L’Economia, 11 aprile 2022
La Cina sta frenando
Ricordate l’ammirazione del mondo, all’inizio della pandemia, quando la Cina costruiva un enorme ospedale anti-Covid nel giro di pochi giorni, a Wuhan? Fast forward: due anni dopo, in questi giorni, ci siamo di nuovo: sta trasformando il National Convention & Exhibition Center di Shanghai in un enorme Fangacang, un ospedale temporaneo di oltre 40 mila letti.
La grande città sulla costa cinese, 26 milioni di abitanti, ha avuto un’esplosione nel numero di casi ed è di fatto chiusa da due settimane: segue inevitabilmente la politica di Zero-Covid imposta dal governo sin dal gennaio 2020 a tutto il Paese. Le autorità locali faticano a mettere in pratica la politica di lockdown strettissimi voluta dal presidente Xi Jinping. La vicepremier Sun Chunlan si è dunque recata sul posto per spingere a interventi sempre più stretti. Il segretario del Partito Comunista di Shanghai, Li Qiang, che è anche membro del Politburo del Partito, potrebbe perdere il posto, già si discute di chi potrebbe sostituirlo.
È che, 27 mesi dopo, l’epidemia in Cina ha ripreso a correre. Xi non può permettere che l’ordine di isolare drasticamente ogni focolaio di infezione sia disatteso o rovesciato: è una sua decisione chiave e rinnegarla ne ridurrebbe il prestigio. In più, il sistema della sanità cinese non è preparato ad affrontare una situazione nella quale il virus è lasciato correre nella società, come sta avvenendo nella maggior parte dei Paesi occidentali. Il rischio è che la variante Omicron si espanda decisamente in molte regioni (sta già avvenendo in qualche caso), che i lockdown si moltiplichino e che l’economia ne soffra seriamente.
Il nervosismo è evidente. A Shanghai mancano autisti di camion, Tesla ha chiuso per diversi giorni la fabbrica, i trader del mercato finanziario campeggiano negli uffici perché se uscissero non potrebbero rientrare in ufficio, il numero di navi fuori dal grande porto sta aumentando perché la logistica dei terminal è in difficoltà. In un video finito online, si vede un uomo, nel distretto di Pudong di Shanghai, portato via perché infetto e poi un lavoratore anti-Covid picchiare a morte, con un bastone, il suo cane: folle pulizia sanitaria.
Le chiusure di attività, non solo nella grande metropoli, si aggiungono a una situazione economica già difficile. Una riunione del Comitato Esecutivo del Consiglio di Stato (il gabinetto di governo), presieduto dal premier Li Keqiang, ha spiegato che le incertezze e le complessità della situazione in casa e all’estero hanno superato le aspettative e che l’economia è frenata nei settori dell’agricoltura, dell’energia, delle altre materie prime e ha rischi al ribasso a causa dei recenti casi di Covid-19. Quindi, per aiutare le imprese in difficoltà finanziarie, verranno sospesi, nel secondo trimestre dell’anno, i loro versamenti pensionistici nei settori di turismo, trasporti ferroviari, aviazione civile, commercio al dettaglio navigazione e altri. In più viene aumentata la copertura assicurativa contro la disoccupazione, sarà aiutata l’attività agricola e le imprese finanziarie dovranno sostenere la crescita dei consumi.
È che la mancanza di un Welfare State significativo spinge da sempre i cittadini a spendere poco, ancora meno nei momenti di crisi: ogni volta, quindi, servono misure speciali temporanee per sostenere l’economia. La riduzione della bolla immobiliare e delle infrastrutture inizia a farsi sentire anche al di fuori del settore. Era iniziata con un restringimento delle regole dell’attività nel Real Estate che hanno portato a crisi aziendali, la più conosciuta quella di Evergrande. Ora, c’è un contrordine e si rilassano le regole. Il problema è che, come un po’ ovunque capita nelle fasi di boom economico, si è costruito troppo negli anni scorsi: l’invenduto e il non affittato è enorme. Difficile rilanciare ora le costruzioni. Ma a peggiorare la situazione è il fatto che le amministrazioni locali contano sulle entrate dalla concessione di licenze edilizie per circa un terzo delle loro entrate. Entrate che ora crollano lasciando nel panico gli amministratori, con la conseguente riduzione dei servizi.
L’altro grande motore della crescita cinese, le esportazioni, vede addensarsi nubi, a causa delle tensioni geopolitiche. La prudenza con la quale Pechino tratta gli acquisti di energia dalla Russia – le aziende di Stato per ora non firmano nuovi contratti con Mosca – segnala il timore dei vertici del Partito che ciò possa provocare sanzioni secondarie dagli Stati Uniti per chi fa affari troppo rilevanti con i russi. Ciò potrebbe avere serie conseguenze sulle esportazioni che a Pechino serviranno ancora probabilmente per anni, intanto che cercherà di sostituirle con un più forte mercato interno per potersi affrancare maggiormente da Usa ed Europa.
Sembra insomma di essere in presenza di un’involuzione della Cina. Certamente dal punto di vista economico, con il Partito Comunista che è sempre più interventista e che penalizza le imprese private, soprattutto dell’hi-tech. E certamente anche dal punto di vista della politica internazionale: l’appoggio non dichiarato ma evidente all’invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin cambia la posizione internazionale di Pechino, la colloca vicino a un partner che non è detto sia destinato a vincere l’aggressione e il sostegno internazionale.
È un mix che avrà effetti forse massicci sull’Europa, per la quale il mercato cinese è di grande rilevanza. Ogni giorno che passa, si capisce che il summit Eu-Cina dello scorso 1° aprile è andato male: i cinesi volevano che si discutesse con una compartimentazione di temi, lasciando a margine la guerra in Ucraina e concentrandosi sugli affari. Ma Bruxelles non è cascata nel business as usual. «Dialogo tra sordi», così il rappresentante della politica estera Ue, Josep Borrell, ha definito il confronto con Xi e Li.
Qui c’è un avvertimento per le imprese, anche quelle italiane: quattro decenni di collaborazione con la Cina sono in via di ridefinizione.
In questo quadro, Xi Jinping va verso il congresso del Partito Comunista Cinese, che si terrà nella seconda parte dell’anno. È il congresso che dovrebbe approvare il suo terzo mandato (di cinque anni) al vertice di Partito e Paese e collocarlo nell’olimpo dei leader comunisti di fianco a Mao Zedong e Deng Xiaoping. Ma come sarà la situazione, nell’autunno a Pechino, se la pandemia non sarà sotto controllo e la politica di Zero-Covid risulterà sbagliata, se l’economia crescerà meno del 5,5% che è l’obiettivo, se la bolla immobiliare darà problemi finanziari e se la guerra di Putin, di fatto avallata da Xi, finirà male? Mao e Deng lo guarderebbero dall’alto in basso. Sta cambiando tutto: anche la Cina non sarà più quella di prima per gli europei.