3 marzo 2022
Tags : Khaled Hosseini
Biografia di Khaled Hosseini
Khaled Hosseini, nato a Kabul (Afghanistan) il 4 marzo 1965 (57 anni). Scrittore. «Era uno sconosciuto medico afgano, espatriato in California all’epoca dell’invasione russa» (Dario Zonta, l’Unità, 28/3/2008). Divenne famosissimo con il suo primo libro, Il cacciatore di acquiloni (2003), «romanzo epico afghano divenuto un caso letterario internazionale» (Treccani). Pubblicato per la prima volta da un editore scettico, che ne stampò appena 6 mila copie, senza una recensione né una presentazione diventò un best seller. Arrivò a vendere «7 milioni di copie in trenta Paesi, un milione solo in Italia» (Elena Doni, l’Unità, 26/5/2007). «Oggi 8 milioni di persone in 49 Paesi hanno letto le avventure di Amir e Hassan. Forza del passaparola e di una storia universale sorretta da una scrittura lineare, semplice e didattica» (Zonta). Ottenuto il successo, ha scritto altri tre libri – Mille splendidi soli (2007), E l’eco rispose (2013) e Preghiera del mare (2018). Paradossalmente, ha ricevuto molte critiche proprio nel suo Paese, che, d’altronde, lasciò quando aveva appena cinque anni. «Il suo aspetto fisico è la sintesi di due mondi lontani: l’accento è americano, il vestiario è occidentale, il taglio di capelli anche, ma l’ombra di barba nera – corta a sufficienza per non apparentarlo agli islamici – sta lì a negare l’assimilazione, forse a prendere le distanze dagli americani doc» (Doni). Quando, nel 2003, dopo il successo del suo libro, tornò per la prima volta a Kabul dopo 27 anni, provò una gioia grandissima. Ha detto: «Io sono cresciuto in un Afghanistan pacifico, dove i bambini avevano diritto a un’infanzia felice».
Titoli di testa «L’occasione dell’incontro con Hosseini è un cocktail offerto dalla casa cinematografica che distribuisce in Italia il film Il cacciatore di aquiloni: assalto di fotografi e teleoperatori, discorsi, brindisi, presentazioni: Khaled non sente l’esigenza di stringere la mano ogni volta, ma al breve cenno del capo e nulla più, che si usa negli Stati Uniti, sostituisce – accompagnandolo con un sorriso – un piccolo inchino del busto con le mani congiunte e sovrapposte sullo stomaco, come è abitudine nel mondo musulmano» (Doni).
Vita Etnia pasthun. Famiglia benestante. Il padre è un diplomatico. La madre, insegnate in una scuola femminile. «Anche se il mio Paese è sempre stato molto religioso e tradizionalista, Kabul era un’isola di progressivismo e sensibilità filo-occidentale. Io stesso sono cresciuto tra donne forti e potenti, giudici e avvocati, che indossavano minigonne, bevevano alcolici e insegnavano all’università» (Alessandra Farkas, Sette, 17/5/2013). «Come scrittore ho molte debolezze, ma uno dei miei punti forti è la capacità di raccontare favole. Un talento che viene dall’essere cresciuto in Afghanistan quando non esistevano radio, computer e tv e dove la tradizione favolistica orale è antichissima. Senza le favole che mi raccontavano mia nonna e mio padre, non sarei ciò che sono oggi». A Kabul, il piccolo Khaled, ci resta pochissimo. Nel 1970, per seguire il padre, in missione, si trasferisce in Iran. Nel 1976 è a Parigi. Nel 1980, mentre i carri armati russi entrano in Afghanistan, la sua famiglia chiede e ottiene asilo politico negli Stati Uniti. «Sono arrivato a San José in California quando avevo 13 anni. Non conoscevo che poche parole di inglese. Per molto tempo mi sono sentito uno straniero, un corpo estraneo, vedevo mio padre faticare per rimettere in sesto le sorti della famiglia. La nostalgia di casa accompagnava ogni nostro pasto. Non era facile ma al tempo stesso mi rendevo conto di essere un privilegiato fosse anche solo perché mi era concesso di frequentare una scuola e di leggere i libri che volevo» (Corriere della Sera, 11/9/2021). «Qual è il libro che ha avuto maggiore importanza nella sua vita e nella sua formazione di scrittore? “Furore di John Steinbeck, che lessi nel 1983, due anni dopo essere arrivato negli Stati Uniti. Mi sono immedesimato negli agricoltori dell’Oklahoma che la grande crisi del 1929 aveva fatto cadere in miseria e che con grande sofferenza e costanza cercavano una nuova vita in California. Mi ricordavano in qualche modo la gente del mio Paese, che voleva conservare umana dignità anche nella disgrazia”» (Doni). Fin da bambino il suo sogno è di diventare scrittore. «Ma non sapevo se ne avevo il talento. Mi sembrava una fantasia». «Quando arrivi in un Paese da emigrante e non sai la lingua, diventare uno scrittore non è esattamente il primo pensiero che ti viene in mente». «La sua gavetta consiste in qualche racconto scritto alle superiori e nella frequentazione di un seminario di due giorni dal titolo “Come farsi pubblicare un romanzo”» (Cristina Taglietti, Corriere della Sera, 18/2/2006). «Devo ammettere che per un lungo periodo, mentre studiavo e lavoravo in ospedale, pensavo soltanto a diventare medico e ho perso il contatto emotivo e intellettuale con il mio Paese». «Poi, dopo essersi laureato, un giorno, tornando da un colloquio di lavoro, si chiede: “E se questo colloquio l’avessi fatto con Satana?”: lo spunto per un primo racconto» (Taglietti). «Ho sempre scritto storie, una volta mia moglie casualmente trovò un mio racconto intitolato Il cacciatore di aquiloni: lo lesse, le piacque molto e lo fece leggere a suo padre. Mio suocero mi scrisse un biglietto molto elogiativo, io rilessi il mio racconto, lo trovai troppo breve, troppo magro. Cominciai a riscriverlo alzandomi alle quattro del mattino e lavorandoci prima di andare in ospedale. Ci misi un anno, ne venne fuori il romanzo». «Non mi aspettavo che il libro venisse pubblicato, quando è uscito non pensavo a un successo simile e quando è accaduto non volevo crederci: per un anno e mezzo ho continuato a fare il medico, solo quando i pazienti hanno cominciato a venire per farsi firmare le copie del libro e non per una visita ho capito che le cose erano cambiate» (a Francesca Caferri, la Repubblica, 3/10/2008).
Amori Vive con la moglie Roya, avvocato, anche lei di origini afghane («Lei corregge e ricorregge due o tre volte i miei libri prima che io li mandi all’editore»). Ha due figli, Harris e Farah, ai quali ha dedicato E l’eco rispose.
Dolori «Nel 2003 tornai a Kabul per la prima volta dopo 27 anni. Ci andai per rieducarmi sul mio Paese, familiarizzarmi con un mondo che negli ultimi anni avevo vissuto solo attraverso i Tg. In uno degli ospedali che visitai, incontrai una ragazza cui avevano squarciato il cranio con una scure. L’avevano sbattuta nel corridoio di un reparto maschile. Quando la incontrai e vidi la materia grigia che le fuoriusciva dalla ferita, il mio istinto iniziale fu di portarla via e curarla. Ma non lo feci perché l’Afghanistan è pieno zeppo di gente come lei che vorresti aiutare. Come afferma uno dei personaggi del libro, “questo è un Paese con mille tragedie per chilometro quadrato”: a ogni angolo di strada trovi un essere umano che ha disperatamente bisogno del tuo aiuto. Quando ti rendi conto che non puoi soccorrere tutti, per non arrenderti, sei costretto a indossare una sorta d’invisibile corazza protettiva» (alla Farkas).
Critica Il cacciatore di aquiloni non è mai stato tradotto in Afghanistan. Abdul Jahani, maggior poeta afghano vivente, dice che gli afghani non possono apprezzare la maniera in cui sono ritratti i pasthun e gli hazara, e in particolare i personaggi di Amir, pashtun e sunnita, dipinto come vizioso, ipocrita e corrotto, e di Hassan, il bambino sciita, hazara, bravissimo con gli aquiloni, altruista. Spiega Jahani: «Accusare il rappresentante di una tribù afgana di essere un codardo, come è il caso del piccolo Amir, è una delle denunce più infamanti che ricade immediatamente su tutti gli altri membri, e se la tribù appartiene alla etnia di maggioranza è come accusare la nazione intera. Inoltre si può dire tutto contro i taleban ma non che fossero dei violentatori, perché erano seguaci rigidi dell’islam, e lo stupro è considerato un crimine odioso e incancellabile secondo la loro fede e i loro principi». Insomma, il libro di Hosseini, è stato considerato «un manifesto politico contro l’intera etnia pashtun, un’opera di propaganda straniera» (Valerio Pellizzari, La Stampa, 3/5/2008).
Autocritica «Molti americani di origine afgana che hanno vissuto in esilio per tanti anni, quando tornano a Kabul si comportano in maniera strafottente e spavalda, come se quel posto, che credono di conoscere come le proprie tasche, gli appartenesse. Un atteggiamento che non condivido affatto perché, pur essendo nati tutti laggiù, l’Afghanistan non è più “nostro”. Siamo outsider e fingere di essere “uno di loro” è falso, disonesto e aleatorio» (alla Farkas).
Curiosità Negli ultimi anni ha lasciato la California, ora vive a New York • Racconta che l’ex presidente afghano Hamid Karzai ha uno spiccato senso dell’umorismo • È stato inviato dell’agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati • Nel 2008 ha dato vita alla Khaled Hosseini Foundation per aiutare «sofferenti, malati e perseguitati dalle guerre» • In Afghanistan la scena del film tratto da Il cacciatore di aquiloni in cui i bulli pasthun violentano un piccolo hazara fu un tale scandalo che gli autori del film decisero di pagare il trasferimento degli attori e delle loro famiglie nei Paesi del Golfo • Non rimpiange di aver mollato il suo posto di lavoro in ospedale. «Il mio sogno fin da bambino è sempre stato scrivere e, pur rispettando enormemente la professione, come medico non ero felice. Poter vivere scrivendo è un miracolo che mi riempie di gioia ogni giorno» • Il suo unico rimpianto nella vita è di non aver fatto il giro del mondo con lo zaino sulle spalle prima di iscriversi a medicina, «quando non avevo ancora figli e responsabilità e avrei potuto vivere da hippie per almeno un anno. E invece il senso del dovere mi ha bloccato. Per fortuna nei libri i tuoi personaggi possono fare ciò che nella vita tu non sei riuscito a fare» • Dopo la presa di Kabul da parte dei talebani nell’agosto 2021 ha detto: «L’Afghanistan ora non esiste più. Resta il suo popolo, da salvare» • «Se dovessi dire quale vorrei che fosse l’eredità finale della mia scrittura forse sarebbe proprio questa: aver messo l’Afghanistan in una luce diversa» • «Lei sceglie accortamente di tenersi lontano da facili “happy ending”. “Il libro inizia con una favola ma finisce con la vita che, per definizione, è caotica e non è mai fatta di convenienti simmetrie. La realtà se ne frega delle nostre aspirazioni e dei nostri desideri: va avanti per la sua strada, ferendoci e facendoci soffrire”» (Farkas).
Titoli di coda «Che consiglio dà a vuole diventare scrittore (o scrittrice)? “Molto semplice: leggere, leggere, leggere. E poi scrivere, scrivere, scrivere”» (Doni).