La Lettura, 9 aprile 2022
Elisabetta II diventa detective
Her Majesty, la detective. È vero, l’abbiamo già vista nei panni di Bond Girl per l’Olimpiade di Londra del 2012, ma la scrittrice britannica S. J. Bennett immagina la regina nelle vesti di detective alle prese con la morte misteriosa di una donna nella piscina reale e la sparizione di un quadro dall’amato Royal Yacht Britannia. E nel seguire Elisabetta II nelle stanze del palazzo, mentre indaga – o meglio: affida all’assistente Rozie il compito di indagare – racconta la sovrana privata (immaginaria). Un giallo che è un viaggio intrigante nei Windsor, nel loro mondo. Bennett, già autrice per i Gialli Mondadori de Il nodo Windsor, con Un problema da tre cani continua a seguire la sovrana di stanza in stanza.
La cosa più difficile dev’essere stata dare voce alla regina, in privato. Conosciamo la voce ufficiale, ma la regina nel libro dialoga «in casa», un po’ come in «The Crown» su Netflix?
«No, non mi sono ispirata a The Crown, ho preso spunto da alcuni video della Royal family in vacanza, in particolare una clip degli anni Ottanta realizzata a un party. Ad altri filmati in cui parla ai figli ancora bambini. I miei genitori l’hanno incontrata sul Britannia nel 1986 a un cocktail. Nel primo libro descrivo la regina come luminosa, perché è quel che diceva mia madre di lei, che riluceva con la carnagione chiara e i diamanti. Poi cerco di usare parole intonate a una donna di oggi nata nel 1926. Il rischio era di animare una regina da pantomima, con un accento di troppo che ne fa una donna di cent’anni fa. Piuttosto, ho cercato di farla parlare come una posh woman, un’aristocratica contemporanea del 1926».
La sovrana detective parla. E pensa. «Ho cercato di interpretare come pensa: il suo tentativo di bilanciare sacrificio personale e controllo con l’amore per la famiglia».
Una regina figlia di Giorgio VI, il re della Seconda guerra mondiale. Anche lei si definisce «an army child», figlia di un militare. Un elemento in comune.
«Ho girato il mondo, da Hong Kong a Berlino con i russi impegnati nelle manovre militari dall’altra parte del Muro, abbiamo vissuto in prima persona la Guerra fredda. E so cosa vuol dire quando un esponente della famiglia è in guerra. Per me bambina, era difficile perché continuavo a cambiare scuola, ma il fatto di essere ovunque un’outsider ha sviluppato la mia capacità di osservazione».
Che cosa immagina che la regina pensi della guerra in Ucraina? Sì è espressa con i fiori azzurri e gialli nel suo studio incontrando il premier canadese Justin Trudeau per parlare del conflitto in Europa...
«Ha vissuto la crisi dei missili di Cuba, al culmine della Guerra fredda, e sapeva allora cose che tutti noi abbiamo scoperto molto dopo. Ha conosciuto il Blitz nazista su Londra. Poi forse vorrei che potesse fare di più – come le generazioni più giovani, come il principe Carlo che pensa di accogliere rifugiati ucraini in Scozia... Ma cerca di stare lontana dalla politica, e immagino si senta anche un po’ frustrata da questo».
Carlo avrà forse un ruolo più politico. Nel libro, tra un indizio e l’altro, emergono i piani reali, per esempio su una monarchia snella. Poi c’è Filippo, un altro «army man». Quale ruolo ha nel giallo?
«Non ero sicura se farlo apparire o meno. Pensavo che Elisabetta avrebbe tenuto per sé i segreti dell’indagine. Ma in fondo era già comparso nel primo volume, con il suo carattere brusco».
A volte ruvido, certamente intelligente. Fino alla scomparsa un anno fa.
«Ho scritto il libro prima della sua morte. Credo meritasse di esserci, perché ci sono tante immagini in cui si vede che lui la fa sorridere. Nel giallo non l’aiuta nelle indagini, ma le assicura un sostegno incondizionato. Fa battute quando la regina ha bisogno di rilassarsi».
Dottorato in Letteratura italiana a Cambridge, un’esperienza da lobbista e una da consulente manageriale. Ha fatto pure domanda per lavorare per la Royal household prima di diventare scrittrice. Perché?
«La monarchia mi ha sempre affascinata, da bambina andai davanti al palazzo con le bandierine per uno dei primi giubilei. Così ho fatto domanda per diventare assistente private secretary a corte. Sono stata intervistata dal vice segretario e dal Keeper of the Privy Purse (cura le finanze reali). Sarebbe stato fantastico scrivere i suoi discorsi, viaggiare con lei, ma avevo solo vent’anni. Così nel libro il mio posto l’ha preso Rozie, l’assistente della mia regina detective».
Perché proprio la regina?
«Ho scritto libri per bambini e mi sono sempre interessata al ruolo delle donne: l’idea mi è venuta vedendo The Crown, dove lei rimette a posto un soldatino caduto come mai la vera regina avrebbe fatto. Mio padre, che le ha parlato in più occasioni, mi ha sempre detto che Her Majesty conosce la storia dei suoi reggimenti, s’intende di guerra, battaglie, parla di continuo di queste cose».
Certo, è il capo delle forze armate.
«Infatti, ed è stato in quel momento che ho realizzato che davvero sapevo tanto della regina. Tanto da farne la protagonista dei miei gialli. Lei ha una diversa prospettiva sul mondo rispetto a chiunque altro. E per la sua posizione può fare e chiedere cose che nessun altro potrebbe. Se vuole chiedere una cosa al presidente degli Stati Uniti, lei lo può fare».
Ha vissuto la storia, ed è amata.
«Suscita rispetto e affetto. Specie con la sua nuova fragilità. Anche se è un momento di grande controversia attorno alla Royal family, ma era già così al tempo di Margaret quando rinunciò alle nozze, dell’abdicazione di Edoardo VIII... Però è sbagliato proteggerla in modo eccessivo. Le hanno vietato persino il suo gin e Dubonnet alla sera. Temo che il suo staff sia così attento a mantenerla in forma per i festeggiamenti del giubileo di platino a giugno che alla fine tutta questa precauzione sortirà l’effetto contrario».
Avessero preso lei come assistente della regina?
«Le direi: Maestà, faccia quel che si sente! Certo, poiché la madre è arrivata a 102 anni, penso che forse la regina si senta anche un po’ depressa all’idea di non essere più in perfetta forma».
Torniamo alla sovrana immaginaria. Quella vera non è una patita d’arte, eppure nel giallo insegue un quadro.
«Volevo scrivere di Buckingham Palace e della collezione d’arte della regina che, è vero, ama più i cavalli dei dipinti, ma i suoi Canaletto li conosce bene».
Passione per i cavalli condivisa con Camilla, che ha lanciato una «book community»: The Reading Room.
«Nel mio libro c’è anche Camilla, ma s’interessa ai problemi di violenza domestica, però è bello che abbia deciso di spendersi con un book club: di libri si può parlare solo se c’è passione vera».