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 2022  aprile 11 Lunedì calendario

Storia della crisi economica ucraina

Sono passati quasi dieci anni dalla finale di Kiev degli europei di calcio persa per 4-0 dall’Italia contro la Spagna. Quel torneo, svolto nei nuovi scintillanti stadi costruiti tra Polonia e Ucraina, fu una grande vetrina per le due repubbliche ex-sovietiche. Soltanto 16 mesi dopo l’Ucraina piombò in una tremenda crisi politica ed economica a seguito delle proteste di Maidan, dell’invasione russa della Crimea e delle spinte separatiste nel Donbass. L’Ucraina arrivò all’estate 2012 coi segni evidenti di una fragilità economica pronta a esplodere. Dopo la rivoluzione arancione del 2004 conobbe un periodo estremamente florido che è durato fino al 2008, al crollo della Lehman Brothers. Il Pil crebbe in media di oltre il 6% all’anno, la disoccupazione passò dal 10 al 6%, il reddito pro-capite aumentò di quasi il 25% e il debito pubblico nel 2007 toccò il minimo storico del 12% del Pil. Quella crescita mise le basi della successiva fragilità, perché si fondava su un modello estremamente squilibrato di sviluppo, comune tanti altri Paesi emergenti.
I capitali internazionali erano affluiti copiosi, circa 120 miliardi di dollari in cinque anni, 70 solo tra il 2007 e il 2008, gonfiando il settore immobiliare che insieme a quello dei servizi costituiva il principale veicolo di crescita. Secondo i dati di globalpropertyguide.com i prezzi degli immobili residenziali a Kiev passarono da 1.250 dollari a metro quadro del 2005 a oltre 3.000 nel 2008. Crebbero anche i prezzi dei beni al consumo: l’inflazione dal 9% del 2004 superò il 25% nel 2008. La perdita di competitività si manifestò nei conti con l’estero, che passarono in cinque anni da un surplus di 7 miliardi di dollari a un deficit di 13. Come se non bastasse, complice il cambio fisso della valuta ucraina hryvnia rispetto al dollaro, molti acquirenti immobiliari e imprese preferirono sottoscrivere prestiti in dollari, per sfruttare i tassi d’interessi più bassi. I dati del Fondo Monetario evidenziarono che nel 2008 circa il 60% dei prestiti bancari erano in valuta estera ed erano oltre 2,5 volte i depositi. Sarebbe così bastato un semplice stop all’arrivo di nuovi capitali e il crollo del mercato immobiliare per far venire giù tutto. È quello che è capitato nel 2008: l’anno dopo il Pil scese di 15 punti, la disoccupazione aumentò di 2,5 punti e il debito pubblico salì al 35%. Come spesso succede corruzione e malversazione dilagarono. A ottobre 2008 l’Ucraina avviò le richieste di prestiti al Fmi che ne hanno caratterizzato l’economia fino a oggi.
I fondi sono arrivati, al solito, in cambio di memorandum e riforme da applicare: riforma della P.A., consolidamento fiscale, miglioramento della riscossione e riduzione di sussidi e spese, liberalizzazione dei prezzi del gas e lo sganciamento della valuta dal dollaro. All’inizio gli ucraini mostrarono resistenze per non aggravare la crisi, scaricando il peso soprattutto sulle fasce più deboli: dal 2010 al 2013 la crescita media fu sotto il 2%, rendendo impossibile recuperare il crollo del solo 2009. Nel 2013 il reddito pro-capite era ancora il 6% sotto il valore di cinque anni prima. Fu allora che iniziò il dialogo con l’Ue, che doveva culminare nel summit di Vilnius del novembre 2013 sancendo l’ingresso dell’Ucraina nell’area di libero scambio con l’Unione Europea. Pochi mesi prima della firma, ad agosto 2013, la Russia mise sotto embargo tutte le importazioni dall’Ucraina per far naufragare l’accordo: l’export ucraino verso Mosca – all’epoca era circa un quarto del totale – crollò. Per sbloccare nuovi aiuti, il Fmi chiese tagli al bilancio statale e l’aumento delle tariffe del gas del 40%. Il diktat del Fondo e l’embargo russo furono la giustificazione addotta dal presidente Viktor Yanukovych per ritirarsi dall’accordo con l’Ue e rafforzare i rapporti con Mosca. Neanche un mese dopo venne sottoscritto il “piano d’azione”, con il quale Mosca si sostituiva al Fmi nel salvataggio finanziario dell’Ucraina. Le condizioni del prestito da 15 miliardi erogato dal governo russo e di altri 5 miliardi dalle banche russe erano accompagnate da un taglio del 35% al prezzo del gas fornito dalla Russia alla società petrolifera nazionale Naftogaz. Non sappiamo cosa venne chiesto in cambio. Reuters scrisse che Putin aveva ottenuto la cessione dell’infrastruttura di distribuzione del gas in Ucraina. Il resto è storia: la rinuncia all’accordò con l’Ue portò alle proteste di piazza con la fuga Yanukovych e la revoca del piano d’azione, l’invasione della Crimea e la guerra in Donbass.
Alla crisi economica si sommò anche quella finanziaria con il crollo della hryvnia. Il nuovo salvataggio del Fondo Monetario del 2014 impose lo sganciamento dal dollaro perché le riserve valutarie si erano ormai dissanguate: il dollaro passò in un anno da 8 a 27 hryvnia; l’inflazione fu del 12% nel 2014 e del 50% nel 2015. Il peso dei prestiti contratti in dollari dalla popolazione e dalle imprese aumentò in modo insostenibile e più della metà andò in default. La svalutazione della moneta e la relativa inflazione provocò anche una corsa agli sportelli per convertire in valuta estera i depositi; 90 banche, inclusa la principale banca privata del Paese, furono poste in risoluzione. Nel 2015, sempre su richiesta dell’Fmi, venne ristrutturato parte del debito pubblico con un taglio del 20% del valore e l’estensione delle scadenze di quattro anni. L’operazione, che coinvolgeva circa 18 miliardi di debiti, ebbe il consenso dei creditori per 15 miliardi; la Russia deteneva gli altri 3, frutto della prima e unica tranche del “piano d’azione”. Il bond è ancora oggetto di contenzioso presso il tribunale di Londra.
Da allora l’economia ucraina ha vissuto in un limbo. Privata del pieno controllo di una importante parte manifatturiera come quella del Donbass e persa la Crimea, è tenuta in vita dai prestiti bilaterali e del Fmi, avendo scarso accesso al mercato. Prima del Covid, il Pil non aveva ancora recuperato i valori del 2008. Anche se l’export è cresciuto in questi anni, resta limitato a poche tipologie di materie prime e beni alimentari e non è sufficiente a compensare l’import. Se il gasdotto NordStream2 fosse partito avrebbe perso anche i diritti di transito pagati da Gazprom. I conti con l’estero rimangono in lieve deficit solo grazie alle rimesse degli emigrati.
L’impatto della guerra sarà devastante. Si stima un crollo del 30% del Pil. Il collasso finanziario è al momento evitato grazie ai prestiti internazionali, ma il sistema produttivo è danneggiato. Per risollevare l’economia ucraina questa volta non basteranno i continui prestiti. Servirà un enorme piano di ricostruzione, che non possono finanziare. Conclusa la guerra, per non lasciare alla povertà gli ucraini serviranno molti capitali e la cancellazione del debito esistente, in modo che si possa così tagliare definitivamente i ponti con gli ultimi 13 anni di crisi.