Corriere della Sera, 10 aprile 2022
Mani legate, stupri: Makariv come Bucha
Repressione, torture, violenze sessuali e assassinii in serie contro i civili ucraini sono diventati via via sempre più diffusi e gravi man mano che crescevano tra le truppe russe la paura e l’incapacità di reagire alla risposta militare nemica, assieme alla consapevolezza che la popolazione locale non li accoglieva con i fiori, bensì li considerava invasori. Un esercito impreparato alla missione che gli era stata affidata, che si sbanda nell’indisciplina più crudele ai danni di inermi di fronte alle difficoltà e infine si ritira lasciando alle sue spalle orrori e morte. È questo il quadro che esce anche dalla cittadina di Makariv, un altro dei centri urbani occupati poco dopo l’invasione russa nella regione di Kiev dal 24 febbraio e abbandonati ai primi di aprile, dove oggi la gente può finalmente raccontare.
Almeno 132 civili
«Nelle ultime 24 ore abbiamo trovato i corpi di almeno 132 civili, tra questi ci sono due donne stuprate e poi uccise. Molti uomini avevano le mani legate dietro la schiena e segni di torture. La maggioranza era gettata in fosse comuni, ma ci sono anche sepolture isolate, che sono le più difficili da individuare», ha detto l’altra notte il sindaco, Vadym Tokar. Ieri mattina i giornalisti locali hanno visto diverse auto sulla strada che conduce a Makariv che erano ferme con le portiere spalancate, fori di proiettili in entrata sulle carrozzerie, finestrini infranti e larghe macchie di sangue rappreso sui sedili. Tutto lascia credere che i russi abbiano sparato a bruciapelo contro chiunque cercasse di fuggire: famiglie intere sterminate in pochi secondi. Si stanno cercando i corpi tra le macchie d’alberi e gli acquitrini delle periferie. Stas Kosliuk, un reporter di Kiev, si è spinto più a occidente verso Zhytomyr e ha trovato piccoli villaggi totalmente abbandonati, ma con evidenti tracce di massacri. Qui nelle auto bruciate sono stati rinvenuti resti umani. Nella foresta che circonda il villaggio di Ozera, il reporter si è imbattuto nel cadavere riverso al suolo di un uomo cui erano state legate le mani con nastro adesivo bianco e accanto a lui le sue cose: borsa da lavoro, occhiali, la fodera della carta d’identità.
I responsabili
Makariv, come Bucha (qui la conta dei morti è passata in 24 ore da 320 a 360), Irpin, Hostomel, Borodyanka e l’altra trentina di nuclei urbani devastati attorno a Kiev. Ancora secondo il sindaco Tokar, suoi circa 15.000 abitanti di Makariv prima della guerra, ne erano rimasti un migliaio al momento dell’arrivo dei russi. E sono i sopravvissuti tra loro che danno le testimonianze più gravi. C’è chi parla di «attacchi con le bombe a mano tirate direttamente contro le cantine e i ricoveri pieni di gente, oltre a mitragliate a bruciapelo senza alcun motivo». Non mancano versioni contraddittorie, o comunque ancora da capire. Secondo alcuni testimoni furono le reclute russe più giovani a «perdere il controllo a causa del panico per una guerra cui non erano preparati»: crudeltà e indisciplina di un esercito in rotta. D’altro canto, è possibile raccogliere testimonianze diverse, secondo le quali in alcuni casi sarebbero stati gli stessi soldati di leva a mettere in guardia la popolazione contro la presenza di unità della polizia politica a caccia di nazionalisti ucraini e inclini a utilizzare le maniere forti, oltre a uomini delle udmurt e buryat, come qui chiamano le brigate provenienti dalle province della Russia asiatica. Sono unità brutali che si erano già tristemente distinte nelle battaglie del 2014-15, non ultima quella per la cittadina di Debaltsevo nel Donbass.
Kiev replica accusando. Il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, spiega che si sta organizzando un archivio online per documentare i crimini di guerra russi. Alla lista degli abusi si aggiunge anche quello, denunciato dalla commissaria per i diritti umani Lyudmyla Denisova, di torturare e uccidere giornalisti, fotografi e registi venuti a raccontare il conflitto. Il presidente Volodymyr Zelensky condanna con forza, afferma di non avere più lacrime per piangere i suoi concittadini morti, ma alla conferenza stampa con il cancelliere austriaco Karl Nehammer, anche lui in visita a Kiev, si dice «sempre pronto a cercare vie diplomatiche per fermare questo conflitto».