la Repubblica, 9 aprile 2022
Lockdown, la rivolta di Shanghai
PECHINO – «Vogliamo la libertà». «Perché a questo punto non ci mettete direttamente in prigione?». «State incitando le persone normali alla rivolta. Non me ne frega niente: che il Partito comunista mi venga a prendere! Dov’è il Partito? Dov’è il comunismo? Bastardi! Il governo sta mentendo. Come possono le persone normali vivere così?». «Ora questa malattia è diventata un virus politico». Grida Shanghai, esasperata da un lockdown che sembra non finire mai. Scene riprese dagli smartphone, conversazioni registrate al telefono e finite sui social. Testimonianze di un malessere che, dopo due anni di strategia della tolleranza zero per eliminare il Covid, sta esplodendo. Qui, nella città dove 101 anni fa il Partito nacque.
«A due anni dall’uscita di Wuhan dal lockdown, la mobilitazione nazionale guidata dal Partito inietta fiducia nella lotta al virus a Shanghai», scrive il Global Times, voce della propaganda. A osservare quello che sta succedendo nella capitale finanziaria della Cina, metropoli da 25 milioni di abitanti sigillata dallo scorso 28 marzo e ora senza una data di scadenza, non si direbbe affatto. E la rabbia che sta montando per la gestione caotica si sta trasformando in una sfida politica: una delle più difficili per il presidente Xi Jinping da quando ha preso il potere, dieci anni fa, mentre ci avviciniamo al Congresso d’autunno che deve garantire al leader un terzo – e inedito – mandato. In città iniziano a cadere le prime teste: già tre funzionari licenziati. Trema pure il capo del Partito cittadino, Li Qiang, fedelissimo di Xi, papabile prossimo primo ministro. Per due anni il presidente ha ripetuto che la strategia che sta isolando la Cina dal mondo era la medicina migliore, visto come se la passavano gli altri. E all’inizio è stato così. Ma due anni dopo il Partito non ha saputo preparare un’alternativa e si è tornati al punto di partenza.
La battaglia di Shanghai, nonostante le chiusure, non sta funzionando visto che i casi da una settimana continuano a salire: 21.222 ieri, che dal 1° marzo portano il totale a più di 130mila. Quasi tutti asintomatici, ma non c’è differenza: tamponi a tappeto e positivi (tutti) spediti in isolamento in strutture che ormai sono stracolme. Disorganizzazione e niente privacy, lamentano i cittadini. Dopo le proteste, ora almeno è permesso l’ingresso a genitori e bambini assieme. Quelle ricavate negli edifici dell’Expo non bastano più: sono iniziati i lavori per convertire il Convention Center in un dormitorio Covid da 40mila posti e pure altre città vicine sono state mobilitate per accogliere fino a 60mila contagiati. Circolano voci su decessi non segnalati nelle case di riposo. Crescono le chiamate ai centri di salute mentale. Chi soffre di altre malattie spesso non viene ammesso in ospedale. A chi tocca stare confinato in casa si lamenta perché scarseggia il cibo e non si riesce ad ordinare online: la distribuzione va a rilento viste le restrizioni che stanno bloccando i camionisti, le consegne a domicilio a singhiozzo (appena 11mila i rider in servizio), le app sono sovraccariche.
L’epidemia ha paralizzato una delle città più cosmopolite e ricche di tutta la Cina, molte aziende sono chiuse (tranne quelle che stanno costringendo i lavoratori ad accamparsi, letteralmente con le tende, negli uffici). Se l’isolamento continua tutto aprile, avvertono gli economisti, la città subirà una perdita del 6% del Pil. Per questo 2022, la Cina ha fissato un’ambiziosa crescita al 5,5%, che rischia di non essere raggiunta. Oltre 193 milioni di persone in tutto il Paese si trovano ora confinati o quasi in 23 città.
Già 38mila tra medici, personale sanitario e militari sono arrivati a Shanghai per combattere “la guerra contro il virus”. Il Partito manda lettere ai compagni per “avere il coraggio di sguainare le nostre spade e lottare contro l’epidemia”. Segno evidente della posta, politica, in gioco.
Una fase in cui si inizierà a “convivere con il virus” è per ora fuori discussione: il governo teme decine di migliaia di morti e un sistema sanitario sovraccarico. L’87% dei cinesi è vaccinato. Ma il problema sono gli anziani. Solo la metà degli over 80 ha due dosi. E le varianti nuove che corrono veloci. I vaccini cinesi «non sono sufficienti per battere Omicron», dice Ding Sheng, professore alla Tsinghua. Così è arrivato l’ok per i test clinici per i vaccini mRna, che qui non sono ancora disponibili.