La Stampa, 10 aprile 2022
Intervista a Zoya Svetova
«Il giornale riprenderà quando l’operazione speciale in Ucraina sarà terminata». Ma Zoya Svetova, giornalista della Novaja Gazeta, non ha paura di continuare il suo lavoro, come si può, in un paese dove vige una legge che può condannare fino a 15 anni di prigione chi pubblica un’informazione ritenuta «fake» dalle autorità. Zoya, 63 anni, figlia di noti dissidenti in Urss, è una sperimentata attivista dei diritti umani, operatrice volontaria nelle carceri, una delle sue inchieste sulla giustizia russa è stata pubblicata anche in Italia (Gli innocenti saranno colpevoli, editore Castelvecchi). Ci risponde al telefono dalla sua casa di Mosca, raccontando ciò che non si può dire attraverso le testimonianze di persone che in questi giorni hanno lasciato la Russia. La sua voce è limpida e ferma, come sempre. La sua è una testimonianza di vita, di passione e di mestiere.
Zoya, come sta lavorando in questi giorni?
«Sto facendo un podcast con la Georgia, dove vivono i miei figli, che sono giornalisti e che sono partiti dalla Russia all’inizio di marzo. La serie si intitola Cronache dell’esodo da Mosca. Sono le storie di tre persone che se ne sono andate all’inizio dell’operazione speciale in Ucraina».
Chi sono i protagonisti di queste storie?
«Il primo è un ragazzo di 16 anni, studente della classe numero 9. Si chiama Aleksandr, è un attivista politico, ha partecipato a molte manifestazioni e quando sono cominciate a girare le voci che sarebbe entrata in vigore la legge marziale, la famiglia l’ha convinto a lasciare Mosca. I suoi genitori sono due intellettuali, la mamma, poetessa, gli ha comprato un biglietto per Tbilisi e il 4 marzo è partito con i suoi due fratelli. Nel podcast racconta come ha fatto le valigie mettendoci le foto dei suoi amici, il viaggio e il suo progetto di diventare politologo».
La seconda storia?
«È quella di una giornalista famosa della rete tv indipendente Dozhd che è stata chiusa il 2 marzo. Si chiama Anna Mongayt ed era l’animatrice di una trasmissione politica molto popolare. Aveva paura di essere arrestata perché aveva parlato dell’operazione speciale e criticato il potere russo. Temeva molto la legge contro le fake: non si possono mostrare immagini con i cadaveri. Avete visto cos’è successo con i corpi ritrovati a Bucha, i russi dicono che non sono dei veri cadaveri ma sono dei fake. Lei ora si trova a Tbilisi, dove si sente sicura e fa la sua trasmissione in streaming, su Youtube, dice quello che vuole e si può vedere anche a Mosca».
La terza storia?
«Protagonista è un’attrice molto conosciuta che era stata arrestata con il figlio di 16 anni perché aveva deposto i fiori sul ponte di Mosca dove è stato ucciso il politico Boris Nemtzov nel giorno dell’anniversario. Le avevano detto che se avesse continuato con questo suo attivismo sarebbe stata messa su una lista nera e non avrebbe più potuto recitare. E allora anche lei ora si trova in Georgia».
Come ha scelto queste storie e perché a Tbilisi?
«Ho scelto personaggi diversi provenienti da ambienti differenti per mostrare che ci sono giovani, giornalisti, attori che compiono questo esodo. Secondo i dati ufficiali dall’inizio dell’operazione speciale 25-30 mila persone hanno attraversato la frontiera georgiana. Tbilisi per molti è la prima tappa».
E questi podcast dove vengono pubblicati? Si possono ascoltare anche a Mosca?
«Si possono pubblicare su Apple, non in Russia, ma in Russia si possono ascoltare. Io non ho problemi a farlo. Li pubblico io stessa. È il modo per continuare il mio mestiere anche se non ho più uno stipendio. Ci ho investito, pago il montatore con i miei soldi, lo faccio per il mio piacere».
È un mezzo diverso di fare informazione rispetto al giornale. Ma come si informano i russi?
«Ci sono quelli che si interessano e cercano l’informazione su internet. Si può guardare YouTube, ci sono gli streams della radio Eco di Mosca e della tv Dozhd che son chiuse, ma i giornalisti lavorano dalla Georgia, fanno 3-4 ore al giorno di informazione. Poi ci sono i canali social Telegram, il giornale Meduza che è di base a Riga, in Lettonia. Alla televisione russa c’è solo propaganda, io non la guardo mai. Chi vuole informarsi, può farlo. Io leggo la BBC e FrancePresse e poi attraverso la VPN si può accedere a Facebook dove si trovano molte informazioni».
Ma veramente come dicono gli ultimi sondaggi l’80 per cento dei russi approva la politica di Putin?
«Non sono in grado di dirlo perché non si può aver fiducia dei sondaggi fatti in uno stato piuttosto totalitario, dove si vive tra l’autocrazia e la dittatura. Quelle cifre non significano niente. Io parlo molto con i tassisti come fanno i giornalisti in tutto il mondo e ce ne sono che dicono che gli ucraini sono fascisti, altri che sono contrari all’operazione speciale».
Nei giorni scorsi il capo redattore della Novaja Gazeta, Dmitry Muratov, premio Nobel per la pace, è stato aggredito in treno da uno sconosciuto che gli ha buttato della vernice rossa addosso. Che cosa sa di questa aggressione?
«Stava andando a Samara dalla mamma. È stato attaccato da una persona che gli ha lanciato addosso dell’acetone che poteva fargli molto male agli occhi. Speriamo che la sua vista non sia compromessa. Quell’uomo l’ha insultato dandogli del traditore e urlandogli di lasciare la Russia. È stato arrestato uno, ma pare fossero in due. Pensiamo che Muratov fosse controllato dalla polizia o dai servizi segreti che sapevano su quale treno doveva salire».
In questi giorni ci sono manifestazioni di protesta a Mosca? Lei partecipa?
«Ci sono, ma con poche persone che arrivano che vengono subito arrestate e passano notti e notti negli uffici di polizia. Penso che siano degli eroi, ma non ci vado e non mi vergogno di dirlo perché io faccio il mio lavoro di giornalista e piuttosto mi vergogno del mio paese che fa l’operazione speciale, per i soldati russi che muoiono e per le vittime civili. Se anche andassi in piazza con 5 mila persone, non cambierebbe niente. E dunque io continuo a fare il mio lavoro». —