La Stampa, 9 aprile 2022
Per Massimo Galli «la variante Xe cambia tutto»
«Con la nuova sottovariante Xe i vaccinati, anche con tre dosi, sono a maggiore rischio di infezione e le persone anziane e fragili pure di malattia grave». Massimo Galli, 70 anni, già professore ordinario di Malattie infettive all’Università Statale di Milano e primario all’Ospedale Sacco, si è operato alla cataratta e indossa nuovi occhiali. Ha già ripreso a leggere le ultime ricerche e a preoccuparsi per una pandemia «di cui si parla meno a causa della guerra, ma che nell’ultimo mese solo in Italia ha contagiato oltre 2 milioni di persone e ne ha uccise quasi 4 mila».
Con i nuovi occhiali come vede la situazione?
«Ce l’avevo chiara anche prima: ho sempre dubitato della fine dello stato di emergenza, non tanto in termini giuridici quanto in merito alla comunicazione di un liberi tutti. Doveva essere l’opposto: si alleggeriscono strutture e misure, ma si spiega che la situazione resta instabile e merita ulteriore cautela. Non a caso ora assistiamo a una ripresina dei contagi».
A cosa è dovuta?
«A tre varianti che si susseguono, anche perché non si fa sufficiente attenzione ai contagi. Omicron 1 è in via di rapida sostituzione da parte di Omicron 2 e poi le due si sono fuse nella nuova Xe, che potrebbe essere così diffusiva da sostituirle entrambe. Senza contare alcuni sintomi sospetti come le vertigini, che implicherebbero un interessamento neurologico da approfondire».
Come è nata Xe?
«Probabilmente dall’infezione concomitante di Omicron 1 e 2 in qualche organismo dove hanno ricombinato le loro caratteristiche genetiche in una sottovariante».
Dalle varianti siamo passati alle sottovarianti?
«La grande platea di vaccinati e di guariti favorisce la selezione di sottospecie, seppur in un quadro di mutazioni casuali. Si tratta di continui minimi cambiamenti, già si annuncia la Xj, che portano a riflettere. Da un lato potremmo essere sulla strada della minore patogenicità del virus. Dall’altro si registra una maggiore capacità di diffusione delle sottovarianti e di conseguenza una riduzione della forza protettiva dei vaccini verso l’infezione. Questo per fortuna non si associa a una diminuzione altrettanto cospicua nei confronti della malattia grave».
Ma se una piccola diminuzione c’è chi rischia di più?
«Sicuramente i non vaccinati, ma rispetto a prima rischiano di più anche i vaccinati, poi dipende molto di chi si tratti. Xe è quasi un virus nuovo rispetto a quello per cui i vaccini sono stati creati per cui, in particolare nei soggetti anziani e fragili, si possono verificare più difetti della protezione, anche dopo la terza dose».
La conseguenza di questo discorso è che la quarta dose sia necessaria?
«Certamente per i fragilissimi, forse per gli anziani, ma non è detto che sia utile a tutti».
Questo perché comunque si tratta di vaccini non aggiornati?
«Esatto, per la stessa ragione gli anticorpi monoclonali funzionano meno e resistono solo gli antivirali, ma è importante sottolineare che comunque tre o quattro dosi sono molto meglio di niente seppure imperfette, e che resta fondamentale non abbandonare comportamenti personali cauti per sé e per le persone più fragili della società, bambini compresi. Questo è il discorso che il governo ha sottovalutato».
Viaggiamo sui 140 morti al giorno, quale sarebbe un livello accettabile?
«Cominciamo col dire che così è inaccettabile sia dal punto di vista umano sia sanitario per gli ospedali e il sacrificio di altri malati non Covid. Poi dovrebbero essere decine, non centinaia, al giorno».
E il Green Pass?
«Servirebbero degli accordi internazionali per salvaguardare il turismo e prorogarlo almeno fino all’inverno. Toglierlo prima sarebbe un condono».
E le mascherine?
«Restano indispensabili al chiuso e sui mezzi pubblici».
Eppure anche il suo collega Crisanti ha scelto la strada del contagiamoci tutti.
«Con tutta la stima per lui dissento al 110 per cento. Utilizzare l’infezione come vaccino è inaccettabile: senza contare malati e morti tra i fragili e non solo, basti pensare alle conseguenze del long Covid, bambini compresi».
Dalla guerra al virus il mondo è passato a quella in Ucraina?
«Il dottor Putin ha guarito il mondo dall’infodemia, non dalla pandemia, e non prenderà il Nobel della medicina, tantomeno della pace. La guerra è terribile e porta malattie. In passato ho lavorato a Odessa: in Ucraina ci sono pochi vaccinati come in Russia, un crollo del sistema sanitario e dei vaccini comuni per i bambini, bombardamenti sugli ospedali, poliomielite da virus selvaggio e tubercolosi diffusa».
Lei è un medico pacifista assoluto alla Gino Strada?
«Sono un medico pacifista molto preoccupato della situazione umanitaria e sanitaria, ma che ritiene le armi utili in certi casi limite come l’invasione russa dell’Ucraina».