La Stampa, 10 aprile 2022
Il patto sul gas con l’Algeria vale un terzo del metano russo
Il viaggio di Mario Draghi alla ricerca del gas comincia domani, ad Algeri. È nella capitale del Paese nordafricano che il governo italiano reciderà in buona parte il cordone ombelicale che lo tiene legato al ricatto energetico di Vladimir Putin. Draghi incontrerà il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune per celebrare la firma di un accordo che porterà almeno 9 miliardi di metri cubi in più di gas dall’Algeria. In realtà, durante una conference call con gli analisti, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha ipotizzato 9-11 miliardi di metri cubi in più, sommando il gas algerino e quello, più marginale, proveniente dalla Libia. Un potenziamento che porterà al massimo della capacità, 30 miliardi di metri cubi dai 21 attuali, il gasdotto Transmed che attraversa il Mediterraneo e sbuca sulle coste di Mazara del Vallo, in Sicilia.
Il piano di Eni e Sonatrach
Nelle prossime settimane, il viaggio di Draghi in Africa continuerà con altre tappe in Congo (già dopo Pasqua), Mozambico e Angola, che assieme a Nigeria, Qatar, Egitto, Indonesia e Azerbaijan, sono parte del grande piano di diversificazione dei fornitori con cui l’Italia intende liberarsi dalla dipendenza del gas russo. Il patto algerino è forse il più importante. Innanzitutto, per la quantità, perché la fornitura ulteriore che arriverà rappresenta quasi un terzo di tutto il metano di Mosca, 29 miliardi di metri cubi; ma anche perché sarà disponibile a breve, già per il prossimo inverno, secondo quanto trapela dall’Eni.
Dietro l’intesa politica che sarà onorata dalla delegazione composta dai ministri degli Esteri e della Transizione energetica Luigi Di Maio e Roberto Cingolani, i veri protagonisti dell’accordo saranno il colosso energetico italiano guidato da Descalzi e l’azienda di Stato algerina, la Sonatrach. Da poco meno di 60 milioni di metri cubi attualmente trasportati quotidianamente si potrebbe arrivare a più di 110 milioni. Ma la stretta di mano tra Draghi e Tebboune sancirà anche un piano di investimenti comuni su progetti di energie rinnovabili.
La guerra è una parentesi nell’accelerazione dell’Occidente sulla svolta green. E tale deve restare, secondo Draghi. Il gas, il petrolio e, come ultimissima risorsa, il carbone, tornano a fare da padroni delle pianificazioni energetiche dell’Europa per minimizzare i contraccolpi della guerra sull’economia e per piegare le ambizioni belliche di Putin.
Quello che sembrava impensabile fino a un mese fa è diventato un orizzonte credibile di sopravvivenza. In attesa di definire commercialmente gli accordi con Egitto, Mozambico e Qatar, entro fine aprile Draghi sarà in Congo per il contratto che garantirà altri 5 miliardi di metri cubi di gas all’Italia. Un altro pezzo che serve a erodere la montagna degli approvvigionamenti di Mosca. Certo, non sfugge a nessuno all’interno del governo la delicata situazione politica dell’Algeria. Le minacce di instabilità, il pericolo del terrorismo sui giacimenti, le fratture diplomatiche con la Spagna a causa della disputa sul Sahara Occidentale con il Marocco, rendono chiaro che l’Italia si sta affidando all’umoralità politica e a forniture che potrebbero rivelarsi precarie.
La spinta del Tap
Per questo «sarà fondamentale – ha spiegato Draghi – la diversificazione». È di ieri la notizia di un altro miliardo e mezzo di metri cubi che arriverà dall’Azerbaijan tramite il Tap, e che porterà il totale della fornitura in Italia a 10,5 miliardi. La grande scommessa del governo però è anche il gas liquido. I tre rigassificatori presenti in Italia non sono sufficienti e ieri Cingolani, parlando da Bari a SkyTg24, ha annunciato che a breve Snam chiuderà un contratto per rendere operativa «nel primo semestre del 2023» la prima nave per rigassificare. «Si può ormeggiare – ha aggiunto il ministro – in mare dove c’è un tubo del gas, e ce ne sono diversi in Italia, potrebbe essere Taranto, Piombino, l’alto Adriatico, Brindisi. Non mancano i punti di innesco». Il tempo è poco e la strategia è di emergenza: «In questo momento di fretta si compra e si affitta una nave per 300-400 milioni che fa 5 miliardi di metri cubi all’anno di gas e sappiamo che quando la transizione sarà andata avanti questa nave si potrà mandar via». Ma l’Italia è un Paese di forti resistenze locali, indifferenti anche alle conseguenze di una guerra nel cuore dell’Europa. Cingolani ha già le prime proteste politiche con cui doversi confrontare. È bastato che citasse i nomi di alcune delle città candidate a ospitare il rigassificatore per scatenare l’opposizione di una di loro. Il sindaco di Piombino, Francesco Ferrari, centrodestra, minaccia il no se prima non ci saranno garanzie sul porto, sulle acciaierie e sulle bonifiche. È sostenuto dalla Lega e chiede al governo «un atto scritto chiaro e incontrovertibile». —