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 2022  marzo 02 Mercoledì calendario

Biografia di Chiara Valerio

Chiara Valerio, nata a Minturno (Latina) il 3 marzo 1978 (44 anni). Scrittrice. Curatore editoriale. Matematico. «La matematica mi ha salvata. Insieme all’essere cresciuta a Scauri, al mare, è stata l’avventura più incredibile della mia vita» (a Teresa Ciabatti) • «Il papà Franco, fisico, lavorava nella sede di Frascati dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, poi ha cominciato a insegnare a scuola e militava nel Partito comunista. […] La mamma Maria Russo svolgeva la mansione di segretario comunale in piccoli centri come Coreno Ausonio» (Paolo Bricco). «Che bambina è stata? “Avevo cinque anni quando mia madre ha portato a casa un puzzle di 250 pezzi. Dopo due o tre volte mi ero annoiata e avevo cominciato a farlo al contrario. […] Se dalla parte colorata seguivo l’ordine dei colori, al contrario partivo dai bordi. A posteriori, posso dire che ho continuato a partire dai bordi per il resto della vita. E certe volte i bordi erano sbagliati”. Lei nasce e cresce a Scauri, frazione di Minturno, provincia di Latina. “Scauri negli anni Ottanta offriva grande libertà: potevi girare in bicicletta, scavalcare cancelli, saltare fossi. Salire sul torrino e pensarti cavaliere”. Non principessa? “La mia è stata un’infanzia brada, da bambina avventurosa, cavaliere appunto”. Cos’era il torrino? “Un ex capanno industriale. Solo che quando arrivavano i villeggianti lo volevano, e tiravano le pietre per cacciarmi: io però resistevo”. Tutto da sola? “Come i protagonisti dei libri che leggevo”» (Ciabatti). «Io non ho mai avuto tante Barbie, ma quando sono nate le mie sorelle ne sono arrivate un sacco. Però non avevamo la casa delle Barbie, allora ribaltavo le sedie e costruivo accampamenti con i foulard di nostra madre. Poi però, una volta finito il gioco, bisognava mettere a posto. Quando ho cominciato a leggere, le storie facevano lo stesso effetto del gioco, ma una volta finito non dovevo mettere a posto» (a Matilde Quarti). «Quando inizia a leggere? “A dieci anni avevo già letto molto Dumas, più o meno ridotto, Jules Verne, Harold Robbins e Gita al faro di Virginia Woolf, pensando che fosse un libro di avventure”. Dove prendeva i libri? “Come rubare la marmellata, solo che a casa c’erano più libri che vasetti di marmellata”» (Ciabatti). «Nella biblioteca dei miei genitori, io e le mie sorelle Silvia e Giulia trovavamo Proust e Harold Robbins, Primo Levi e Tex Willer, Karl Marx e il Giulio Andreotti di Onorevole, stia zitto. Quella mescolanza di alto e basso è stata molto importante». «Quando vivi in un posto piccolo, tu sei abituato ad avere tutte le fasce d’età davanti. Io a Scauri ero abituata a 12 anni a giocare a carte con persone che, di anni, ne avevano 80. Quando è morto Mario, che, di anni, ne avrà avuti 85, io non ci potevo credere, perché era un mio amico, non un uomo di 85 anni, e i miei amici non potevano morire» (a Silvia Travaglini). «I suoi genitori lavoravano tutto il giorno. “Io e le mie sorelle, Silvia e Giulia, siamo state prima con due bambinaie, e, certo c’erano anche le nonne. Una delle bambinaie, Franca, aveva la passione per le televendite”. […] Televendite e libri. “Fino alla prima adolescenza nella mia testa convivevano Vanna Marchi e Fleur Jaeggy, Woolf e l’elenco del telefono”. L’elenco del telefono? “Ero ossessionata dal fatto che, non potendo esserci infiniti numeri di telefono, quando qualcuno moriva il numero di telefono del morto veniva riassegnato”. Conseguenza? “Quando sbagliavano numero mi chiedevo a chi apparteneva prima il nostro e se non fosse un errore, ma semplicemente quella telefonata fosse arrivata troppo tardi”. Ossessionata solo dai numeri del telefono? “Da tutti i numeri e le ricorrenze. La ripetizione mi consolava del fatto che nulla cambiasse. Ricordo quando dal giardino è stata tolta una vecchia vasca da bagno abbandonata. Ho provato una grande rabbia”. Perché? “Mi avevano tolto un pezzo d’infanzia. Si alterava il mondo in cui ero cresciuta, quello che vedevo dalla finestra”» (Ciabatti). «Io non dimenticherò mai la volta che mi erano venute le mestruazioni: avevo diciotto anni e pensavo di essere il bambino indaco, di essere sfuggita al ciclo di vita e di crescita e che quindi non sarei mai morta. Ricordo una discussione con mio padre sulla marca di assorbenti» (a Stefano Bon). «Università: si iscrive a Matematica. “Quel giorno mi accompagna mio padre, che chiede: sicura? Meglio un buon filosofo di un cattivo matematico”. Motivo? “M’iscrivo a Matematica perché fallisco l’esame di ammissione alla Normale di Pisa, Filosofia”. Quindi? “Tale era la mitomania: non entro alla Normale, cambio facoltà”. Perché proprio matematica? “A quel punto tengo fede a una vecchia promessa del liceo. Quando la professoressa di matematica mi aveva chiesto cosa volessi fare dopo, e io risposi ‘Matematica’ solo perché mi guardasse negli occhi: ne ero innamorata”. […] Dopo la laurea? “Dottorato a Napoli. Poi postdottorato con borsa di studio tra Roma e Cambridge”» (Ciabatti). Per alcuni anni si dedicò anche all’insegnamento nelle scuole superiori. «Perché lei non insegna più? […] “Nel 2007 sono stata nominata al festival di Mantova come giovane scrittrice, in più Mario Desiati mi aveva mandato a fare un colloquio al suo posto a Radio 3. Lì non mi hanno presa, ma a Radio 3 Scienze mi hanno offerto di collaborare”» (Nicola Mirenzi). «Deve scegliere. “La matematica è cattiva, vuole essere frequentata. E io sentivo di averle regalato molto tempo. Poi non ero riuscita a dimostrare un teorema che avevo in testa”» (Ciabatti). «Così ho lasciato tutto e sono andata. Forse, per avventatezza. Forse, perché avevo sempre desiderato vivere a Roma». Come scrittrice, Chiara Valerio «esordisce nel 2004 con la raccolta di racconti A complicare le cose, pubblicata dalla piccola casa editrice romana Robin, e resta nel circuito indipendente fino ad approdare in Einaudi nel 2014, con il romanzo Almanacco del giorno prima» (Quarti). «Almanacco del giorno prima […] è […] pieno di numeri e si conclude con una equazione. Ma a quell’equazione e a quel finale segue una nota, scritta da lei stessa, che spiega molto del suo stile: “In Almanacco del giorno prima tutto è esatto e tutto è mentito, tutto è avariato. Ho scritto quello che ho letto, quello che ho studiato, quello che ho mangiato, quello che ho desiderato e soprattutto quello che ho frainteso. Ho scritto ciò che ho scritto”» (Massimiliano Boschi). Del 2016 è Storia umana della matematica (Einaudi), in cui l’autrice «spalanca gli archivi della memoria, intessendo una trama fatta di biografie di illustri matematici, mescolata a istantanee di quadri noti e a numerosissime citazioni letterarie. La Valerio sceglie la strada della memoria, raccontando l’infanzia, le rimembranze delle spiegazioni paterne del teorema di Pitagora, la serietà della madre e poi ancora gli anni dell’università sino al dottorato in Matematica, fra gli amori e la vita che passa, fra ironia e malinconia» (Francesco Musolino). Nel 2019 fu la volta di Il cuore non si vede (Einaudi). «Il suo romanzo parte da un’assenza: una mattina, un giovane professore di greco si sveglia solo con l’ombra del suo cuore. L’irrealtà irrompe in un magma narrativo che è fin troppo reale, contemporaneo, sociale: è così? “L’intenzione era scrivere un romanzo realista che partisse da un gesto di irrealismo. Così ho ricominciato da Kafka e dal suo Gregor Samsa, solo che la metamorfosi di Andrea Dileva non si vede subito, e, pur non essendo interiore o metaforica, è una metamorfosi nascosta, interna”. Ma come si fa a vivere con l’assenza del proprio cuore? “Si può vivere senza il proprio cuore, pensi ai trapianti, e l’idea, portata a patologia, è che si possa vivere anche con l’assenza del cuore. Che il cuore sia una funzione che può essere assolta anche da altro. Insomma, è un gesto di irrealismo che parte dalla constatazione che ci sono esseri umani che sopravvivono senza il proprio cuore”. Gli organi che scompaiono, forse, raccontano molto delle relazioni che intercorrono fra Andrea, Laura, Carla e Angelica. Sono le persone e i sentimenti che mantengono in vita e proteggono Dileva da queste assenze organiche? “Sarebbe bello se così fosse, e in qualche modo il romanzo racconta di quanto, per ciascuno di noi, la biografia sia importante quanto la biologia, o più importante addirittura. E la nostra biografia è una somma di relazioni con cose e persone”» (Felice Sblendorio). Da ultimo, nel 2020, ha pubblicato, ancora presso Einaudi, La matematica è politica, in cui dichiara: «La matematica è stata il mio apprendistato alla rivoluzione, perché mi ha insegnato a diffidare di verità assolute e autorità indiscutibili. Democrazia e matematica, da un punto di vista politico, si somigliano: come tutti i processi creativi, non sopportano di non cambiare mai». «“L’elemento fondamentale che accomuna la matematica e la democrazia […] è che entrambe sono fondate su un sistema di regole condivise. Norme accettate collettivamente, ma non assolute, e che dunque possono essere sempre ridiscusse e modificate. Né nella matematica né nella democrazia esistono verità immutabili a cui si deve soltanto credere, senza poter nutrire alcun dubbio. In altre parole, sottomettendosi. Che, invece, è il tratto tipico di ogni tirannia”. […] È una rivoluzione permanente? “In realtà, non si tratta di riadattare la dottrina di Trockij: mi ossessiona, piuttosto, l’idea di una rivoluzione capace di non instaurare un regime peggiore di quello che spodesta. Nella storia, la rivoluzione ha sempre portato con sé violenza, terrore e sopraffazione. È il frutto di un’idea della rivoluzione concepita come presa del potere. La matematica, invece, può far pensare alla rivoluzione come a un processo, anziché un atto: una forma di rivoluzione democratica, potremmo dire”» (Mirenzi) • «Non solo scrittrice, ma anche editor: ha portato alla scoperta di tante nuove voci italiane, prima con Nottetempo e ora con Marsilio. Che differenze ci sono state? “Intanto era diversa la committenza. La richiesta che mi era stata fatta a Nottetempo era di trovare voci nuove: avevo la responsabilità di una collana. Marsilio invece è un’altra cosa: mi hanno affidato la narrativa italiana in toto, quindi seguire autori che erano già presenti in casa editrice e scovarne di nuovi. Lavorare per riportare la narrativa Marsilio nel circuito dei grandi premi letterari”» (Quarti). «Ci può raccontare come è arrivata a tradurre autori non certo facili come Virginia Woolf? “Lavoravo nella casa editrice Nottetempo con Ginevra Bompiani. E ci siamo chieste, allo scadere dei settant’anni dalla morte di Woolf, quale libro ritradurre. Io ho proposto Flush, e Ginevra mi ha detto: ‘Perché non lo traduci tu?’. Ci ho messo due anni, ma alla fine, seguendo anche la dura e necessaria disciplina di Ginevra, ho fatto un lavoro di cui a distanza di anni sono ancora soddisfatta. Poi, da Flush, abbiamo deciso di proseguire, seguendo e calcando una “linea comica” di Woolf: così, negli anni sono usciti Freshwater (l’unica commedia scritta da Woolf) e Tra un atto e l’altro (che è un libro comico per la maggior parte delle pagine… ma su Tra un atto e l’altro ci sarebbe molto da dire, e mi fermo qui)”» (Gaia Mutone). In seguito ha anche curato insieme ad Alessandro Giammei la traduzione del carteggio tra la Woolf e Lytton Strachey (Ti basta l’Atlantico? Lettere 1906-1931, Nottetempo, 2021) • Al suo attivo, tra l’altro, varie collaborazioni editoriali (L’Unità, Il Sole 24 Ore, Domani, la Repubblica, Nuovi Argomenti, Vanity Fair, Amica), radiofoniche (Pane quotidiano e Ad alta voce su Rai Radio 3) e cinematografiche (la partecipazione alla stesura dei soggetti di Mia madre di Nanni Moretti e di La tenerezza di Gianni Amelio) • «“Molte persone s’innamorano della professoressa al liceo, e non necessariamente significa qualcosa. Per me invece ha significato. Ho capito che quei miei innamoramenti erano un’inclinazione”. Coming out in famiglia? “Mai dovuto fare. Un giorno ho detto: ‘Mi sono fidanzata con Elisabetta’”. Reazione dei suoi? “A casa mia siamo stati sempre molto forti sulle categorie e poco sui generi. Mio padre cucinava, mia madre è diventata segretario comunale nel 1976, e non so quanti segretari comunali donna ci fossero in quegli anni”. Non discriminata a casa. E fuori? “Nei paesi, alle ragazze si chiede quando si sposano. Nel mio caso, col tempo, la domanda si è spenta. Non so se perché da un certo punto in poi si sono rassegnati, considerandomi una zitella, oppure hanno capito”» (Ciabatti). Attualmente vive con una donna, «“Marcella: lei ha riportato nella mia vita elementi di giovinezza, di disordine, possibilità di racconto, e un gatto nero, Miles”. Altrove ha detto che ogni volta che s’innamora la sua grammatica cambia. Come è cambiata con Marcella? “È più libera, gioiosa, come quando ero la bambina sul torrino, il cavaliere”» (Ciabatti) • «Tu, di case, ne hai avute tre: Napoli, Roma e adesso Venezia. “Quello che mi è sempre piaciuto di Napoli è la struttura architettonica. […] Quella Napoli in cui, nei palazzi, al piano più basso vive il meno abbiente e man mano che sali c’è qualcuno un po’ più abbiente. È questo che la rende una metropoli. […] Roma è un inferno. Personalmente, a Roma perdono tutto, perché certe volte passeggi per la strada e ci sono scorci talmente belli che ti ritrovi a pensare che anche tu vivrai per sempre, se davanti a te ci sono cose che sopravvivono da secoli e secoli. Venezia invece è una sorpresa. All’inizio pensavo fosse una città invivibile dal punto di vista economico e affollatissima di turisti. Ed effettivamente è tutte e due le cose, ma non sempre: […] anche durante il Carnevale, ci sono calli piene di gente e calli vuote. […] Venezia è splendida, è una città in cui si pensa benissimo: tutta quell’acqua intorno fa sì che ogni rumore arrivi attutito”» (Quarti). «Amo Venezia proprio perché sono cresciuta in provincia. Lavoro alla Marsilio, e, quando sono qui, abito in un appartamento a Dorsoduro. In questa città esiste ancora una vita di quartiere. I tempi sono scanditi dai vaporetti. Il servizio di trasporto pubblico funziona. E, poi, raggiungi ogni posto a piedi. A Roma sono sempre stata a Trastevere, dove vivo adesso con la mia compagna Marcella. Potere camminare al mattino presto o rientrare alla sera. Parlare con gli altri. Conoscersi. Per me non è poco» • Amante della fantascienza. «Ho scritto moltissimi racconti su questo argomento, ma non li ho mai pubblicati» • «Quali sono i libri che l’hanno fatta crescere o hanno influenzato il suo modo di percepire cose e persone? “Cambiano ogni volta che rispondo a questa domanda. Però ci sono dei grandi classici, degli invarianti, come si dice in matematica: Al di qua o al di là dell’umano di Ludovica Koch, I quaderni di Simone Weil, I Malavoglia di Giovanni Verga, Fosca di Tarchetti, Lo scimmiotto di Wu Cheng-en e il Genji di Murasaki, anche La strada di Swann di Proust (odio e amore per Odette ogni volta che ci penso)”» (Mutone) • «I film che ho visto più volte nella mia vita sono due: Lanterne rosse e A qualcuno piace caldo”» • «Io odio l’opera lirica. Penso che abbia inibito lo sviluppo della musica sinfonica in Italia, e di questa cosa non riuscirò mai a farmi una ragione» • «Una delle più importanti scrittrici e intellettuali italiane» (Ciabatti) • «Puntualizza che “come donna ho avuto un trattamento diverso da altre donne perché, avendo fatto Matematica, è indubbio che sia almeno intelligente”. Chi potrebbe mai metterlo in dubbio, dico io: ha studiato Matematica. Chiara Valerio: una specie di Einstein, solo che, siccome la relatività l’ha già fatta Einstein, lei si è ridotta a essere Chiara Valerio, bisogna capirla» (Massimiliano Parente). Lo stesso Parente la annovera tra le «femministe inferocite del demi-monde culturale italiano» • «Lei trova un modo di tenere letteratura e matematica insieme: inventa un genere letterario suo, e anche quando rimane nella forma del romanzo c’è comunque un personaggio portatore di matematica. “Quasi, anche se il vero unico matematico geniale è Alessio Medrano in Almanacco del giorno prima. Diciamo che c’è un personaggio portatore di presunta esattezza. Ne Il cuore non si vede c’è Andrea Dileva, che è un mitografo, un grecista. Io sono affascinata da tutte le cose presunte”» (Ciabatti) • «Prima di occuparti di letteratura hai studiato per diversi anni matematica. Che legami ci sono tra queste due discipline? “Non ho mai percepito discontinuità tra una cosa e l’altra. Matematica è l’unica facoltà di grammatica che esista: studia le strutture logiche, quindi la lingua. Che poi in questo caso si tratti di un linguaggio simbolico che procede per formule è una questione di second’ordine. E poi la matematica più che della verità si occupa della coerenza, ed è una cosa interessante per chi fa letteratura, perché permette di vedere le variazioni dei personaggi nel comportamento. Penso che la letteratura stia nella variazione del comportamento, perché altrimenti dove sta?”» (Quarti). «Sono stata una bambina che ha molto amato la matematica sin dalle elementari, ma ho smesso quando mi sono resa conto che i libri e la letteratura erano più interessanti» • «Se volete scrivere, fate come ho fatto io: rubate da quelli che hanno scritto prima. Se volete scrivere, leggete». «La scrittura è qualcosa che si impara, come tutto. Non si nasce scrittori, ma forse si può crescere scrittori. O così mi è sempre sembrato» (a Salvatore Lo Iacono) • «Ho sempre pensato che leggere e studiare fosse un principio di democrazia, perché, prendendo l’abitudine ai comportamenti degli altri nei libri, riesci a comprendere anche comportamenti che altrimenti non capiresti» • «Una vita da sola è breve: i libri ti distraggono, ti fanno compagnia, facendoti scoprire e vivere migliaia di altre vite. Quando leggi, puoi conoscere le cose senza averle imparate. Come fanno i bambini. E se resti bambino hai sempre più tempo, e forse non muori mai…».