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 2022  aprile 10 Domenica calendario

LA GERMANIA FA MEA CULPA: SENZA IL GAS RUSSO IL FUTURO E’ DA REINVENTARE. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA STEINMEIER, L'UOMO CHE INSIEME AD ANGELA MERKEL HA INCARNATO LA POLITICA DEL DIALOGO CON PUTIN, AMMETTE DI “ESSERSI SBAGLIATO” SUL LEADER DEL CREMLINO, DEFINENDO ”UN ERRORE” IL SUO APPOGGIO AL GASDOTTO NORD STREAM 2, BLOCCATO DA BERLINO SOLO DOPO L'INIZIO DELL'AGGRESSIONE... -

Il 4 aprile scorso, il ministro dell'Economia e vicecancelliere, Robert Habeck, ha annunciato la temporanea nazionalizzazione di Gazprom Germania, filiale tedesca dell'omonimo gigante energetico russo che ha fin qui stoccato e distribuito il gas sul territorio federale. Fino al 30 settembre, la gestione dell'impresa passa alla Bundesnetzagentur, l'Agenzia federale delle reti controllata dal governo. Motivata da ragioni di sicurezza nazionale e approvvigionamento, la decisione rompe un tabù economico, mettendo per la prima volta un'azienda privata straniera sotto la tutela dello Stato.

In nessun altro Paese d'Europa la tragedia dell'Ucraina sta provocando conseguenze sistemiche come in Germania. Con le parole del cancelliere Olaf Scholz, la Repubblica federale è davanti a una «svolta epocale» che la costringe a rivedere radicalmente la sua politica estera, l'idea della sicurezza in Europa e il proprio ruolo nel mondo: si è rotta la relazione speciale di Berlino con Mosca e si è rivelato un miraggio il Wandel durch Handeln , l'idea illusoria (e autoassolutoria) che attraverso il commercio e la liberalizzazione degli scambi si potesse innescare il cambiamento in un regime autoritario.

Ma, come conferma la decisione di Habeck, la guerra di aggressione di Vladimir Putin tocca anche la Repubblica federale nel suo tallone di Achille, l'energia, mostrando la miopia di rendersi quasi totalmente dipendente dall'importazione di fossili dalla Russia. Non solo. In realtà il conflitto colpisce al cuore il modello di governance economica, quello che dalla fine degli Anni Novanta ha scandito e scandisce il successo del sistema-Germania, che come nessun altro ha profittato della globalizzazione: l'importazione a prezzi ragionevoli di materie prime, energia e componenti, che vengono trasformati in prodotti di alto contenuto tecnologico e valore aggiunto, vedi le auto o la chimica, per essere poi esportati in tutto il mondo, in primo luogo verso la Cina, realizzando colossali surplus commerciali.

Dal 24 febbraio, i presupposti economici, intellettuali e morali di questo modello sono crollati. Il mea culpa tedesco è già iniziato. Politici e imprenditori, esperti e funzionari pubblici riconoscono gli errori. Il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier, l'uomo che insieme ad Angela Merkel ha incarnato la politica del dialogo con Putin, parla di «bilancio amaro» e ammette di «essersi sbagliato» sul leader del Cremlino, definendo «un errore» il suo appoggio al gasdotto Nord Stream 2, bloccato da Berlino solo dopo l'inizio dell'aggressione russa. «Avevo sperato - dice l'ex capo di Siemens, Joe Kaeser - che gli scambi economici avrebbero contribuito e far progredire lo sviluppo industriale e democratico della Russia. In realtà questa linea ha fallito».

Ora la Germania è ai piedi del muro. È sotto la pressione di partner europei, americani e Ucraina, per accettare l'embargo sulle importazioni di gas e petrolio dalla Russia. Ma non può privarsene d'un colpo, pena una recessione che avrebbe conseguenze disastrose non solo sui tedeschi ma anche sulle altre economie europee. L'industria in Germania consuma da sola un terzo del gas russo, che serve sia da combustibile, come nella metallurgia e nel settore del vetro, sia come materia prima nella produzione di fertilizzanti. Eppure, il conto alla rovescia è iniziato; non è più una questione di «se» ma di «quando» Berlino dirà sì al blocco degli acquisti di gas e petrolio russi. Ma questa è solo l'attualità.

Nel lungo periodo, di fronte a quella che si prefigura come una vera e propria svolta nell'economia globale, la Germania «dovrà attrezzarsi per un futuro diverso». È quanto sostengono 30 esperti in un position-paper elaborato per il Forum economico, centro di ricerche legato alla Spd. Secondo i due saggi Veronika Grimm e Achim Truger, che hanno partecipato allo studio, «il cambiamento non riguarda solo il tema delle forniture energetiche, che ora è al centro dell'attenzione, ma anche le ripercussioni che avrà sull'intera economia, le catene del valore, le filiere e globalmente sulla capacità di rimanere competitivi».

Gli economisti raccomandano in primo luogo una «fine della dipendenza energetica da Mosca la più rapida possibile», ma anche la creazione di uno «scudo difensivo per l'economia e l'industria» che alleggerisca il peso dei costi energetici per le imprese, senza escludere la possibilità di partecipazioni statali. Inoltre, chiedono che sia immediatamente ammessa la «defiscalizzazione al 100% di ogni investimento sostenuto dagli imprenditori privati per l'efficienza energetica, la digitalizzazione e la decarbonizzazione».