25 marzo 2022
Tags : Abu Mazen (Mahmoud Abbas)
Biografia di Abu Mazen (Mahmoud Abbas)
Abu Mazen (Mahmoud Abbas), nato a Safad (Israele) il 26 marzo 1935 (87 anni). Politico palestinese. Dal 2005 presidente dello Stato di Palestina e dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Dal 2004, dalla morte di Yasser Arafat (1929-2004), presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). Esponente dell’ala moderata di al-Fatah, del quale fu fra i fondatori nel 1957, entrò nell’Olp nel 1981 ed ebbe una parte di primo piano negli accordi di Oslo (1993). Primo ministro dell’Anp dal marzo al sett. 2003, si dimise per il conflitto con l’allora presidente dell’Autorità Arafat e con le fazioni armate della resistenza palestinese.
Vita «Se volete fare un complimento a Mahmoud Abbas (così fu registrato all’anagrafe di Safed) chiamatelo Abu Mazen. In gran parte del mondo arabo, infatti, per mostrare rispetto a un uomo lo si saluta “Abu” (padre) seguito dal nome del figlio. Abu Mazen, quindi, è il padre di Mazen, dal nome del suo primogenito (morto d’infarto a 42 anni). Nei tempi del rinnovato dialogo tra israeliani e palestinesi, nell’estate 2003, anche Sharon si rivolse ad Abbas chiamandolo “Abu Mazen”. Un segno di stima, tanto più se si ricorda che l’appellativo “Abu” evoca i tempi della clandestinità» (CdS) • «Il padre manteneva la famiglia con un gregge di pecore e grazie alla vendita dei prodotti agricoli aveva rapporti con gli ebrei. Le relazioni tra le comunità non erano sempre facili. Un vicino, Aryeh Bandareli, ricorda che “solo la presenza dei soldati inglesi e del formaggio” impediva scontri pesanti. Ma c’erano comunque scaramucce alle quali Mahmoud non partecipava “perché era troppo piccolo”. La vita di tutti cambia nella notte tra il 7 e l’8 maggio 1948, durante la prima guerra tra israeliani e arabi. Le forze ebraiche attaccano il villaggio di Abu Mazen usando un Davidka, un mortaio rudimentale. Non fa danni, però provoca un rumore terrificante. Quanto basta per spingere gli arabi di Harat a scappare. All’età di 13 anni Abu Mazen diventa, come migliaia di altri palestinesi, un profugo e si stabilisce in Siria. A Damasco completa gli studi e diventa maestro in una scuola elementare. Dopo una laurea in Legge, va a Mosca dove completa il suo dottorato. È il momento della politica. Abu Mazen è tra i fondatori del Fatah, la principale componente palestinese. Dalla Russia, si sposta con la moglie e i tre figli nel Qatar diventando un uomo d’affari di successo. Nel 1988 viene eletto nel Comitato esecutivo dell’Olp e gli affidano il settore dei “territori occupati”. Il suo nome assume una notorietà mondiale nel 1993, quando israeliani e palestinesi concludono in gran segreto gli accordi di pace di Oslo. Abu Mazen è uno dei negoziatori. Lo definiscono tenace, per nulla moderato. Qualcuno ne sminuisce il ruolo. In ogni caso la sua figura resta legata a quella svolta che porta alla nascita dell’Autorità palestinese nei territori. Abu Mazen ha la possibilità di tornare a Safed, ma la sua casa non esiste più: al suo posto hanno costruito una scuola religiosa ebraica. Il mediatore continua la sua missione nei territori. C’è da applicare Oslo. Le intese però non sono attuate fino in fondo, gli israeliani non mantengono fede alle promesse. La rabbia esplode nel settembre del 2000, dopo il fallimento del vertice di Camp David. Abu Mazen, che viene identificato come l’uomo del dialogo, resta defilato. Arafat lo guarda con sospetto, pensa che stia tramando alle sue spalle con gli americani. Qualcosa di vero c’è. Non è un complotto ma il tentativo di trovare una via diversa alla lotta armata e al terrorismo dei kamikaze. Abu Mazen chiede che l’intifada sia demilitarizzata. Posizione che ne fa il candidato ideale – per gli americani – alla poltrona di premier. Persino Ariel Sharon spende parole di apprezzamento, lo invita nel suo ranch. Meno contenti i palestinesi. Temono un tradimento o peggio la svendita di una causa ancora popolare. Abu Mazen deve convincerli del contrario» (Guido Olimpio) • «Vecchio compagno d’armi di Arafat, palestinese dell’Alta Galilea (è nato a Safed, luogo di non comune bellezza: da presepio; un piccolo miracolo d’architettura mediorientale, a misura d’uomo) è l’esatto contrario di quel che fu Arafat. Abu Ammar fu tra i commandos che nei Cinquanta infastidivano l’Egitto di Nasser con le loro incursioni in Israele gravide di conseguenze non solo politiche. Abu Ammar combatté a Karameh in quella battaglia che l’abilità dei comunicatori palestinesi trasformò in “strepitosa vittoria”, impugnando con destrezza il kalashnikov cui, per altro, preferiva la pistola, una sottomarca spagnola della S&W che pretese di portare con sé nell’ultimo suo viaggio: da Ramallah all’ospedale militare francese. Abu Mazen alla rivoltella ha sempre preferito la Mont Blanc. Lavorava nell’ombra, forte della sua modestia sposata ad un fiuto diremo politico piuttosto raro a certe latitudini. [...] È l’uomo di Oslo, è lui che convinse Arafat e gli irriducibili a fidarsi degli amici (non solo norvegesi) che lavoravano (senza fanfara) affinché gli eterni nemici si incontrassero perfezionando l’incontro, invero storico, di Madrid (del 1991), per tentare un accordo di pace. Mal fatto, addirittura abborracciato, quell’accordo è passato alla Storia e a redigerlo, dopo la difficile gestazione, fu proprio Abu Mazen ovviamente col placet di Arafat» (Igor Man) • «L’immagine, assai poco carismatica, è quella di un professore di matematica. Lavora anche 15 ore al giorno. Lo infastidiscono giornalisti e telecamere. Compare il meno possibile. Piace agli americani e a Israele, ma nessuno ha dimenticato la sua tesi di laurea sull’Olocausto, dove esaminava le teorie minimaliste di chi sostiene che le vittime della Shoah furono assai meno di quante tutti conosciamo. Ma il rispetto di cui gode a Washington e a Gerusalemme ha spinto gli estremisti a gridargli “fantoccio della Cia e del Mossad”. Chi lo conosce bene avverte: rispetta la parola data, nella forma è suadente, ma durante i negoziati sa essere durissimo. Certamente più di Arafat» (Antonio Ferrari) • Da capo dell’Olp e poi presidente eletto dell’Autorità nazionale palestinese «si è distinto per i costanti appelli alla fine della lotta armata contro Israele e per il sostegno dato ai negoziati di pace, culminati nella conferenza di Annapolis (novembre 2007). La vittoria di Ḥamas nelle elezioni legislative del 2006, e la vera e propria battaglia militare scatenata dai suoi militanti nelle strade di Gaza nell’estate del 2007 per cacciare al-Fatah dalla Striscia, portava di fatto a una divisione tra la Cisgiordania e Gaza, territorio dove Ḥamas saliva al potere con la violenza non riconoscendo più l’autorità del presidente Abu Mazen. In questo difficile frangente Abu Mazen ha potuto contare sull’appoggio della comunità internazionale e ha ricevuto anche il sostegno di Israele che decideva di versare nelle casse dell’Anp somme ingenti di aiuti umanitari internazionali trattenuti dal governo israeliano dopo la vittoria elettorale di Ḥamas del gennaio 2006. Nel maggio 2011 per ricostituire l’unità nazionale dei palestinesi le due organizzazioni hanno firmato al Cairo un accordo di riconciliazione che prevedeva anche lo svolgimento di nuove consultazioni (il mandato di Abu Mazen è scaduto nel 2009). Nel settembre 2011, richiamando l’attenzione della comunità internazionale sul problema palestinese e provocando la collera di Israele, Abu Mazen ha presentato ufficialmente al segretario generale delle Nazioni Unite la richiesta di riconoscimento dello Stato di Palestina entro i confini del 4 giugno 1967 con Gerusalemme capitale. Richiesta che ha suscitato aspre reazioni da parte del premier israeliano Netanyahu, fermamente ribadite nell’ottobre dello stesso anno quando, con voto plebiscitario dell’Assemblea generale riunita a Parigi, l’Unesco – prima agenzia Onu a esprimersi in merito a tale richiesta – si è dichiarato a favore dell’adesione dell’Anp come membro a pieno titolo dell’organismo. Un importante avanzamento a favore della causa palestinese è stato raggiunto nel novembre 2012, quando con 138 voti favorevoli (tra cui quello dell’Italia), 9 contrari e 41 astenuti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l’Anp come Stato osservatore non membro dell’Anp, condizione che le conferisce legittimità internazionale, permettendole di presentare richiesta di adesione in qualità di Stato membro e di fare ricorso alla Corte penale internazionale» (Treccani) • «Nel 2014 arriva una “pace” tra Hamas e al-Fatah, in base alla quale vengono fissate delle nuove elezioni per lo stesso anno. Non ci saranno mai. A marzo 2021, quando sembrava che i palestinesi fossero pronti per tornare a votare dopo 15 anni, la vedova di Arafat disse queste esatte parole: “Mahmoud Abbas dirige l’Autorità nazionale palestinese da 16 anni con pugno di ferro, abusi, portando a imprigionare liberi pensatori, giornalisti, artisti e politici di primo piano. Penso che abbia perso il controllo della situazione politica nella Palestina occupata”. Piccolo spoiler: le elezioni sono state annullate, Abu Mazen è ancora lì. Si è difeso parlando della mancata concessione, da parte di Israele, del permesso di svolgere le elezioni a Gerusalemme est. La verità, però, è che al-Fatah non ha nemmeno provato a far sì che le cose potessero cambiare. Lo scenario politico palestinese, se possibile, è ancora più frammentato di prima: da una parte Hamas, dall’altra al-Fatah, divisa però in tre fazioni diverse. Se si fosse votato, la classe dirigente di Abu Mazen ne sarebbe uscita sconfitta, e perché il Presidente dovrebbe voler perdere il potere? Meglio rinviare e mantenere le cose così come stanno, circostanza che, tra l’altro, fa molto comodo anche a Israele» (Nicolò Delvecchio) • «Oltre ad aver perso da tempo il sostegno dei palestinesi, Abu Mazen ha anche perso l’interesse della comunità internazionale che lo considerava un interlocutore. Il segretario di Stato americano Antony Blinken, il presidente francese Macron, il turco Erdoğan e il re giordano Abdallah II si sono rivolti a lui, ad Abu Mazen, per parlare del conflitto, ma più per prassi che per convinzione. In questo momento la comunità internazionale ha ancora meno ragioni per essere interessata a un leader che non soltanto non ha avuto successo, ma che oggi è anche irrilevante. Non ha influenza né su Hamas né sugli altri gruppi armati che imperversano a Gaza, come il Jihad islamico. Non può mediare, non è ascoltato, i suoi rapporti con la Striscia erano complicati prima, non ci mette piede dal 2007, e dopo il voto annullato lo sono ancora di più» (Micol Flammini) • Sposato con Amina Abbas, padre di tre figli, Mazen (morto a 42 anni per infarto), Yaser e Ṭareq. «È un galantuomo: marito perfetto, padre amoroso, un negoziatore abile e tenace» (Igor Man).