della spugna. Insomma siamo convinti che potrebbe essere un’innovazione con forti ripercussioni nella costruzione navale».
Questo studio avrà uno step successivo o ci sono già contatti per applicarla?
«Intanto la ricerca va avanti con calcoli e simulazioni, ma stiamo anche scrivendo dei progetti di ricerca che speriamo vengano finanziati e vorremmo proporre una collaborazione all’architetto Renzo Piano. Sarebbe bello visto che tutto il nostro team è italiano».
Lei è docente a Tor Vergata e nella prestigiosa Harvard. Cosa abbiamo di più e cosa abbiamo in meno, rispetto ad un’università così importante?
«Sono arrivato a Harvard nel 2014, posso dire che non sono più preparati di noi dal punto di vista accademico, l’eccellenza dell’ingegneria italiana ci ha sempre contraddistinto. Loro hanno una maggiore facilità di accesso ai finanziamenti, in Italia, come sappiamo, è molto difficile».