Corriere della Sera, 10 aprile 2022
La Cina accelera sui missili nucleari
Una serie di foto satellitari centrate su un’area desertica di mille chilometri quadrati nella provincia cinese del Gansu rilanciano gli interrogativi sui piani missilistici di Pechino. Le immagini mostrano l’apparente completamento dei lavori per un centinaio di silos utilizzabili per celare missili a testata nucleare. Le opere di scavo erano già state rilevate nel giugno 2021, ma erano allo stadio iniziale, ancora coperte; ora sarebbero quasi ultimate, appaiono allo scoperto, segnalando una possibile accelerazione nell’espansione dell’arsenale nucleare cinese.
L’informazione è oggetto di un lungo servizio del Wall Street Journal, le cui fonti sono «persone a conoscenza del pensiero della leadership di Pechino» (formula che non indicherebbe funzionari dell’Amministrazione Biden).
I silos sarebbero 119, nella zona di Yumen, duemila chilometri a ovest di Pechino. Al momento, la Cina possiede un arsenale nucleare relativamente modesto, valutato in 350 testate e un centinaio di missili intercontinentali basati a terra, rispetto alle circa 3.750 testate degli Stati Uniti, di cui 1.373 su vettori a lungo raggio. Quando nel giugno del 2021 il primo rapporto arrivò sulle pagine del Washington Post, esperti indipendenti avevano avvertito che si sarebbe potuto trattare anche di un depistaggio strategico. Alcuni o molti dei silos potrebbero essere dei «diversivi», vale a dire «contenitori vuoti» per simulare la presenza sotterranea di missili inesistenti (o al momento inesistenti). A fine luglio del 2021, una nuova rivelazione fu passata al New York Times: altri lavori di scavo erano stati rilevati nello Xinjiang, vicino alla località di Hami. Quell’installazione, ancora allo stato di scavo iniziale, potrebbe raccogliere circa 110 nuovi silos dispersi in un’area di 800 chilometri quadrati. Il mosaico dell’apparato missilistico di Pechino diventerebbe ancora più complesso.
La scorsa estate le mosse cinesi alimentavano il clima da Guerra fredda con gli Stati Uniti. Ora entrano in un quadro strategico nuovo, del tutto destabilizzato. Lo sforzo cinese di ammodernare e accrescere l’arsenale missilistico risale a ben prima della crisi in Ucraina. Ma le fonti del Wsj sostengono che l’accelerazione dei lavori per i silos potrebbe essere frutto di una riflessione degli strateghi cinesi sulla situazione in Europa. Gli Stati Uniti si sono tenuti fuori dalla guerra sul campo, proprio per evitare il rischio di un’escalation nucleare con la Russia. E guardando a una possibile futura resa dei conti per Taiwan, la Repubblica popolare avrebbe pensato che un arsenale missilistico più nutrito scoraggerebbe gli americani dall’impegnarsi nella difesa diretta dell’isola.
Finora, Pechino ha sempre lasciato intendere di essere impegnata a non usare mai l’arma atomica per prima e si è accontentata di un arsenale ridotto, capace di servire da deterrente. Da tempo però è partito lo sviluppo di nuovi ordigni per colmare la distanza tecnologica e distruttiva dagli Stati Uniti (la scorsa estate il Pentagono si disse sorpreso e scioccato dal test di un missile ipersonico cinese). I nuovi silos sarebbero abbastanza larghi per celare i DF-41, missili a lungo raggio entrati in servizio nel 2020 e capaci di raggiungere il territorio americano. I politici Usa ricordano che la Cina resta un avversario di lungo periodo e forse questo stillicidio di rivelazioni alla stampa fa parte del grande gioco. Pechino nega la corsa alle armi, accusa gli americani di «mentalità da Guerra fredda».
In questo clima cresce il rischio di un errore di valutazione. A marzo un missile indiano è piombato «per malfunzionamento» in territorio pachistano.