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 2022  aprile 11 Lunedì calendario

All’Europa manca un esercito, dice Antonio Scurati

«Putin è il nostro nemico. Ma quali sono i nostri amici?», si domanda Antonio Scurati, premio Strega 2019 con M. Il figlio del secolo , in questi giorni in uscita negli Usa. A maggio in arrivo, per Bompiani, il nuovo libro:
Guerra. Il grande racconto delle armi da Omero ai giorni nostri.
Dubita sugli amici?
«Dobbiamo fare un discorso di verità, noi europei occidentali, ed ammettere che siamo arrivati ciechi e impreparati a questa guerra che si svolge ai confini di casa nostra. Non l’abbiamo voluta vedere arrivare. Abbiamo chiuso gli occhi davanti a quel che Putin faceva in Cecenia, in Georgia, in Crimea, in Siria, e agli oppositori interni, ma allo stesso tempo siamo rimasti gregari della Nato, i cui interessi non coincidono più da tempo con i nostri».
Cosa vuol dire esattamente?
«L’Europa avrebbe dovuto costruire un esercito europeo: una forza militare, votata alla pace, che rispecchiasse la nostra identità. Se ciò finora non è avvenuto dipende dal fatto che l’Europa non sa più cos’è. L’Europa occidentale è molto diversa da quella orientale, e infatti uno degli errori storici è stato allargarla a Paesi come Polonia e Ungheria che non condividono la nostra stessa idea di democrazia».
Lei quindi propone una terza via?
«Sì, questa guerra è l’occasione per ripensare l’Europa e i suoi confini.
Siamo diversi dagli Usa, ma anche diversi dall’Europa dell’Est».
E quindi l’Ucraina non può entrare nella Ue?
«No, trovo la sua richiesta legittima, a condizione che dimostri di voler rispettare i valori del trattato di Lisbona».
Intanto cosa bisogna fare per provare a fermare la guerra?
«Sotto la sferza della tragica necessità va sostenuto il popolo ucraino».
Quella dell’Ucraina è Resistenza?
«Dal loro punto di vista è come la nostra Resistenza nel 1943-45, è lotta per la libertà e per la sopravvivenza di una nazione invasa».
Ma senza le armi e l’addestramento della Nato oggi a Kiev non sventolerebbe la bandiera russa ?
«Sì. D’altro canto non si può negare che quella preparazione alla guerra non sia riuscita ad evitarla, ma abbia contribuito alla destabilizzazione dell’area».
Come si può definire il suo ragionamento? Anti-atlantico?
«No, perché questa è una sintesi da guerra fredda. Il mio ragionamento è da post guerra fredda. Sostengo che l’Europa occidentale debba marciare unita, differenziandosi con una propria visione geopolitica, perché i suoi valori e i suoi interessi non coincidono sempre con quelli degli Usa».
In che senso?
«L’Europa occidentale è la sola vasta regione al mondo con una diffusa cultura pacifista. E su questa io immagino che debba fondarsi un esercito europeo».
Cosa può fare uno scrittore contro la guerra?
«In questa fase molto poco. È un professionista della parola meditata la cui voce rischia di perdersi nella canea dei dibattiti televisivi. Infatti io mi sottraggo. A lungo andare invece può aiutare a far capire il maleficio e le seduzioni della guerra».
Come valuta il dibattito pubblico in corso?
«Opaco, spesso triviale, dove c’è
poco spazio per una parola portatrice di senso».
Come lo spiega?
«Con la polarizzazione ideologica.
Ma anche con una superficialità emozionale, che peraltro sta già scemando. La guerra ci entra nelle case dalla tv o dai social, e ciò ci dà un’illusione di essere lì, che è fonte di equivoci e di incomprensioni».
Perché anche la prova tv e la coraggiosa fatica degli inviati di guerra non bastano a convincere i negazionisti?
«Per me il punto non è questo: anche i tantissimi che riconoscono gli errori della guerra non si smuovono dall’attitudine passiva del telespettatore».
I libri cosa possono fare?
«Sto leggendo Stalingrado di Vasilij Grossman. È un libro attuale. Ma nel leggerlo io sono consapevole che si tratta di una rappresentazione della realtà.
Oggi, davanti alla tv o ai social, questa consapevolezza è offuscata da ciò che io chiamo illusione di presenza».
Cioè?
«Siamo indotti a pensare di essere lì, di fare esperienza in prima persona di ciò che accade, quando invece assistiamo a quelle immagini come davanti a un film. Infatti avevamo tante notizie su quel che Putin aveva fatto, in Cecenia e in Siria, ma non abbiamo agito di conseguenza».
Putin a quale dittatore assomiglia?
«Fermo restando le dovute differenze storiche, Putin è più simile a Hitler che a Mussolini. Sul piano della propaganda è ricorso al pretesto della difesa delle minoranze germanofone nei Sudeti e a Danzica per giustificare l’aggressione a Cecoslovacchia e Polonia. Lo stesso schema che Putin ha applicato invadendo l’Ucraina . Inoltre, Putin come Hitler, se incontra resistenza rade al suolo le città».
In Italia è stata la destra coltivare rapporti con Putin.
«E volevano che ci sganciassimo dall’Europa, entrando nella sua orbita. Infatti ora Salvini tace, perché troppo compromesso con la Russia. Sarà condannato senza appello dalla storia. Ma già adesso, secondo me, ha perso ogni titolarità a fare politica».