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 2022  aprile 11 Lunedì calendario

L’archivio dei crimini di guerra dei russi

Cinquemila e seicento crimini di guerra dal 24 febbraio a oggi: cinquemila e passa azioni, cinquemila patimenti, cinquemila «file» di immagini e testimonianze. Questo archivio dell’orrore, e di giustizia in costruzione, è curato e aggiornato da Iryna Venediktova, 43 anni, originaria di Kharkiv. È lei, prima donna a ricoprire il ruolo di Procuratrice Generale dell’Ucraina, a coordinare le indagini e vagliare il materiale. Un archivio di fatti e di prove che il governo di Kiev ha voluto mettere subito online (war.ukraine.ua/russia-war-crimes/), quasi in tempo reale. È stato il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba a lanciarlo via Twitter: «Le prove delle atrocità commesse dall’esercito russo serviranno ad assicurare che i criminali di guerra non sfuggano alla giustizia». 
Certo, ci vorrebbe anche una sezione che segnali i crimini attribuiti ai militari ucraini, ci vorrebbe anche una certa freddezza nella presentazione dei casi. Ma il distacco non è facile, quando ogni giorno porta la sua pena. Quando la paura è non riuscire a dare conto di tutto. La procuratrice Venediktova ha detto che per quei quasi seimila crimini sono già stati individuati 500 sospetti. 
Molti segugi. A Dnipro la Molfar, società che in tempo di pace si occupava di aziende, ha recuperato finora i nominativi di 80 dei 1.060 soldati russi che avrebbero gestito l’occupazione di Bucha e dei suoi 40 mila martoriati abitanti. Anche la Corte Penale Internazionale ha lanciato un portale per chi voglia fornire testimonianze. Il bilancio della Cpi dà la misura delle difficoltà e delle frustrazioni: da quando è nata nel 2002, sono state messe sotto accusa per crimini di guerra o crimini contro l’umanità «soltanto» 46 persone (quasi tutte africane): soltanto due stanno scontando una pena, sei hanno pagato già il loro conto con la giustizia internazionale. Che per altri è rimasto in sospeso. Nel 2020 la Cpi concluse la sua inchiesta sui crimini commessi in Ucraina nel 2014-2015, durante l’annessione della Crimea e il conflitto fomentato dai separatisti del Donbass. L’esito fu che crimini di guerra erano stati commessi anche allora. Ma la Cpi non andò avanti, adducendo una mancanza di risorse e «le difficoltà» dovute al Covid. 
Scorrendo l’archivio messo online dal governo ucraino – un catalogo che comincia con il suono lugubre di una sirena – sembra impossibile che questa volta cinquemila e passa crimini di guerra possano essere archiviati così, per mancanza di fondi. Questa volta dovrebbe essere un’altra storia. Mille missili lanciati sulle città, 6.800 infrastrutture civili colpite, 21 ospedali, 18 scuole, almeno 1.563 civili uccisi (167 bambini), 2.213 feriti. Grandi massacri (il teatro e l’ospedale di Mariupol, la stazione di Kramatorsk) accanto a tragedie più nascoste. Due anziani uccisi da un colpo di mortaio mentre mangiavano qualcosa su una panchina di un quartiere residenziale di Kharkiv. Oppure Olga di Irpin, che racconta gli ultimi minuti dell’amica Marina Met: «Ha chiamato un taxi per fuggire, lei e il figlio Vanya hanno raccolto quattro cose e sono usciti. In quel momento un carro armato russo gli ha sparato addosso. Li hanno sepolti nel cortile del loro palazzo». 
Jake Sullivan, consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, ieri ha detto che il piano «per terrorizzare e brutalizzare» i civili in Ucraina arriva dai «più alti livelli» del Cremlino, fino a Vladimir Putin. Provarlo non sarà facile. Ma per condannare Karadzic ci sono voluti vent’anni, ricorda all’Observer Alex Whiting, oggi docente a Harvard e ieri procuratore al Tribunale Onu per l’ex Jugoslavia. E in Bosnia non c’erano gli smartphone a documentare le atrocità. «Il grande elemento facilitatore è proprio questo: open source intelligence». Il primo passo è ora: raccogliere le prove, con la cura che la gente di Bucha ha dimostrato nel raccogliere i corpi trovati nelle fosse comuni. Archiviare tutto, tranne la necessità di fare giustizia.