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 2022  aprile 09 Sabato calendario

Salvini all’Ucciardone per il processo Open Arms

PALERMO Sul banco dei testimoni sale il comandante della nave Open Arms, che ricorda i 20 giorni dell’agosto 2019 trascorsi con i migranti a bordo davanti alle acque italiane: «Io non ho mai forzato il divieto d’ingresso, aspettavamo a 24 miglia dalla costa la risposta alla richiesta di sbarco nel porto sicuro più vicino (il Pos, place of safety, ndr ), che non è mai arrivata. Ci dicevano che bisognava attendere la decisione delle autorità competenti». Ad ascoltarlo, sul banco degli imputati, c’è l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, l’autorità competente dell’epoca che negava la risposta e aveva firmato lo stop all’imbarcazione spagnola, rimasto sulle stesse posizioni: «In un momento in cui si parla di difesa dei confini in altre parti del mondo, ribadisco di aver fatto quello che era un mio dovere».
Nell’aula-bunker dell’Ucciardone, da dove il leader leghista manda foto e post, va in scena il processo in cui è accusato di sequestro di persona nei confronti di 147 migranti, entrato nel vivo con le deposizioni dei protagonisti. Primo fra tutti Marco Creig Creus, responsabile della nave: «A me non interessano le multe previste dai divieti, a me interessa salvare vite».
Salvini ascolta il suo racconto, a tratti distratto dai messaggi letti e scritti sul telefonino. Nelle pause dell’udienza-fiume (oltre 12 ore) ostenta noia, ma alla fine sbotta: «Vergognoso perdere una giornata di lavoro qui mentre fuori c’è la guerra». Questo dibattimento, autorizzato dal Senato dopo la rottura dell’alleanza di governo coi grillini, è il risvolto giudiziario della sua politica sull’immigrazione, che lui rivendica. Ma la Procura di Palermo ravvisa un reato nella mancata concessione del Pos a una nave con i migranti recuperati in tre diverse operazioni ricostruite da Creus: «Ne abbiamo raccolti 55 il 1° agosto, altre 70 il 2 agosto e altre 39 il 9 agosto, mentre eravamo in attesa di ricevere il permesso di sbarcare a Lampedusa, visto che Malta aveva detto no».
Io non ho mai forzato il divieto d’ingresso, aspettava-mo a 24 miglia dalla costa la risposta alla richiesta di sbarco, mai arrivata
Il controesame dell’avvocata-senatrice Giulia Bongiorno tende a dimostrare che la Open Arms andò alla ricerca di naufraghi con singolare tempismo rispetto ai naufragi, muovendosi due giorni prima con un’imbarcazione inadeguata a quel lavoro, portandosi dietro giornalisti e cameramen. Oltre all’attore Richard Gere fatto salire «nonostante la nave fosse già piena». Ma per il comandante era tutto coerente con la sua missione.
Prima di Creus è il turno del medico e della psichiatra che per conto della Procura di Agrigento verificarono le condizioni dei profughi sulla nave: un centinaio di persone stipate sul ponte della nave, «con 2 bagni alla turca e senza materassi, dormivano sul pavimento lamentando malattie varie: tosse, diarrea, vomito, nausea, anemia, scabbia». Accusa e difesa vanno in cerca di definizioni utili alle rispettive cause: i legali di parte civile gli fanno dire che «c’era una situazione di assoluta precarietà, mancanza di tutto»; l’avvocata Bongiorno ottiene la conferma che i bagni erano «decorosi» e la condizione dei migranti «discreta», il dottore corregge in «mediocri».
La psichiatra invece sottolinea che la situazione a bordo rischiava di diventare pericolosa: «C’era un’urgenza che poteva tramutarsi in emergenza. Qualche naufrago s’era buttato in mare per raggiungere la terra, l’unica loro certezza era di non voler tornare in Libia, dove avevano subito violenze e torture. Non so dire se avrebbero potuto sopportare un viaggio verso la Spagna».
La «questione iberica» è centrale per la difesa di Salvini, che accusa il comandante di essersi impuntato a voler portare i migranti in Italia nonostante il divieto, datato 1 agosto, mentre la Spagna aveva messo a disposizione un porto sicuro. Ma lui ribatte che suo dovere è andare nel porto sicuro più vicino: rimase in attesa della risposta alla richiesta di Pos, che non arrivava, soccorrendo nel frattempo altre due imbarcazioni. E dal 14 agosto, quando il Tar annullò il divieto, «avevamo un porto a 700 metri di distanza, le persone a bordo stavano male non c’erano le condizioni per riprendere la navigazione. Nemmeno per una sola ora». Prima dello sbarco, consentito solo dal sequestro della nave ordinato dalla Procura di Agrigento, trascorsero altri sei giorni.