15 marzo 2022
Tags : Jens. Stoltenberg
Biografia di Jens Stoltenberg
Jens Stoltenberg, nato a Oslo (Norvegia) il 16 marzo 1959 (63 anni). Politico. Economista. Segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato) (dal 1° ottobre 2014). Già primo ministro norvegese (2000-2001; 2005-2013) e ministro delle Finanze (1996-1997) e dell’Industria e dell’Energia (1993-1996). Già capo dell’opposizione norvergese (2001-2005; 2013-2014). Già capo del Partito laburista (2002-2014). «La Nato deve essere in grado di adattarsi e rispondere alle sfide. Il messaggio è “difesa e dialogo”. Non “difesa o dialogo”. […] Serve una forte Alleanza non per provocare una guerra, ma per prevenirla. La chiave è la deterrenza, un concetto che si è dimostrato valido per quasi settant’anni» (a Marco Zatterin, nell’ottobre 2016) • «Stoltenberg è per così dire un figlio d’arte: il padre Thorvald, dirigente del partito laburista, è stato per anni ambasciatore e poi ministro degli Esteri, la madre Karin ha avuto diversi incarichi di governo. E gli Stoltenberg norvegesi, originari dello Schleswig-Holstein tedesco, sono imparentati alla lontana con Gerhard, esponente della Cdu che fu ministro delle Finanze e poi della Difesa nei governi di Bonn» (Paolo Soldini). «Suo padre, il diplomatico norvegese Thorvald (1931-2018), è il padrino dell’espressione “la diplomazia del tavolo della cucina”. Per il giovane Jens […] era normale vedere Nelson Mandela a colazione o altri combattenti per la libertà, come ha raccontato alla Bbc. Un’eredità preziosa» (Jacques Hubert-Rodier). «Non è noto per i suoi trascorsi marziali: da bambino ha frequentato una scuola Rudolf Steiner, liberale e orientata alle arti» (Sam Jones e Richard Milne). Da ragazzo «era molto contrario alla guerra degli Usa in Vietnam, rompendo ad esempio le finestre dell’ambasciata americana a Oslo nel 1973 per protestare contro il bombardamento di Haiphong da parte dell’aviazione americana. Essendo a quei tempi maoista, era anche contrario alla Nato e all’Unione europea. Dopo gli studi in Economia Jens Stoltenberg si cimentò nel giornalismo e si unì al Partito laburista, dove divenne il protetto di Gro Harlem Brundtland, primo ministro del regno (da febbraio a ottobre 1981, poi dal 1986 al 1989 e infine dal 1990 al 1996). La sua ascesa politica è stata brillante. È stato eletto deputato a trentadue anni nel 1991 e l’anno successivo è diventato vicepresidente del Partito laburista» (Corinne Deloy). «“Nei primi anni Novanta, Jens Stoltenberg ebbe contatti con un ufficiale del Kgb. Negli archivi di Mosca esistevano informazioni personali e politiche su di lui, tanto che gli era stato dato perfino il nome in codice di ‘Steklov’”, scriveva il Norway Post il 24 gennaio 2000. […] La “gola profonda” da cui partirono le rivelazioni era Mikhail Butkov, ufficialmente giornalista ma in realtà una spia sovietica che negli anni Ottanta operava ad Oslo sotto copertura, ma non disdegnava un doppio gioco con l’intelligence norvegese e quella britannica. […] Jens Stoltenberg […] ammise di avere avuto contatti con Boris Kirillov, diplomatico e addetto stampa presso l’Ambasciata sovietica di Oslo. Secondo Butkov, Kirillov era in realtà un ufficiale del Kgb che aveva reclutato funzionari norvegesi come agenti o informatori. Nel maggio del 1990, il Pot [all’epoca, i servizi segreti civili norvegesi – ndr] chiese al futuro premier di evitare qualsiasi ulteriore comunicazione con Kirillov, richiesta che un mese dopo divenne un vero e proprio ammonimento a sospendere ogni rapporto con addetti dell’Ambasciata russa. […] Stoltenberg non è mai stato accusato di spionaggio o di alto tradimento verso la Norvegia o i suoi alleati della Nato, e gli stessi servizi segreti hanno sempre specificiato che in quegli anni era del tutto normale che il Kgb cercasse di entrare in contatto con giovani politici e giornalisti» (Alessandro Ronga). «È stato ministro dell’Energia e poi delle Finanze nel governo di Gro Harlem Brundtland, entrando in carica come primo ministro del regno nel 2000, quando aveva quarantun anni, dopo aver causato la caduta del governo di Kjell Magne Bondevik per un disaccordo interno sul progetto di costruire una centrale elettrica a gas, che il primo ministro riteneva producesse troppo inquinamento» (Deloy). «Divenne il più giovane premier nella storia della Norvegia. Era un ammiratore delle idee del socialismo riformista, migliorista e moderno, tentò un’audace politica di rigore e tagli al welfare, affrontando la sconfitta contro i conservatori. Tornò al potere nel 2005, e fu rieletto nel 2009. S’impose come politico concreto, e affidabile. E coraggioso: fin dall’inizio, affrontò l’ala ortodossa del suo partito, che gli rimproverava non solo le idee riformiste, bensì persino il fatto di essere di origini altoborghesi e non proletarie» (Andrea Tarquini). «Era ferocemente ostile alla guerra in Iraq. Il suo primo gesto dopo il suo ritorno al potere nel 2005 è stato quello di telefonare all’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush per annunciare il ritiro dall’Iraq dei 150 ingegneri norvegesi inviati dal precedente governo di centrodestra. Ma […] fu lui ad ottenere il sostegno del Parlamento norvegese nel 2008 per l’acquisto di nuovi aerei americani F-35 Joint Strike Fighter, preferendo così rafforzare le relazioni transatlantiche della Norvegia a discapito di quelle con la vicina Svezia, che offriva il suo Gripen, un apparecchio concorrente. Sotto la sua guida, la Norvegia è stata un membro attivo della Nato, dando il suo contributo in Afghanistan, ed è intervenuta in Libia all’interno della coalizione internazionale per cacciare il colonnello Gheddafi. Tanti buoni punti che gli sono serviti al momento di designare il nuovo segretario generale dell’Alleanza» (Slim Allagui). «In passato ha avuto buoni rapporti con Mosca. Il suo governo ha negoziato un accordo nel 2010 che ha posto fine a una disputa di 40 anni sul confine con la Russia nel mare di Barents» (Jones e Milne). «È stato sotto i riflettori del mondo nei giorni terribili della strage di Utøya, nel luglio del 2011, quando il terrorista nazista Anders Behring Breivik fece strage di giovani laburisti dopo aver cercato di uccidere proprio lui nel suo ufficio ad Oslo. Il volto asciutto e triste del primo ministro norvegese diventò allora il simbolo della sofferenza della nazione, ma anche della capacità di resistenza della democrazia» (Soldini). «Organizzò e guidò di persona le indagini e i soccorsi, parlò al Paese agli strazianti funerali dei giovani assassinati. “L’assassino, il criminale, ha voluto colpirci al cuore, ma nessuno riuscirà mai a costringerci con gli spari al silenzio: la nostra democrazia e la nostra speranza in una società più giusta sono e saranno sempre più forti di loro”, disse alla folla in lacrime, con tutti, persino la giovane principessa Mette-Marit, piegati dal pianto. Il figlio del buon ceto medio, laureato in Economia ed ex giornalista, aveva improvvisamente cambiato volto: si era mostrato capace di capire gli affetti e gli animi della gente» (Tarquini). Stoltenberg uscì però sconfitto dalle elezioni del settembre 2013, nonostante la spregiudicatezza dimostrata nel cercare la rinconferma: «i media norvegesi hanno scoperto che la sua innovativa campagna elettorale condotta fingendosi tassista e chiacchierando – sotto gli occhi di una telecamera – con i passeggeri era una colossale bufala. I passeggeri non erano casuali, erano scelti con cura dallo staff elettorale, e il tutto era una messinscena di basso livello» (Carlo Panella). Abbandonata la guida del governo, Stoltenberg assunse l’incarico di inviato speciale dell’Onu per il cambiamento climatico, per poi essere eletto, il 28 marzo 2014, segretario generale della Nato, carica che assunse quindi il 1° ottobre successivo. «Da Anders Fogh Rasmussen a Jens Stoltenberg, da un liberalconservatore a un laburista, da un danese a un norvegese, da dentro a fuori dell’Ue. In quattro passaggi ecco la svolta per la Nato. […] Non si poteva essere indecisi nel momento più tosto per l’Alleanza dalla fine della Guerra fredda, mentre la Russia fa le grandi manovre al confine dell’Ucraina. Il consenso è stato raggiunto in fretta e ha bruciato gli altri pretendenti, fra cui l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini e il polacco Radosław Sikorski. Lo ha voluto Barack Obama, “per la continuità”, appoggiato dal britannico Cameron e dalla cancelliera Merkel. Favorevole anche il francese Hollande, lieto di vedere una vecchia conoscenza della famiglia socialista ottenere un incarico importante. L’Italia si è adeguata, e il governo Renzi ha lasciato passare il norvegese anche per guadagnare punti con gli alleati» (Zatterin). «A Oslo, le sue prime parole hanno espresso “profonda gratitudine” agli Stati membri della Nato “per la loro fiducia”, assicurando di essere a favore di una “forte Alleanza che garantisca stabilità e pace in Europa”. “Alcuni mettono in dubbio”, ha continuato, “la legittimità della Nato dopo la fine della Guerra fredda. Ma ora vediamo come la forza militare viene utilizzata in Crimea per cambiare i confini. È un campanello d’allarme per ricordarci l’importanza dell’Alleanza”, ha detto, riferendosi all’annessione della Crimea da parte della Russia. Sostenitore della “fermezza, ma anche del dialogo” in tempi di crisi, […] il norvegese ha vinto […] grazie al suo pragmatismo, una qualità che gli è valsa il sostegno dei Paesi chiave dell’Alleanza» (Allagui). Il suo mandato, inizialmente destinato a scadere dopo quattro anni, fu poi prorogato – allo scopo di evitare un’ulteriore destabilizzazione in un contesto di forti tensioni internazionali, persino all’interno della stessa alleanza, tra l’Europa e gli Stati Uniti di Trump, il quale giunse a definire obsoleta la stessa Nato – per due volte, dapprima nel 2017 e poi ancora nel 2019, ogni volta per altri due anni, per un totale di otto anni complessivi: il secondo mandato più lungo nella storia della Nato dopo quello dell’olandese Joseph Luns. «Stoltenberg, che non ha certo brillato nei sette anni passati, è rimasto in sella come segretario generale della Nato nonostante le perplessità di parecchi osservatori. […] Stoltenberg viene accusato da più parti di occuparsi poco del fianco sud della Nato e di avere trasformato la sconfitta degli americani in Afghanistan in quella della Nato. La Nato in realtà aveva cessato le operazioni di combattimento in Afghanistan il 31 dicembre 2014 con la fine della missione Enduring Freedom, a cui aveva sostituto operazioni di addestramento e fornitura di equipaggiamenti. Stoltenberg, invece di restare defilato dopo la decisione unilaterale americana di ritirarsi dall’Afghanistan dopo venti lunghi anni di conflitto, si è esposto inutilmente e ha coinvolto l’Alleanza atlantica nella disastrosa evacuazione. Una brutta pagina di storia che Stefano Pontecorvo, il rappresentante della Nato in Afghanistan, ha cercato di rendere meno drammatica nei terribili giorni della fuga degli occidentali da Kabul. Un grave errore di comunicazione, quello di Stoltenberg» (Vittorio Da Rold). Al termine del suo mandato, la prova più difficile. «Dopo aver ammassato soldati e mezzi militari al confine con l’Ucraina, pronti per lanciare un attacco da più direzioni, il presidente russo, Vladimir Putin, ha detto che non ha altre alternative: non è la Russia il problema, il problema è la Nato, che si è fatta sempre più espansiva. Così, il ministero degli Esteri russo si è messo a lavoro e ha stilato una lista di richieste irrealizzabili dirette alla Nato, talmente irrealizzabili da sembrare fatte per farsi dire di no. Tra queste, Mosca chiedeva la garanzia che l’Ucraina e la Georgia non entreranno mai a far parte dell’Alleanza atlantica. Sono seguite settimane intense, un lavorio diplomatico in cui gli Stati Uniti hanno cercato un punto di incontro, noi europei stavamo a guardare e la Nato, con un moto di orgoglio, di coerenza e di forza ha detto al presidente russo: non sei tu che detti le nostre regole. Lo ha invitato a dialogare, a ridefinire cose importanti come i limiti reciproci per il dispiegamento di missili, ma per il resto gli ha detto con chiarezza che sarà l’Alleanza a stabilire chi può entrare e chi no. […] La Russia che blatera di riportare Mosca ai confini sovietici sta facendo crescere il desiderio di Nato» (Paola Peduzzi e Micol Flammini). «Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, […] avverte che non potrà mai essere accettata la richiesta del Cremlino di imporre vincoli alle libere adesioni da parte degli Stati europei all’Alleanza atlantica. “Vogliono controllare i loro vicini, ma sarebbe contrario ai nostri princìpi fondamentali”. E, proprio in base ad essi, la risposta alla Russia e anche all’espansionismo cinese sarà sempre intransigente. […] “L’Ucraina è un partner di grande valore. La aiutiamo nel diritto fondamentale all’autodifesa. Diamo il nostro supporto […] nella fornitura di attrezzature e nell’addestramento. Ma Kiev non è un alleato della Nato. L’impegno a difendere tutti gli alleati vale solo per gli alleati. […] Per l’Ucraina abbiamo dichiarato che le conseguenze saranno nuove sanzioni economiche e che forniremo il nostro sostegno”. E se Kiev chiedesse di aderire definitivamente alla Nato, quale sarebbe la risposta? Sì o no? “L’Ucraina ha già chiesto l’adesione e abbiamo deciso di lavorarci. Di sostenerla nelle riforme, nella modernizzazione delle forze armate secondo i nostri standard. È chiaro che siamo aperti. Nel 2008 abbiamo stabilito che Ucraina e Georgia diventeranno membri, ma non quando. […] I russi non possono interferire. Vogliono ristabilire una sorta di influenza riservata alle grandi potenze. Ma questa non è l’Europa in cui vorrei vivere. Gli Stati europei sono liberi e indipendenti”» (Claudio Tito). «Il mandato del segretario della Nato Jens Stoltenberg scade nel settembre del 2022 e lui si è candidato per diventare governatore della Banca centrale della Norvegia. […] Stoltenberg è stato primo ministro della Norvegia, e così la sua prossima vita come eventuale governatore centrale è molto contrastata: si teme per l’indipendenza della Norges Bank. Ma nemmeno la sua successione alla Nato è priva di preoccupazioni. Candidature formali, non ce ne sono, ma molte chiacchiere sì. In particolare una, la solita: ci vuole una donna. Poi ci sono le ambizioni nazionali o geografiche» (Peduzzi e Flammini) • «È anche un attivista per le campagne mondiali di vaccinazione dei bambini, che ha condotto con la Gates Foundation» (Bonanni) • Sposato, due figli: «uno che studia a Shanghai, l’altra che canta negli Smerz, un duo norvegese di musica mezza elettronica mezza notturno-scandinava» (Peduzzi e Flammini) • «Appassionato di sport e di vacanze nei fiordi» (Peduzzi e Flammini) • «Dice di amare la musica di Leonard Cohen, Bruce Springsteen… e sua figlia Catharina» (Hubert-Rodier) • «L’ufficio del segretario generale della Nato, nella periferia di Bruxelles, è decorato in particolare da due quadri. Il primo è una grande cartina del mondo, nella quale gli alleati dell’organizzazione militare sono segnati in colore nero. L’altro è una fotografia dell’isola di Utøya, nella quale Anders Behring Breivik uccise 69 persone nel luglio del 2011. […] I due quadri sono simbolici delle storiche minacce che la Nato è chiamata ad affrontare: l’instabilità internazionale e il terrorismo politico» (Beda Romano) • «Magro e taciturno, il volto spesso pensoso e quasi triste» (Tarquini) • «“L’ordine fondato sulle regole, la base del multilateralismo, è minacciato. Russia e Cina ultimamente intrattengono una collaborazione sempre più intensa, sia a livello politico che militare. Si tratta di una nuova dimensione e di una seria sfida per la Nato. Ne derivano nuovi pericoli. Mosca e Pechino coordinano sempre più spesso le rispettive posizioni nelle decisioni in seno alle organizzazioni multilaterali come l’Onu. Inoltre eseguono esercitazioni militari congiunte, sperimentano assieme voli a lungo raggio con aerei da combattimento e operazioni marittime, ma procedono anche a un intenso scambio di esperienze sui sistemi d’arma e il controllo di internet. La Nato è un’alleanza tra Europa e America del Nord, ma dobbiamo adeguarci a un contesto di sicurezza globale che si fa sempre più competitivo. Viviamo in un’èra di concorrenza globale tra sistemi”. L’Alleanza è pronta alla sfida? “La Nato è l’alleanza storicamente più valida. Il suo successo deriva dalla capacità di adeguarsi a un mondo che cambia. È stato così nel post-Guerra fredda, dopo gli attacchi dell’11 settembre e l’annessione illegale della Crimea per mano russa. Da allora sono sorte nuove minacce, alle quali naturalmente reagiremo. […] Nessun Paese e nessun continente è in grado di affrontare queste sfide da solo. Dobbiamo mantenere la stretta collaborazione con il Nord America e restare uniti come Nato”. […] “L’ascesa della Cina offre nuove possibilità, ad esempio per il commercio e per le nostre economie nazionali. La Cina può essere coinvolta nel controllo degli armamenti e nelle iniziative per la tutela del clima. Non la consideriamo un nemico. Al contempo la sua ascesa comporta serie sfide. La Cina non condivide i nostri valori. Non crede nella democrazia, nella libertà di parola e nella libertà dei mezzi di informazione. La Cina è molto attiva in Africa, nei Balcani occidentali e nell’Artide. Opera massicci investimenti in infrastrutture chiave in Europa. Nel cyberspazio è un punto fermo. Tutto questo ha un enorme impatto sulla nostra sicurezza”» (intervista di Christoph B. Schiltz del giugno 2021) • «Lei sta per concludere il suo mandato. Quale sarà la sfida più difficile per il suo successore? “Viviamo in un mondo imprevedibile: ci saranno sorprese. È estremamente difficile prevedere quale sarà la prossima crisi. Il mio messaggio principale è che dobbiamo prepararci agli imprevisti. Usa ed Europa insieme valgono il 50 per cento dell’economia mondiale. Insieme siamo in grado di preservare la pace”» (Tito).