il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2022
Intervista ad Alessandra Ghisleri
La clessidra è sul tavolo. Quanto tempo ancora resteremo sintonizzati sulla guerra in Ucraina? Quanto tempo passerà prima che le altre nostre paure e gli altri nostri guai ci affliggeranno al punto di dimenticare Kiev?
C’è una specie di innovazione visiva dell’orrore. Prima lo vedevano iscritto in una composizione sottratta agli occhi. Penso alla guerra in Iraq con boati lontani che esplodevano all’orizzonte. Erano fuochi ciechi: bisognava immaginare il dolore. Oggi le telecamere insistono dove mai si sono permesse di arrivare.
Alessandra Ghisleri pensa che resteremo sintonizzati dunque.
Penso invece non per molto ancora.
L’assuefazione persino all’orrore produrrà il virus dell’indifferenza?
L’attività declinante dell’attenzione nel tempo prolungato è un fenomeno naturale. Poi c’è l’insidia della doppia realtà: alla televisione guardiamo la guerra, quando la spegniamo restiamo con la nostra vita. E per molti concittadini è una vita dura e piena di problemi pratici. L’attenzione per gli altri in questi casi va a farsi friggere.
Tutti pronosticano un innalzamento del livello della barbarie.
Tra gli obiettivi non militari che spingeranno ad aumentare se possibile la crudeltà e l’orrore c’è appunto quello di tenere ferma l’attenzione del mondo, tenerlo incollato a quella guerra.
Cosa sono disposti a dare gli italiani agli ucraini?
Per la prima volta si trovano davanti a un bivio: da una parte sostenere la lotta per la libertà dell’Ucraina, dall’altra difendere la propria condizione economica. Per tutto il dopoguerra la libertà ha significato maggiore benessere. Oggi le due parole non camminano unite.
Al dunque sceglieremo il nostro benessere?
Detto che c’è una quota rispettabile di italiani che simpatizza per la Russia (ma è un dato storico), ho un po’ indagato per conoscere le intenzioni della maggioranza. Ho rifatto una domanda avanzata ai cittadini tedeschi ed è venuto fuori che siamo disponibili ai sacrifici, ma limitati nel tempo. Il senso comune degli italiani però avverte distanza da chi vuole fare il corpo a corpo con Putin. Si ha un certo timore di quest’uomo, lo si giudica senza troppo senno, una condizione che potrebbe spingerlo a combinare guai ancora più grandi, e questa volta anche contro l’Italia.
Quindi siamo un popolo generoso con le parole?
Siamo solidali anche con i fatti. Il buon cuore totalizza un sacco di punti, però prudenza.
L’Europarlamento propone la rinuncia totale al gas e al petrolio russi.
La guerra economica per una quota rilevante della società non è sostenibile per molto tempo.
Lei si riferisce al condizionatore da tenere spento?
Quale condizionatore? Per molta gente è il lavoro che va a farsi friggere. La crisi economica è una realtà e dalla Francia la risalita clamorosa nei sondaggi di Marine Le Pen, che sul carovita ha fatto la campagna elettorale dimenticando totalmente la guerra, deve far riflettere.
Nota anche lei che il governo e i partiti illustrino due piattaforme distinte?
Abbiamo un governo tecnico, quindi il premier Draghi non deve rispondere al corpo elettorale e può permettersi un rigore nella battaglia a fianco di Kiev che i partiti faranno fatica a seguire.
Infatti tengono un profilo basso, ne parlano meno possibile.
Devono riorientare le proprie politiche e capire fin dove possono arrischiare una decisione che metterebbe l’economia in grave difficoltà. Gli italiani, così come gli altri europei, gestirebbero questa crisi bellica con un pizzico di prudenza in più.
Si è detto che l’Europa sia rinata dopo l’attacco di Mosca. Tra un po’ diremo che l’Europa sarà franata sotto le bombe di Mosca?
La questione è quanto crudele si farà la crisi economica.
Non quanto crudele si farà la guerra.
Direi che ci siamo capiti.