La Stampa, 10 aprile 2022
Intervista a Claudio Cecchetto (che vuole fare il sindaco)
Quel che si è visto di Claudio Cecchetto in mezzo secolo di carriera, lui che col solito sorriso luminoso e ironicamente complice pronuncia parole ultra-comuni come «autostop», «nuotare», «starnuto» nel tormentone di Gioca Jouer composto da Claudio Simonetti, lo stesso compositore di Profondo rosso e Suspiria, è solo la punta dell’iceberg: il fondatore di Radio Dee Jay ha lanciato una serie di personaggi di successo da far impallidire, da Jovanotti a Max Pezzali, da Gerry Scotti a Sandy Marton, dando corpo all’umore sbarazzino che dilagava negli Anni 80.«Sono nato dj», dice lui. Eterno debitore prima delle radio libere in fulminea esplosione negli Anni 70, un fenomeno che lo vide fra gli artefici principali con Radio Milano International, sul finire di quel decennio ne determinò la trasformazione in radio privata commerciale e poi in network, cioè nel panorama attuale. Un’evoluzione che passa dall’esperienza di Radio Dee Jay. Oggi che sta per compiere settanta anni – il prossimo 19 aprile, con cerimonia nella chiesa che lo vide sposare trent’anni fa sua moglie Mapi – non smette di lavorare al centro della musica e produce i concerti di San Siro di Pezzali, poi spariglia tutto e si candida sindaco di Riccione dopo aver mancato di poco lo stesso risultato a Misano Adriatico, dove arrivò a poche lunghezze dal vincitore del Pd.È un periodo di guerra e stiamo (forse) uscendo da una pandemia, come la sta vivendo?«Provo una sensazione di disagio, come qualsiasi persona. Quanto alla pandemia e ai suoi effetti sul mondo della notte, spero che vengano aiutati economicamente gli imprenditori che hanno a cuore il loro lavoro, perché ormai sono rari e svolgono un servizio sociale. Riguardo alla riapertura delle discoteche, penso che potevamo già riaprirle sui mezzi pubblici. Se non è considerato pericoloso l’autobus strapieno, avremmo potuto ripartire anche prima».Vagamente provocatorio ma pertinente, considerato quanto ha sofferto il mondo delle discoteche e della musica italiana da che sono scattate le misure anti Covid. Ma la radio di oggi come sta, Cecchetto?«Come in tutte le cose, quando sei un pioniere non hai regole da seguire, ma sei lì per scriverle. Adesso basta, è un fenomeno fatto e completato, un po’ com’è successo con la musica: oggi escono due-tre successi all’anno, una volta ne uscivano dai venti ai quaranta».Viviamo un’epoca meno interessante rispetto a quei tempi?«No, tutto nasce dai giovani, perché da adulto hai altre priorità, come la famiglia. E i giovani non sanno che farsene della nostra radio e della nostra televisione, hanno i social, hanno Tik-Tok, hanno Twitch, che è stato comprato da Amazon e che è uno strumento del futuro».Da talent-scout con quali artisti è riuscito a instaurare un rapporto più forte, sia professionalmente che umanamente?«Il rapporto più forte si è creato con Max Pezzali e Jovanotti. Io ho trasferito loro qualche mia caratteristica e da quando li ho conosciuti sono un uomo diverso, migliore, perché mi hanno realmente arricchito, oltre a fare un prodotto, la loro musica, che valeva la pena».Jovanotti si è trasformato in qualcosa di molto diverso rispetto agli inizi, quando lo produceva lei, ai tempi di La mia moto, se l’aspettava un cambiamento del genere?«È lo stesso Jovanotti che si vede adesso. È come se individuassi un bambino di due anni e realizzassi che è un genio. La cosa forte è averlo riconosciuto a due anni, quando ho visto in lui quello che è adesso. Poi certo puoi migliorare, cambiare. Nel mio libro In diretta. Il talento è un dono, il successo un mestiere, parlo di Lorenzo come di un calciatore da allenare».Nelle esperienze delle prime radio libere dove ha cominciato a trasmettere cosa c’era di rivoluzionario?«Le radio non facevano che fare quel che faceva la radio nazionale, ma la rivoluzione è stata la musica: il primo slogan di Radio Milano International infatti è stato “Non stop music’”, quando alla radio nazionale sentivi chiacchiere su chiacchiere e poche canzoni al giorno. Invece i giovani volevano musica».Da talent-scout quale opinione ha di programmi tv che si fregiano del nome di talent?«È una via, uno strumento, ma se prendiamo artisti come Tiziano Ferro o Blanco, loro non sono usciti da un talent. È tutto relativo, quello è un format televisivo e un’occasione per i partecipanti. Di certo un talent-scout ti segue dall’inizio alla fine, mentre nei talent, quando finisce il programma, si spegne tutto e addio».Le è mai capitato che le sia sfuggito un personaggio di valore da lanciare? Qualcuno che poi ha fatto carriera grazie a qualcun altro?«Non mi è mai successo che un artista si rivelasse con qualcun altro, qualcuno che mi sia passato vicino senza che lo notassi».Le radio oggi hanno troppo potere nell’indirizzare gusti e consumi del pubblico?«Mica tanto. Le radio fanno compagnia, e fino a quando ci saranno le auto e il traffico continueranno ad andare bene. Forse non hanno l’effetto di una volta, quando lanciavano veramente gli artisti, mentre ora sono un distributore di pubblicità. Oggi poi ci sono Spotify, YouTube, non hai più l’esclusiva, ci sono anche altri strumenti per fortuna, ma la radio rimane uno strumento eterno che si è evoluto in emittenti web specializzate in generi, dal rock al country agli altri, e che diventa anche social».Lei vuole diventare sindaco di Riccione.«Un sindaco è come un dj che deve soddisfare la pista, il sindaco deve fare lo stesso con la cittadinanza».Come festeggerà il suo settantesimo compleanno?«In famiglia, a Riccione, dove ho conosciuto mia moglie trent’anni fa». —