La Stampa, 11 aprile 2022
Intervista a Marta Albertini, nipote di Tolstoj
«Io credo che Putin abbia un’idea chiara, probabilmente l’ha sempre avuta, che è quella di ricostruire l’impero. Noi europei siamo molto responsabili di quello che sta succedendo: per anni abbiamo sottovalutato Putin, abbiamo fatto finta di non capire che questo era il suo desiderio. Penso a quello che è successo in Crimea ma anche alla Siria. Abbiamo parlato pochissimo di quello che Putin stava facendo in Siria. È una vergogna. L’abbiamo lasciato fare e lui ha distrutto quel Paese». Marta Albertini, 84 anni, è l’autrice di Una genealogia ritrovata (Vita Activa Nuova editore, 2021), il volume in cui ha raccontato tre generazioni di donne della sua eccezionale famiglia. A cominciare da sua nonna Tat’jana L’vovna, che lei chiamava semplicemente babuska, figlia prediletta del grande scrittore russo Lev Tolstoj, e da sua madre Tanja, che sposò il figlio di Luigi Albertini, il giornalista ed editore che fu costretto a lasciare il Corriere della Sera per le sue idee antifasciste.
«Se dovessi riscrivere oggi il mio libro - aggiunge - cercherei di parlare di più dell’atteggiamento di mia nonna nei confronti della Seconda Guerra Mondiale, che era improntato a un profondo rispetto di tutti gli esseri umani coinvolti nel conflitto. Io non posso dimenticare che in questo momento anche moltissimi russi stanno soffrendo e che per molti russi questa decisione di Putin è drammatica. Per non parlare delle madri che hanno visto i loro figli di 18 anni partire dalla Siberia e andare a morire in Ucraina. Oppure delle lacerazioni di chi ha un padre ucraino e una madre russa o viceversa. Mia nonna aveva una saggezza intrisa di vita vissuta e guardava le cose dalla prospettiva che le aveva trasmesso suo padre, che era sempre quella della ricerca della verità».
Lei oggi vive in Svizzera e da qualche settimana sta ospitando due profughe ucraine in un suo appartamento vicino a Crans-Montana, nel Vallese. Come è nata questa scelta?
«Mi stupisce che questa mia accoglienza susciti interesse. È stata una decisione naturale: essendo mezza russa mi sento molto coinvolta in questa vicenda orrenda. Lena e Anastasia sono mamma e figlia: la più giovane parla inglese, si è subito adattata e sta già frequentando alcuni corsi all’università, la madre invece si colpevolizza per aver lasciato a Mikolaiv, vicino a Kherson, i suoi anziani genitori. Temo che farà molta più fatica a integrarsi».
Cosa le hanno raccontato?
«Di quello che hanno vissuto mi hanno detto molto poco. So solo che una mattina si sono svegliate e che l’aeroporto vicino alla loro casa era stato distrutto e così hanno deciso di scappare in Romania. Non hanno voglia di parlare e io rispetto questo loro silenzio. Sapendo quello che hanno trascorso mia madre e mia nonna, che nel 1925 sono state costrette a lasciare la Russia per la Francia, credo di intuire abbastanza bene quello che provano. Quando è morta mia madre ho trovato una valigia, che lei aveva conservato per tutta la vita ma di cui io ignoravo l’esistenza, che conteneva decine di buste. Erano le lettere che aveva ricevuto dall’Unione sovietica nei primi cinque anni di esilio. Mia nonna l’aveva illusa dicendole che dopo tre mesi sarebbero tornate invece mia madre rimise piede in Russia solamente cinquant’anni dopo, nel 1975, su invito del Ministero della Cultura sovietico».
Conosce l’Ucraina?
«Nella mia vita ho viaggiato tantissimo ma Odessa è una delle città più belle che io abbia mai visto, rimane nel cuore e pensarla sotto le bombe è terrificante. Sono stata anche a Gaspra, la località della Crimea in cui Tolstoj visse un anno e mezzo ospite della contessa Sofia Vladimirovna Panina. Era una delle donne più ricche di Russia, impegnata in prima persona per aiutare le mogli dei soldati che erano al fronte. Di fronte agli uomini che ambiscono al potere di solito le donne sono impotenti. Ma ci sono anche delle eccezioni».
In tutta l’opera di Tolstoj emerge il suo pensiero pacifista. Lei è favorevole all’invio di armi al governo di Kiev?
«Zelensky ha ragione a chiedere le armi, però la mia babuska certamente avrebbe trovato Zelensky esagerato. Tolstoj, che ebbe una corrispondenza abbastanza fitta con Gandhi, diceva che alla violenza si reagisce solo con la nonviolenza. In questo momento mi torna in mente soprattutto uno scritto del 1906 in cui il mio bisnonno, quattro anni prima di morire, fa un elenco degli orrori perpetrati da tutti gli zar, dal primo fino a Nicola II. Un elenco a cui oggi si potrebbe aggiungere ciò che sta facendo Putin».
Se Putin è uno zar contemporaneo qualcuno potrebbe dire che il presidente Zelensky interpreti invece il ruolo del generale Kutuzov, la figura che in Guerra e Pace incarna l’idea della guerra di difesa come guerra giusta. Cosa ne pensa?
«Non credo. L’errore che facciamo tutti è quello di tentare di paragonare la guerra di Crimea, vissuta da Tolstoj, e le guerre che invece Tolstoj ha raccontato, quelle napoleoniche, con quello che sta accadendo. Io ho vissuto la Seconda Guerra Mondiale da bambina e penso che nel Novecento abbiamo fatto dei tali passi avanti - ma soprattutto indietro - che qualunque paragone sia inutile».
Dopo lo scoppio della guerra anche in Italia abbiamo assistito a vari episodi di censura della cultura russa. Ultimo esempio i ballerini ucraini che, su indicazione del governo di Kiev, hanno dovuto cancellare dalla scaletta delle loro esibizioni Il lago dei cigni di Ciajkovskij…
«Mi spiace tantissimo. È vergognoso mettere all’indice Dostoevskij e Ciajkovskij. Ripeto: ho l’impressione che stiamo tornando indietro».