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 2022  aprile 10 Domenica calendario

Intervista a Cristina Cassar Scalia


Cristina Cassar Scalia scrive di notte e tira tardi. Negli ultimi due anni, quelli della grande paura tra pandemia e guerra, si è aggrappata alle parole. Prima dell’estate sarà pubblicata per Einaudi una nuova avventura, la settima, della vicequestora Vanina Guarrasi, a distanza di soli sei mesi da Il talento del cappellano : «Non è stato facile: l’angoscia mi ha bloccata più volte». Ma in un mondo brutale, a sentire la scrittrice, siciliana di Noto, medico oftalmologo, i polizieschi possono essere anche una forma di consolazione: «Il cattivo prima o poi viene preso». Cassar Scalia, che con la saga di Vanina è stata in cima alle classifiche, ragiona sul noir dopo l’intervista di Repubblica a Loriano Macchiavelli che a Giancarlo De Cataldo ha detto che il genere vende ma si è snaturato perché «non attacca più il potere, non preoccupa più nessuno ».Cassar Scalia è così?«La prima cosa che mi viene da pensare è che a essere cambiato, e molto in fretta, è quello che ruota intorno al noir. Attaccare il potere, scardinare le regole: sì, ma quali? Il mondo non è più lo stesso: oggi quello che accade nella realtà è molto più nero di quello che scriviamo nei libri.Senza contare che tutti hanno facilità di accesso alle notizie: basta aprire un quotidiano, collegarsi a un sito o accendere la tv».E quindi che cosa resta? Solo intrattenimento?«Quello prevalentemente, ma non solo. Io credo che oggi i gialli possano essere uno specchio che riflette per mostrare le storture, che possano servire a tirare fuori le contraddizioni del reale attraverso la costruzione di personaggi che siano anche scomodi. Il fatto che i libri raccontino la società in cui viviamo rende il genere più alla portata di tutti. Quello che provo a fare è guardare la realtà attraverso gli occhi di una poliziotta cercando di essere credibile. Parlo tantissimo con le forze dell’ordine prima di scrivere».Macchiavelli invece rivendica la figura del sergente, che non esiste più, perché rifiuta l’idea di attenersi alle procedure.«Che invece per me sono importanti. Ma è questo il bello: il noir non è un monoblocco. Vanina non è una Sherlock Holmes in gonnella, non è un’investigatrice fuori dalle righe: si muove come si muoverebbe nella realtà.Paradossalmente, nel suo essere una funzionaria di polizia, è a suo modo una figura rivoluzionaria rispetto al giallo tradizionale. Ai tempi di Miss Marple non ci sarebbe potuta essere una vicequestora».Noir e giallo: c’è differenza?«Non sostanziale, direi che sono sfumature. Forse il giallo è più rassicurante mentre il noir nasce nelle tenebre e nelle tenebre rimane. Ma più che altro credo che le differenze siano nel modo in cui ciascuno racconta le storie. Ci sono molte possibilità per sovvertire l’ordine».Vanina quale sceglie?«Partiamo dal suo profilo. È una donna giovane, 39 anni, che non ha dovuto sgomitare per farsi una posizione: è lei che rifiuta di avanzare nella carriera, le basterebbe tornare nell’Antimafia per avere una promozione ma non lo fa perché non vuole riaprire una ferita. Ho scelto di rappresentarla affermata già nel primo libro, Sabbie nere. La mia decisione di non fare alcun accenno alla sua gavetta è deliberata: ho raccontato le cose come dovrebbero essere.Ho scelto di non farle vivere le difficoltà che avrebbe probabilmente incontrato nel mondo vero. Di donne con ruoli apicali in polizia ce ne sono tante, ma non ancora abbastanza. E nel 2016, quando l’ho immaginata per la prima volta, erano ancora di meno».Che rapporto ha Vanina col potere?«Controverso. E questo è un altro elemento che la rende un personaggio a suo modo scomodo. Non sempre stima gli esponenti del mondo della giustizia con i quali ha a che fare: c’è un pm che non tollera, Vassalli, perché per lei gli intoccabili non esistono».A che altro serve oggi il noir?«I miei polizieschi provano a preservare la memoria: oltre che per denunciare, uso Vanina per ricordare. Trent’anni fa, quando ci furono le stragi di Capaci e via D’Amelio, avevo 15 anni: per questo la protagonista è figlia di una vittima di mafia. È importante che chi non ha vissuto quella stagione sappia cosa è accaduto».Perché si scrivono tanti polizieschi?«Perché piacciono. E non solo a chi li legge ma anche a chi li inventa».Come mai piacciono tanto?«Le persone sono in cerca di evasione. Credo che c’entrino pure gli anni bui che stiamo vivendo. Forse oggi il poliziesco può essere una forma di consolazione, di riscatto. Le storie affondano nel peggio della società però poi c’è la soddisfazione di vedere il male smascherato, spesso comprendendone le motivazioni. E questo non sempre avviene nella vita vera».Lei che lettrice di gialli è? «Simenon, Fruttero e Lucentini, Conan Doyle, Agatha Christie, Giorgio Scerbanenco, ma anche Andrea Camilleri e tanti colleghi di oggi. L’immaginario di un autore si costruisce a partire dal suo background: io scrivo le cose che mi piacerebbe leggere».Lei però al noir ci è arrivata: i suoi primi due romanzi non erano polizieschi.«Sì, è vero. Avrei sempre voluto cimentarmi ma pensavo di non essere in grado di scriverli».Poi che cos’è successo?«Ero in una antica villa, mi sono trovata davanti a un vecchio montacarichi e ho immaginato un cadavere mummificato. Il resto è venuto da sé».Nella tarda primavera uscirà il nuovo libro, a distanza di soli sei mesi dal precedente: urgenza di scrivere una nuova storia?«Forse anche bisogno di fuga: io sono un medico, ho vissuto la pandemia malissimo, con la consapevolezza di quello che stava accadendo. Sono felice che il romanzo sia ambientato agli inizi del 2017, in un mondo pre-Covid: non me ne voglio occupare. Ma a differenza di quello che può sembrare, scrivere non è stato facile».Perché?«Nel 2020, all’inizio del lockdown, ho vissuto un disagio fortissimo che mi ha impedito di concentrarmi per settimane. La stessa cosa mi è accaduta a febbraio, quando è scoppiata la guerra. Poi ho trovato rifugio nel mondo di Vanina».