Il Messaggero, 9 aprile 2022
Intervista a Andrea Marcolongo
«Mi ostino a correre perché è il modo più concreto ed efficace per sentirmi viva». Per il sommo Dante, la corsa era una punizione infernale nel girone degli ignavi, invece oggi, il running è una disciplina sempre più amata rifiorita durante il confinamento e il lockdown – ribadendo il concetto di un piacere solitario, sfidando i nostri limiti, provando a raggiungere il kairós. O in altre parole, «scegliendo di abbandonarsi a vivere, lasciarsi semplicemente, totalmente esistere».
Firmato Andrea Marcolongo, la scrittrice classe ’87 – che torna in libreria con il suo De arte gymnastica. Da Maratona ad Atene con le ali ai piedi (Laterza, pp.216 16). Tradotta in 28 paesi, oggi vive a Parigi e dopo il successo internazionale raggiunto con La lingua geniale seguito da La misura eroica e Alla fonte delle parole l’autrice ispirata dal primo manuale di sport della storia, scritto dal filosofo Filostrato, per raccontare il suo innamoramento con la corsa, riflettendo sul corpo e sul femminismo, sino all’impresa, correndo i 41,8 km che separano Maratona da Atene, gli stessi percorsi duemilacinquecento anni fa dal celebre soldato Filippide, nel 490 a.C.
Andrea, come è sbocciata la sua passione per la corsa?
«All’improvviso ma se osserviamo il variegato popolo dei runner che colora le vie delle città, ci rendiamo conto che, spesso, hanno trent’anni e più. Credo che si inizi a correre quando la giovinezza fugge via e a quel punto, anziché fermarsi a piangere, è meglio allacciarsi le scarpe e iniziare a correre sui marciapiedi».
C’è un legame fra la corsa e la scrittura?
«Certamente, ne hanno parlato Jean Echenoz e Haruki Murakami. Personalmente, quando ho iniziato a correre, tornavo a casa e mi mettevo a scrivere, avevo voglia di capire dove fosse nato questo bisogno, cosa mi spinga a infliggere al mio corpo una decina di chilometri al giorno di buon passo. Dante lo dice con grazia, scrivere è una condanna perché il pensiero corre sempre più veloce della penna e inoltre, scrivere come correre, è un atto di resistenza, sprintare non serve a nulla mentre si scrive una storia».
Cosa c’è di sorprendente nelle parole di Filostrato?
«È l’autore del primo manuale di sport mai esistito. Era un filosofo dell’antica Grecia e scrisse un vero e proprio trattato, abbinando sofia e scienza. Non avevo mai pensato che anche Platone potesse avere degli addominali scolpiti, eppure, lo dice chiaramente nella Repubblica che muoversi è importante per pensare bene».
Scrive «la corsa è stata la mia palestra di femminismo, e il mio campo di battaglia». Cosa intende?
«Usare il mio corpo, farlo sudare e lavorare, mi ha reso consapevole, spingendomi a pormi domande essenziali che ignoravo. Ai tempi di Sparta, le donne erano obbligate a correre nude come gli uomini e le più belle venivano scelte, come fossero un trofeo. Ancora oggi, il corpo femminile è esposto allo sguardo altrui. Si corre da soli ma sotto gli occhi di tutti e basta vedere gli short in vendita o l’abbondanza di colori shocking, per capire quanto sia erotizzato e messo in mostra il nostro corpo».
Dunque, rinuncia alla corsa?
«Nient’affatto. Ancora oggi c’è chi vergognosamente fischia per strada mentre passano le donne ma io voglio essere libera di correre e rivendico il rapporto con il mio corpo».
Tutto il libro è un percorso di avvicinamento alla celebre Maratona. Com’è andata?
«Giungere nello stadio Panatenaico di Atene è stato qualcosa di unico, indimenticabile. Ma credo abbia ragione André Agassi, nessuna vittoria è cosi piacevole quant’e dolorosa una sconfitta. E cio che provi dopo aver vinto non dura altrettanto a lungo».
La corsa l’ha aiutata a sconfiggere l’ansia del tempo che corre?
«Siamo sempre dietro il tempo e per tutta la vita cerchiamo di afferrarlo, una lotta colta dallo scultore Lisippo, che ammonì l’uomo creando una scultura, chiamata Kairós. Mi sono resa conto che solo mentre corriamo stiamo davvero vivendo il momento e il tempo assume, magicamente, un’altra densità».
Andrea, ma perché ogni mattina si allaccia le scarpe e va a correre sul lungo Senna?
«Non ho ancora una risposta. Forse, è una conseguenza dell’individualismo, protagonista assoluto del nostro tempo. Credo che, se un giorno tutti i runner del mondo si mettessero d’accordo, questo popolo colorato, ecoresponsabile e variegato potrebbe cambiare il mondo. Invece, abbiamo solo un desiderio di correre e lasciare andare la mente, concedendo un’insperata tregua al nostro cervello».