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 2022  aprile 11 Lunedì calendario

La Wagner ha fatto strage anche in Mali


Quante persone sono state uccise a Moura tra il 27 e il 31 marzo? 300, 400, 600? Probabilmente non lo sapremo mai. “A un certo punto ho smesso di contare”, dice F., che prima di fuggire dal villaggio martire ha seppellito insieme ad altri i cadaveri che giacevano nelle strade. Uomini che erano stati uccisi da soldati maliani e miliziani stranieri, descritti da diversi testimoni come “bianchi” che parlavano “una lingua sconosciuta”. Probabilmente dei mercenari russi del gruppo Wagner, presente in Mali dalla fine del 2021. In un rapporto dello scorso 5 aprile, l’Ong Human Rights Watch, basandosi su una trentina di testimonianze, alcune dirette, ha parlato di 300 morti, “civili, alcuni dei quali – ha precisato – sarebbero dei combattenti islamisti”. Il responsabile di una Ong maliana per i diritti umani che ha raccolto le testimonianze dei sopravvissuti (e di cui preferiamo non fare il nome per motivi di sicurezza) parla invece di “più di 600 morti, una grande maggioranza dei quali sono civili”.In un comunicato pubblicato il primo aprile, il ministero della Difesa del Mali ha indicato di aver neutralizzato 203 “terroristi” e di averne arrestati altri 51, precisando che l’esercito era intervenuto sulla base di “informazioni molto precise” riguardo alla presenza sul posto di “una riunione di jihadisti”. Nella nota veniva precisato che erano state “bruciate e sequestrate 200 moto”, oltre che “quantità importanti di armi e munizioni”. L’esercito non ha fornito immagini degli oggetti sequestrati. Un gran numero di cadaveri sarebbe stato sepolto dai soldati in fosse comuni scavate dagli abitanti di Moura. Secondo i testimoni contattati da Mediapart, i corpi sarebbero stati cosparsi di benzina e bruciati. Quando i soldati hanno lasciato i luoghi, le persone che erano sopravvissute al massacro hanno trovato dozzine di altri cadaveri sparsi per il villaggio e li hanno sepolti. Per Human Rights Watch è “il peggiore massacro” commesso in Mali dall’inizio del conflitto, dieci anni fa. Una fonte Onu di stanza a Bamako parla a sua volta di “carneficina indescrivibile”. Mentre scriviamo, la missione Onu non ha ancora potuto recarsi sul posto per portare avanti le indagini, ma ci sono pochi dubbi: “I primi elementi che abbiamo raccolto sono chiari – spiega la fonte –. Siamo di fronte a un crimine di guerra come non ne abbiamo mai visti prima qui in Mali”. Se non è ancora chiaro come si sono svolti i fatti, dato anche il mutismo dell’esercito maliano, le testimonianze raccolte dalle Ong e dalla Minusma, la missione delle Nazioni Unite in Mali, danno un’idea di quanto è accaduto a Moura tra domenica 27 e giovedì 31 marzo. Secondo un funzionario Onu, quello che è successo non è stato di sicuro un “incidente”. C’è stata al contrario, secondo lui, la “volontà precisa di terrorizzare” le popolazioni locali. La domenica è giorno di mercato a Moura. Il mercato del bestiame che si tiene qui è uno dei più grandi della regione. Quella domenica c’era quindi molta gente nel villaggio, che conta quasi 10mila abitanti di diverse comunità (sarakollé, fulani, bozo, bambara, ecc.). I jihadisti sembravano più numerosi del solito. Avevano previsto di organizzare una riunione a Moura quel giorno, come sostengono le autorità maliane? O erano semplicemente fuggiti a altri rastrellamenti dell’esercito maliano e degli “ausiliari” russi portati avanti nell’ambito dell’operazione Kélétigui (“colui che fa la guerra”, in lingua bambara), lanciata a fine 2021 nel centro del Mali? Moura, come tutte le località di questa regione, vive sotto scacco dei jihadisti da quasi sei anni: le scuole sono chiuse e gli abitanti devono rispettare certe regole.
Gli uomini in particolare sono tenuti a indossare pantaloni corti e a farsi crescere la barba, come i jihadisti. È noto che il mercato di Moura è frequentato dai membri della katiba Macina, una componente del Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin (JNIM), il Gruppo d’Appoggio all’Islam e i Musulmani, un’organizzazione terrorista che riunisce i principali gruppi legati ad Al-Qaeda nella regione. Al mercato di Moura comprano i viveri di cui hanno bisogno, ma soprattutto vendono il bestiame che hanno “prelevato” dalle mandrie della regione, in nome della zakat, una tassa che impongono agli allevatori delle zone che controllano. “Moura è una base importante per i jihadisti – riconosce F. –, ma non per questo siamo tutti loro complici. Quando sono arrivati nel 2016, hanno ucciso tutti quelli che si opponevano. Cosa possiamo fare?”. Quella domenica, i primi spari sono stati sentiti intorno alle 11. Degli elicotteri (tra tre e cinque, a seconda delle testimonianze) hanno cominciato a sorvolare il mercato e le case e a sparare sulle persone che cercavano di ripararsi. Sono poi arrivati i militari. “I jihadisti hanno iniziato a sparare e l’esercito ha risposto – ha raccontato un commerciante a Human Rights Watch –. La gente fuggiva in preda al panico, cercando di nascondersi. Altri soldati sono scesi dagli elicotteri. Erano dappertutto. Le persone sono rimaste intrappolate”. Il villaggio è rimasto sotto assedio per cinque giorni. È successo l’indescrivibile. I testimoni parlano di esecuzioni sommarie, di corpi gettati nelle fosse e dati alle fiamme. “I soldati maliani e i bianchi che li accompagnavano hanno arrestato tutti gli uomini e intimato a chi si nascondeva di uscire allo scoperto – spiega M., sopravvissuto al massacro –. Poi hanno cominciato a selezionare gli uomini in base al loro aspetto fisico e a come erano vestiti. Quelli che assomigliavano a fulani o erano vestiti da jihadisti, con i pantaloni corti, venivano messi da un lato. Alcuni sono stati fucilati davanti ai nostri occhi. Altri venivano portati più lontano per essere uccisi. Io e altri siamo stati interrogati uno a uno dagli uomini bianchi, con l’aiuto dei soldati maliani che traducevano. Alcuni sono stati uccisi, a me e ad altri ci hanno lasciato in vita”. “Non ha alcun senso dividere gli uomini in base ai loro vestiti – osserva, restando anonimo, il membro di una ONG, che vive a Sévaré e conosce bene la regione di Moura, dove viene regolarmente per lavoro –. Qui gli uomini non hanno scelta. Se non rispettano le regole dei jihadisti, rischiano di farsi uccidere. Allora tutti assomigliano ai jihadisti e si vestono come loro”.
Secondo i due testimoni, sopravvissuti all’assedio, con i quali Mediapart ha potuto parlare, se tra le vittime si possono contare di sicuro dei jihadisti, la maggior parte erano però dei civili. Al terzo giorno di assedio, i soldati hanno chiesto alle donne di uscire dalle case dove si nascondevano. “Hanno iniziato a perquisire tutte le case, una dopo l’altra – continua M. –. Hanno ucciso gli uomini che vi si nascondevano e si sono portati via tutto quello che potevano. Hanno soprattutto saccheggiato i negozi”. Secondo testimonianze indirette raccolte dalle Ong, alcune donne sarebbero state stuprate. L’operazione militare si è conclusa giovedì 31 marzo, intorno a mezzogiorno. “I militari sono ripartiti con una cinquantina di prigionieri e hanno rilasciato gli altri”, dice M. Secondo Human Rights Watch, l’operazione avrebbe coinvolto “più di 100 soldati russi e numerosi soldati maliani”. “Gli abusi commessi dai gruppi islamisti armati non giustificano in alcun modo il massacro di civili da parte dell’esercito”, osserva Corinne Dufka, responsabile per il Sahel a Human Rights Watch. Francia, Stati Uniti e Unione Europea hanno condannato il massacro e si sono detti “preoccupati” per la possibile presenza del gruppo Wagner. Da parte sua, la Minusma, additata per non essere intervenuta pur avendo una base a Mopti, a meno di 50 chilometri da Moura, ha avviato un’inchiesta per far luce su questo massacro. Ma per avanzare nelle loro indagini, gli investigatori della Nazioni Unite devono poter recarsi sulla scena degli eventi e hanno bisogno delle autorizzazioni del governo maliano per avervi accesso, autorizzazioni che, da giorni però Bamako accorda col contagocce.
(Traduzione di Luana De Micco)