Corriere della Sera, 10 aprile 2022
Intervista a Dario Franceschini - su "Con la cultura non si mangia?" (La nave di Teseo)
Dario Franceschini, ministro della Cultura, esce lunedì 11 aprile il suo libro Con la cultura non si mangia? (La nave di Teseo). Perché usare proprio un’espressione così famosa, smentita più volte dall’ex ministro Giulio Tremonti?
«Quella frase, pronunciata o meno che sia stata, è diventata il simbolo di una lunga stagione di tagli alla cultura: in troppi pensavano non fosse una risorsa. Quando andai la prima volta a giurare al Quirinale come ministro dissi invece che mi avevano affidato il dicastero economico più importante. Chi viveva nella cultura lo sapeva, ma occorreva convincere i decisori politici...».
Ci è riuscito?
«I governi e le stagioni politiche cambiano. Ma sarà impossibile tornare indietro. Dal 2013 il sostegno economico al settore è continuamente cresciuto. E la pandemia, con la chiusura di cinema, musei, teatri, sale da musica, ha mostrato quanto la cultura sia insieme un valore economico e di coesione sociale».
Gli Uffizi, con un milione e 700 mila visitatori, sono stati il museo più visitato nel 2021. Molti i giovani: dovremo arrenderci all’idea che una influencer come Chiara Ferragni possa cambiare le classifiche dei musei italiani?
«Ora a Firenze le Gallerie degli Uffizi includono Palazzo Pitti, Boboli, il Corridoio Vasariano. Poi una influencer come Chiara Ferragni va ringraziata per il messaggio che ha mandato. L’innovazione conta su molti veicoli della comunicazione. E spiega come il pubblico dei più giovani cerchi nei musei un’esperienza immersiva: luoghi accoglienti, tecnologie, spazi per leggere, per mangiare, laboratori per bambini. Così è nei Paesi più avanzati e così sta diventando in Italia».
Invece a Roma il Colosseo deve fare i conti con i saltafila clandestini e con la grande sporcizia sul piazzale...
«C’è un incrocio di competenze non del Parco Archeologico: ordine pubblico, raccolta rifiuti. In più c’è il cantiere della Metropolitana. È ripartito il confronto con la nuova giunta capitolina di Roberto Gualtieri, c’è un tavolo presieduto ora da Walter Tocci. Il Colosseo non può più essere, anche se ora solo per metà, uno spartitraffico. Occorre pedonalizzare e riqualificare l’intera area, ripensarla nel contesto del grande Progetto Fori».
Lei loda il lavoro dei direttori di museo esterni, stranieri e italiani. C’è chi dice però che la loro estraneità alla macchina ministeriale sia un problema per il funzionamento dei musei, non un vantaggio.
«Vecchia polemica figlia di un provincialismo tutto nostrano. I direttori “esterni”, stranieri e italiani, scelti con concorsi internazionali, hanno compiuto e compiono un lavoro eccellente. Sono stati chiamati non a dirigere musei consolidati ma ad affrontare una sfida: autonomia gestionale, di bilancio e di scelte scientifiche, creare bookshop, caffetterie. I risultati sono ottimi».
Nel libro riappare un Matteo Renzi che, da sindaco di Firenze, definisce il Soprintendente «una delle parole più brutte del vocabolario della burocrazia». Lei sostiene che quella parola è «bellissima». Perché?
«Basta vedere che cos’è accaduto ai paesaggi, alle coste, ai centri storici, ai patrimoni culturali di tanti Paesi privi di una figura analoga al Soprintendente e senza il nostro sistema di vincoli. Certo, si polemizza quando un’impresa, un privato, un comune vedono bloccare un progetto da una Soprintendenza. Ma in ballo c’è una doverosa verifica di tutela. Può anche capitare che un singolo Soprintendente operi male, come un medico o un giudice. Ma non per questo si chiudono ospedali o tribunali».
La transizione ecologica, e ora l’urgenza di ricorrere a fonti di energie alternative al gas russo, spingono verso pale eoliche e pannelli solari. Come conciliare questo bisogno con la tutela di tanti paesaggi?
«L’approccio più sciocco è contrapporre due esigenze che si possono e devono contemperare. Abbiamo adottato norme per la semplificazione in molte procedure. L’emergenza ci obbliga a rivedere temporaneamente tante scelte, come sul carbone. In più ricordo che quelle strutture sono rimovibili. L’equilibrio si può trovare: la tutela del paesaggio non è solo un dovere costituzionale ma anche un vantaggio economico legato al turismo. Se poi le norme non vanno bene, c’è il Parlamento che può cambiarle».
Si tornerà nelle sale cinematografiche o si vedranno solo film in streaming a casa?
«L’incrocio tra la paura dei luoghi affollati con la pandemia e l’esplosione delle piattaforme ha modificato un mondo. L’esperienza collettiva in una sala resta insostituibile e l’offerta va rinnovata. Le sale devono cambiare offrendo anche spazi per usare un computer, per leggere, per mangiare e bere insieme, modificando anche orari. Chi ha già compiuto questa scelta sta superando la crisi».
Il teatro, come dice lei nel libro, va meglio...
«Perché l’esperienza è irripetibile altrove. Poi il pubblico è affezionato, come avviene con i lettori forti. Il ritorno a teatro dimostra che la paura dei luoghi chiusi si può vincere, magari grazie a una mascherina».
Lei spezza una lancia a favore dell’inserimento dell’architettura contemporanea anche nei tessuti dei centri storici. Perché?
«Le nostre città, i nostri palazzi, le nostre chiese sono il frutto di una continua stratificazione urbanistica, dall’impero romano al Rinascimento, al Barocco fino al secondo dopoguerra quando tutto si è fermato in nome della tutela. Ma ci sono molti vuoti urbani da colmare anche nei centri storici. E con intelligenza, con la qualità dei grandi progettisti, si può intervenire: la storia urbanistica italiana può e deve proseguire. Per esempio, l’intervento di restauro dello Studio Chipperfield alle Procuratie Vecchie di Venezia appena inaugurate è semplicemente straordinario».
E come si colma il divario di lettura tra il Nord e il Sud?
«Scuola, scuola, scuola. E poi con testimonial che spingano in tv e sui social a leggere, a vivere un’esperienza di lentezza in un mondo troppo veloce».
Il libro finisce così: «Davanti a noi si apre un tempo nuovo, in cui ridefinire gli stili di vita, le priorità, le strategie. Il superamento delle tragedie non suscita automaticamente un cambio di paradigma». Dipenderà da noi, lei conclude.
«La pandemia ha fatto scoprire la lentezza, la solitudine, l’isolamento e anche la lettura. Mi aspetto una crescita di consumi culturali, però rinnovati e più consapevoli: meno frenesia, meno corse affannose. Più tempo per capire e per riflettere».