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 2022  aprile 09 Sabato calendario

Nelle città liberate, un reportage


IRPIN – Se n’è andato a piedi e a piedi è ritornato. A Sasha Olexander ci sono volute tre ore per arrivare da Kiev al suo appartamento di Irpin, che si trova all’ottavo piano di un condominio alto, mangiato dalle bombe e con il giardino minato. Non ricorda quanto ci ha messo a fuggire il 6 marzo. Correva a testa bassa con la borsa stretta al petto, sentiva esplosioni e continuava a correre, quel giorno aveva provato inutilmente a rimettere insieme il busto e le gambe del suo vicino colpito da un razzo.
Sasha è tornato a Irpin con un rotolo di plastica trasparente in mano e sono briciole di vita sparse su una terra ferita. Germoglieranno come semi, diventeranno piante e famiglie di nuovo felici, ma ci vorrà del tempo. Sasha, 35 anni e una bandana sulla testa, sale svelto otto rampe di scale gelide e scrostate dall’onda d’urto, facendosi luce con la lampada del telefonino. Si cammina sui vetri, un cane abbaia nell’atrio. Non c’è elettricità, non c’è gas, non c’è linea telefonica, ma la Rete funziona come a Berlino. «Elon Musk ha fatto arrivare un terminale per il sistema satellitare StarLink, connessione illimitata e gratuita. Eccoci, siamo arrivati». Doppia mandata per entrambe le serrature della porta blindata. Sasha è l’unico inquilino del palazzo, ma gli sciacalli girano. Nella penombra, tutto è com’era quando fuori cadevano i mortai e lui stava steso al centro del corridoio pregando che non toccasse a lui. Il divano viola, il lettino di sua figlia Hanna di tre anni, le costruzioni, la cucina verdognola con il bollitore dell’acqua attaccato a una presa inutile. «È la prima volta che torno, devo fare una cosa…». Apre la porta sul balcone. Il rotolo di plastica adesiva gli serve per aggiustare la finestra infranta. Si ricomincia anche così, tappando gli spifferi.
«Stanotte ci dormo, fa freddo ed è buio ma almeno questo è il mio letto. Tra le mie cose. Ho bisogno di un punto da cui ripartire, a Kiev non ce la potevo fare. Mia moglie e mia figlia stanno andando in Polonia. Irpin è un fantasma, è rimasto poco e niente e ci sono più blindati distrutti che persone. Però sono nato qui, è la mia città». Dal balcone, la sua città appare per quello che è: il campo di battaglia che ha sbarrato la strada ai russi che puntavano al cuore della capitale. Il conto è salato. Cadaveri per strada, storie di brutalità infame su cittadini inermi e anche minorenni, distruzione. Da quassù si vede un’altra briciola. Un uomo sbuffa e suda con una scopa in mano per ripulire il marciapiede dai detriti. Più in là, un gruppo di signore raccoglie i rami degli alberi sventrati dai proiettili e li accatasta in un angolo.
A Irpin ci vivono in mille, stima il sindaco. Prima erano 40 mila. Nessun negozio è aperto, neanche gli alimentari, e tuttavia un’altra briciola di vita la si scopre entrando in quel che resta del campus dell’Università statale del Servizio fiscale. Al primo piano c’è una cucina che non si è mai fermata, dove lavorano donne infaticabili tra sacchi di patate e barattoli di lardo. «Prepariamo cinquecento pasti al giorno per chi torna a Irpin», spiega Sergij Shevchenko, il segretario dell’Ateneo. «Siamo rimasti durante i bombardamenti». Nella stanza accanto, il cartello con gli orari del 24 febbraio: Economia politica in aula 3 ore 14, l’esame di Statistica in aula 6 ore 10, il professor Orystovych oggi non riceve.
Il sacrificio di Irpin, e di Bucha, Verzel, Hostomel, Borodyanka e degli altri villaggi martoriati sul fronte di nord-ovest hanno consentito a Kiev di rimanere inviolata e rinascere in fretta. Ancora due settimane fa la capitale assediata dell’Ucraina faceva paura, svuotata, rintanata sottoterra, tramutata in uno sterminato terreno di guerriglia con mille trincee e cinquemila barricate. Per fare la Peremohy Avenue, il viale della Vittoria come lo chiamarono dopo la perestrojka di Gorbaciov, ci volevano ore, si era fermati e perquisiti ogni trecento metri, passavano rumorosi carri armati, si udivano i boati della roulette russa che lanciava a caso razzi e mortai sui palazzi della gente sperando di distruggere, oltre agli innocenti, anche qualche postazione anti-aerea. Ora si fila via lisci, neanche controllano più ai check-point. Caffè e ristoranti hanno le luci accese, al bar del “Not Only Fish” da cinque giorni hanno ripreso a servire whisky giapponese e Sassicaia, è finito il divieto di vendere alcolici e il coprifuoco si è ridotto dalle 9 di sera alle 6 di mattina. Le briciole non bastano, si è affamati e voraci di vita. Nei parchi si vedono bambini sull’altalena e mamme che spingono passeggini, al supermercato Silpo hanno gli astici in un acquario e dei granchi grossi come il volante di un’automobile. E il 34 enne Alex Zhyrguel è tornato a impomatare baffi e accorciare basette. Al Barber Shop al civico 108 di via Velyka Vasylkivska, entrano venti persone al giorno. «Abbiamo chiuso un paio di settimane per la guerra, io avevo la chiave del locale e mi sono messo a tagliare gratis i capelli ai soldati», racconta Zhyrguel. «Adesso abbiamo la metà dei clienti di prima, però lavoriamo. Kiev sarà quella di prima quando la metropolitana riprenderà a funzionare e noi sapremo come fare a spostarci da ‘a’ a ‘b’ rapidamente». Quel giorno, a Irpin, Sasha forse avrà l’acqua calda.