31 marzo 2022
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Biografia di John Elkann (John Philip Jacob E.
John Elkann (John Philip Jacob E., detto Jaki o Yaki), nato a New York (Stati Uniti) il 1° aprile 1976 (46 anni). Capitalista. Uno dei più ricchi e potenti d’Italia. Nipote prediletto di Gianni Agnelli, che lo volle suo erede • «Il nipote perfetto» (Financial Times) • «Maturo, serio, responsabile, riflessivo, determinato. Quasi un po’ noioso, quanto il nonno era charmant» (Paola Pilati) • «Dall’Avvocato ha ereditato un po’ tutto: le aziende, la responsabilità, il comando» (Massimo Giannini, La Stampa, 7/3/2021) • «Ancor prima, ha ereditato le passioni, aspetti del carattere e perfino la “erre”, che rende così simili le voci» (Sergio Bocconi) • Presidente e amministratore delegato di Exor N.V. e della Giovanni Agnelli B.V. (le due holding di diritto olandese che controllano l’impero di famiglia). Presidente di Stellantis (che possiede i marchi Abarth, Alfa Romeo, FIAT, Lancia, Chrysler, Dodge, Jeep, Ram Trucks, Citroën, Maserati, Opel, Peugeot, Vauxhall, etc.), della Ferrari e del gruppo GEDI (che controlla la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, Limes, HuffPost, nove quotidiani locali, Radio Deejay, Radio Capital, la concessionaria di pubblicità Manzoni, etc.). Controlla indirettamente anche la Juventus, The Economist, il gruppo CNH Industrial (ex Fiat Industrial) e il marchio di scarpe Laboutin • Frequenta gente come Jeff Bezos di Amazon, Larry Page di Google e Barack Obama. È stato definito «inesperto» e «miracolato», essendosi trovato a capo dell’azienda molto giovane, dopo la scomparsa prematura del cugino Giovannino Agnelli, capace e volitivo, morto di cancro a 33 anni • «Non ama parlare in pubblico, non chiama alle sei del mattino i giocatori della Juventus e non mette l’orologio sopra il polsino. Non ha mai voluto apparire come la copia del nonno. E forse per questo è l’uomo d’affari più sottovalutato d’Italia, un Paese che sa riconoscere leadership domestiche ma che fatica a capire le dinamiche globali» (Andrea Fioravanti, Linkiesta, 4/12/2019) • «Dall’avvocato Agnelli, personaggio fascinoso, che spaziava dal mondo industriale, finanziario, politico, sportivo e mondano, a John Elkann, schivo e riservato, fuori dal gioco politico, concentrato sulla finanza, il gruppo Fiat ha cambiato natura e destino. Ora non è più una compagnia italiana con diramazioni internazionali, in cui l’auto in crisi è una componente in declino che rende difficile far quadrare il bilancio del gruppo» (Francesco Forte, il Giornale, 30/1/2014) • Lui ha detto: «Ognuno vive nel mondo che gli è dato. Io, a differenza di mio nonno, non ho fatto la guerra, perché la guerra non c’era. E non ho fatto la Dolce Vita, perché la Dolce Vita non c’è più».
Titoli di testa «Quando, alla fine del 1997, scomparso Giovanni Alberto Agnelli, l’Avvocato lo designa erede con una decisione “presa immediatamente per far sentire anche simbolicamente la continuità”, è un ragazzo alto e magro, con il viso che conserva i tratti delicati e incerti dell’adolescenza. I fotografi, prima di allora, lo avevano colto allo stadio, accanto al nonno. Giacca a vento rossa. Capelli un po’ scomposti. Troppo giovane per entrare nel consiglio d’amministrazione del più grande gruppo industriale italiano? Risponde Giovanni Agnelli: “No. Io, nel 1943, avevo la stessa età”» (Sergio Bocconi).
Vita Primogenito di Alain Elkann (New York, 1950) e di Margherita Agnelli (Losanna, 1955). Il padre, scrittore e romanziere, mezzo italiano e mezzo francese, figlio del rabbino capo di Parigi, discende da una schiatta di banchieri. La madre, pittrice, una predilizione per i soggetti religiosi, è «la figlia insofferente» di Gianni Agnelli, presidente della FIAT, e di Marella Caracciolo di Castagneto, nata a Firenze da una famiglia dell’aristocrazia napoletana (nonché sorella di Carlo Caracciolo, fondatore del gruppo L’Espresso assieme a Eugenio Scalfari) • Due fratelli: Lapo (New York, 1977) e Ginevra (Londra, 1979). Cinque fratellastri, figli della madre e del secondo marito di lei, Serge De Pahlen: Maria (1984), Pietro (1987), Anne (1989), Sofia (1989), Tatiana (1991) • Infanzia dorata. Cresce in Brasile con delle istitutrici (la sua lingua madre è il portoghese). Soggiorni a Londra, New York, Parigi. La sciabola. La vela. Lo sci. Rapporto strettissimo con il nonno, che lo porta a regatare in Corsica, al cinema a Parigi, alle mostre alla Pinacoteca di Torino, a sciare in Svizzera. «Mia nonna Marella passava l’inverno nella casa di St. Moritz, e il nonno la raggiungeva spesso. Facevamo colazione insieme, uscivamo a passeggio. Soprattutto, andavamo a sciare. E lui ci stimolava ad affrontare i rischi: scegliere il versante più difficile, spingerci in zone che non conoscevamo» (ad Aldo Cazzullo). «Tutta bambagia che un po’ lo protegge e un po’ lo stordisce» (Pino Corrias, Il Fatto Quotidiano, 27/7/2018). John, infatti, si prepara fin da bambino, inconsapevolemente, al ruolo di capitano d’industria. «Qualche volta il nonno mi diceva: “Mi dispiace di avergli rovinato la gioventù. Quando uno è giovane, dovrebbe godersi di più la luce, il divertimento, essere meno oppresso dalle responsabilità. Una cosa è creare dal nulla quando si è giovani. Un’altra ereditare una situazione molto grave”» (Alain Elkann). Per di più, ci sono le turbolenze tra mamma e papà: «Aveva cinque anni quando i suoi genitori divorziarono, e mentre dice di non ricordare il momento della rottura, ricorda bene l’amarezza e le recriminazioni tra i genitori, durante e a lungo dopo. “Siccome era il più grande, gli sono toccate le cose sgradevoli” dice il fratello Lapo. “Divenne più forte in alcuni aspetti che sono più emozionali, e dovette farlo da giovane”. Era “il più serio di tutti noi” dice la sorella, Ginevra, facendo notare che era John che ricordava loro di lavare i denti e nel cui letto si infilavano di notte quando erano impauriti» (David Whitford, Fortune, 8/7/2013). Negli anni, John dà al nonno la certezza di avere una personalità tutt’altro che subalterna. Studia al liceo scientifico Victor Duruy, una delle scuole più severe di Parigi (nel 1929 vi insegnò filosofia anche Simone de Beauvoir). L’avvocato vorrebbe che si iscrivesse alla facoltà di Economia e commercio della Bocconi di Milano, lui invece sceglie ingegneria gestionale al Politecnico di Torino («Era più dura. La sentivo semplicemente più sfidante»). «Come ricorda quegli anni? “Molto impegnativi. Sono cresciuto all’estero, ho fatto la maturità nel ‘94 a Parigi, era la prima volta che andavo a scuola in Italia. Ho dovuto studiare molto. Il Politecnico mi ha trasmesso la disciplina e il ragionamento. La vita non è del tutto razionale, e non tutto causa l’effetto desiderato; ma studiare Ingegneria significa anche imparare a inquadrare i problemi, a semplificare le cose complesse, a sintetizzare. Non tutto quello che ho studiato l’ho poi messo in pratica, ma sviluppare un’idea logica mi ha aiutato nella vita, anche nei rapporti umani”» (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 26/9/2013) • Da studente, vive per tre anni nel collegio universitario San Giuseppe. Racconta di lui il direttore, Fratel Igino: «È figlio di artisti, ma è un giovane normalissimo, sensibile e semplice». «Di lui ho capito molto in due occasioni. Quando è arrivato qui, accompagnato dalla madre. Noi abbiamo una regola: tutti gli studenti per un anno rinunciano all’auto. Per un Agnelli, è una ‘legge’ un po’ strana. E lui? Ha detto: benissimo, ed è andato solo in motorino, un vecchio ciclomotore». Spesso l’Avvocato lo vuole con sé. Come quando lo porta allo stadio in Germania (partenza alle 19, rientro alle 24). Sempre fratel Iginio: «La prima delle tante volte che il nonno è venuto a trovarlo, mi ha chiesto di vedere la sua stanza. Non c’è problema, gli ho risposto, ma è un po’ austera, nessun lusso... E lui: ah, va benissimo. Guardi, è molto, molto meglio della mia stanzetta da ufficiale» (Bocconi) • A John, in quegli anni, piace scrivere. A un certo punto pensa di seguire le orme paterne. «Iniziò a collaborare alla rivista del Politecnico, La scheggia, che, viste le sue entrature, gli affidò diverse interviste a gente che le avrebbe date solo a lui. Era, come il padre, un intervistatore lieve e garbato. Non dovendo affrontare le forche caudine, si sottoposero volentieri alle sue soffici domande due calibri come Marco Tronchetti Provera e Luca di Montezemolo. Nelle parentesi tra studi e giornalismo, Jaki si faceva vedere a qualche festa e nel corso degli anni gli sono state attribuite passioncelle che ne denotavano il buon gusto. Si fecero i nomi di Carla Bruni e Martina Colombari. I nuovi compiti lo costringevano però alla circospezione. Lasciò quindi al fratello minore, Lapo, il ruolo di scapestrato, e assunse per sé quello di bravo figlio» (Giancarlo Perna, il Giornale, 21/4/2010) • John si laurea (95/110) e nel 2001 inizia il tirocinio pratico. Operaio in incognito in un impianto Magneti Marelli a Birmingham, in Inghilterra, dove alloggia presso una famiglia che non aveva idea chi fosse, le serate trascorse a cenare davanti alla tv. Addetto alla linea di montaggio, sempre sotto falso nome, della fabbrica FIAT Auto di Tyche in Polonia. Uno stage alla General Electric, che lo porta in Asia, Stati Uniti e vari Paesi europei. Comincia a lavorare in azienda. Lo chiamano «il giovanotto» e «il principino». Eppure, alla morte del nonno, nel 2003, è costretto a prendere in mano le redini dell’azienda. «Per anni, il ragazzo è stato un pesce fuor d’acqua, intimidito dal ruolo. Circondato da vecchioni esperti - il nonno, lo zio, gli amici di famiglia, i Gabetti, i Galatera, ecc. -, John si è limitato ad annuire. Sempre in giacca e cravatta, lontano dai divertimenti dell’età, pareva - ha detto un testimone - un bambino vestito da grande. Facile ai rossori, rispondeva a monosillabi alle domande dei giornalisti, dicendo il meno possibile e solo banalità per il timore si sbagliare. Se costretto a discorsi più lunghi - in ogni caso mai più di mezzo minuto - si guardava attorno disperato cercando l’incoraggiamento del portavoce, dello zio e, alla sua morte, di Gianluigi Gabetti che lo ha svezzato» (Perna). L’avvicendamento arriva nel momento peggiore per la FIAT. «Avevamo perdite per 6 miliardi di euro. Una situazione fallimentare. Fu allora, con grande coraggio, che la mia famiglia decise comunque di crederci, e di avviare una nuova fase. Decidemmo di investire. Di investire soprattutto sulla convinzione che le cose potevano andare meglio. Volevamo capire dove avevamo sbagliato. Avevamo cambiato cinque amministratori delegati in due anni, dal 2002 al 2004. Una sera, con un po’ di grappini e di sigarette convincemmo Sergio Marchionne ad accettare. Non fu facile» (Paolo Siepi, ItaliaOggi 18/4/2014). «Marchionne chi? Non indossa cravatte, non frequenta salotti, non sopporta i politici, gli sta antipatico pure Luca Cordero di Montezemolo, storico compagno di svaghi dell’Avvocato. Ha gli occhiali da miope, ma ci vede benissimo, vuole aprire la Fiat al mondo, ridimensionarla in Italia, ingaggiare ingegneri e idee. Ha un carattere compatto, ma con il morbido John è sintonia a prima vista. Lo tiene al caldo i primi anni, mentre lui disbosca duro stabilimenti, sindacati e Confindustria. Se lo porta in America, dove il presidente Obama e Detroit offrono soldi e una via d’uscita che ha il marchio globale della Chrysler. John guarda e impara» (Corrias). Finalmente, nel 2010, succede a Luca Cordero di Montezemolo nell’incarico di Presidente della Fiat, sedendo a 34 anni sulla poltrona che l’Avvocato conquistò nel ’66, a 45. «Ora che è diventato presidente della Fiat, la favola di John Elkann finisce e comincia la vita. Quella vera e dura, senza filtri protettori, dove quando sbagli la colpa è tua e, se fallisci, tre generazioni di Agnelli ti guarderanno irate dall’alto e nonno Gianni che ti ha voluto e tracciato la strada dirà corrucciato: “Jaki sei una fvana e io fui un pivla”» (Perna).
Amori «Il capostipite della nidiata più costosa d’Italia, l’antico senatore Agnelli che fabbricò auto a inizio Novecento, insegnò ai figli a sposare solo principesse, per aggiungere alla ricchezza che puzzava troppo di olio e di benzina, il profumo del sangue blu che fa carisma. E così fecero tutti, compreso John, tre generazioni dopo» (Corrias). Lui scelse la contessina milanese Lavinia Borromeo, classe 1977, discendente di San Carlo Borromeo, bella e algida, bionda e schiva, imparentata con mezza aristocrazia europea, laureata in Scienze politiche alla Cattolica. Si conobbero a Londra (la sorella di lei, Isabella, era amica del fratello di lui, Lapo). Nozze alle isole Borromee, sul Lago Maggiore, il 4 settembre 2004 (cerimonia all’isola Madre e ricevimento sull’isola Bella, 700 invitati, champagne, elicotteri, motoscafi, ecc). Tre figli: Leone Mosé (27 agosto 2006, «un giorno fantastico, oggi è nato un altro juventino»), Oceano Noah (11 novembre 2007, il nome in onore del santo festeggiato il giorno delle nozze dei genitori) e Vita Talita (23 gennaio 2012). «Per me la famiglia è intesa come nucleo di affetti. Persone che sono unite dal piacere di restare insieme, non da vincoli o da obblighi. In una casa stai bene se puoi uscirne. Deve essere una libera scelta».
Religione Nel 2010, 25 anni dopo il nonno Gianni, ha ricevuto anche lui l’“Appeal of Conscience”, un premio per promuovere la tolleranza fondato dal Rabbino Arthur Schneier. Nella sua famiglia «la diversità religiosa domina. Suo padre è di religione ebraica. Sua madre da cattolica è diventata protestante ortodossa. Suo zio Edoardo ha avuto passioni prima per il buddismo e poi per l’Islam. Suo fratello Lapo si è avvicinato alla religione ebraica e suo zio Giorgio la pratica normalmente, ma è sposato con una cattolica. Anche perché, come disse suo nonno quando ottenne lo stesso premio “dove c’è pace e tolleranza, gli affari sono sempre più facili”» (Sole, 21/9/2010).
Regno «Indossa un intero guardaroba di cariche dirigenziali, vola da un consiglio di amministrazione all’altro, siede tra i grandi del gruppo Bilderberg, affida la Juventus al cugino Andrea, governa La Stampa, giornale di famiglia, accelera la fusione con Repubblica del gruppo De Benedetti, fa shopping di carta stampata, compra il settimanale Economist, entra in News Corp a fianco di Rupert Murdoch che pubblica il Wall Street Journal. Fa vita austera e sotto traccia, tra gli ectoplasmi del potere globale. Per svago si concede un po’ di neve a St. Moritz, un po’ di Caraibi, confidando, ai pochi amici, che gli piacerebbe mangiare, almeno una volta, in una pizzeria qualunque. In pubblico parla il meno possibile. Quando lo fa è per ringraziare. Una volta inciampa su un concetto un po’ troppo hegeliano: “I giovani non trovano lavoro perché stanno bene a casa”. I giovani (per lo più senza casa e senza lavoro) non la prendono bene. Lui abbozza e sorride ai fotografi. Marchionne lo innaffia e lo pettina tutte le mattine spiegandogli come è fatto il mondo e gli allarga il regno, sbaraglia i fatturati, quota in Borsa Ferrari, si inventa la Jeep e la Nuova 500, moltiplica per dieci il valore dell’intera baracca che ora si chiama FCA, ha la sede in Olanda, residenza fiscale a Londra, quotazione a New York, ed è diventata la settima fabbrica di automobili nel mondo. Sembra l’idillio. Con il lieto fine incorporato al 2019, Marchionne già destinato a salutare la vecchia avventura per quella nuova, sedendosi al volante di tutta quanta la Ferrari, e John che alla bella età di 43 anni, vincendo finalmente la vertigine, si sarebbe cimentato nel suo primo, avventuroso, passo avanti solitario. Invece niente. Il destino di famiglia si è voltato un’altra volta in nero. Il potere gli è cascato addosso all’improvviso. E davanti al bivio della sua prima decisione, scegliere tra Mike Manley, uomo di vendita targato Chrysler, e Alfredo Altavilla, uomo di prodotto, sceglie l’angloamericano. A perfezionare lo smaltimento di tutte le radici italiane, secondo un destino che già assomiglia a un progetto, e che nei prossimi anni farà scomparire sempre di più Torino, l’Italia, due piccoli mondi rispetto a quello grande, dove viaggiano auto elettriche e auto senza pilota che la Fca ancora deve mettere in cantiere. E dove da oggi vola John Jakob Philip Elkann, il padrone globale, che ha sempre fatto fatica a parlare italiano, e che forse si prepara a vendere tutto, addio, proibito piangere» (Corrias).
Curiosità È andato ad abitare a Villa Frescot, a Torino, la casa di famiglia sulla collina di Villar Perosa (l’abitazione preferita della nonna Marella) • Non è su Instagram • Parla correntemente italiano, inglese, francese e portoghese • Ai suoi figli fa studiare l’inglese e il mandarino • La moglie disegna e produce una linea di abbigliamento per bambini col marchio BLav • Appassionato di automobili, vela, sci, tennis e calcio • Passa spesso la domenica allo stadio • Consigliere del MoMA di New York • A uno studente che, nel 2014, gli chiese come mai, nella sua posizione, continuasse a lavorare, rispose: «Lavoro perché ho un grande desiderio di fare, di partecipare. Questa è la motivazione principale che mi permette anche di fare una vita interessante. Sicuramente è più interessante essere impegnato, fare delle cose piuttosto che vivere in vacanza tutto il tempo» • Nell’estate 2021, a Ponza, ha affittato uno yacht da 421 mila euro a settimana e si è tuffato in mare davanti ai fotografi provando a imitare la celebre immagine dell’Avvocato (Dagospia: «Il risultato è quello che è: costumino bianco gonfiabile, fisico da acciughina e colorito da turista tedesco»).
Titoli di coda «E lunedì scorso, a quarantatré anni, persa l’innocenza giovanile ma non il dono di una serietà e d’un puntiglio che spesso lo rendono indecifrabile (e talvolta, forse per malinteso, anche antipatico), ecco che l’ex ragazzo timido e insicuro, proprio lui che sembrava uscito da una tragedia di Thomas Mann sulla dissipazione borghese, consuma invece un ribaltamento simbolico che ha il sapore della nemesi e della rivincita: acquista dunque Repubblica e riprende così anche la Stampa da quei De Benedetti, torinesi come gli Agnelli, ai quali si era collegato nel 2016 come socio minoritario. Finisce dunque che il giornale dell’uomo che tentò di prendere la Fiat all’Avvocato, cioè l’Ingegnere Carlo De Benedetti, viene acquistato dall’erede dell’Avvocato. Nemesi, appunto. E che la presa di Repubblica sia adesso tutta un’operazione cinica di Elkann per ottenere copertura da un impopolare progetto di ridimensionamento delle fabbriche Fca in Italia, come sospetta il vecchio De Benedetti, forse in realtà poco importa: del resto una passione vera può nascere in mille modi, uno più falso dell’altro. Piuttosto, in tutta questa vicenda, sembra quasi essere messa in discussione quella legge biologica di regressione verso la media cui si era applicato negli ultimi anni della sua vita H. J. Eysenck, secondo cui genitori di intelligenza eccezionalmente alta tenderebbero ad avere figli o nipoti meno eccezionali. Sembrava la regola del capitalismo famigliare italiano, la storia dei Pirelli e degli Olivetti, dei Ferruzzi e dei Pesenti, persino dei De Benedetti, dunque anche degli Agnelli. E invece l’erede più sottovalutato di tutti è anche l’unico che non ha dissipato il lascito, anzi. Almeno finora» (Merlo, nel 2019, quando riuscì a comprare Repubblica).