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 2022  aprile 08 Venerdì calendario

Luca Argentero: «Io vivo d’amore»

C’è una frase che Luca Argentero ripete spesso, più a se stesso che agli altri: «La vita con me è stata gentile». Punto. Non è né buonismo, né un monito, precisa, semplicemente è «un dato di fatto». Torinese, 43 anni, una trentina di film alle spalle, diverse serie tv, il teatro, una moglie (Cristina Marino) e una figlia di quasi due anni (Nina Speranza), Argentero sostiene: «Non vuol dire che non abbia provato anche io delle sofferenze, ma tirando la riga posso solo essere grato. Anche di dove sono nato. Le radici contano, si impara tanto dai gesti dei propri genitori. E i miei sono sempre stati gentili l’uno con l’altra, con noi. Hanno sempre avuto cura di tutto, e la cura si trasmette».
Oggi, l’attore, la stessa cura continua a metterla a casa come nei ruoli che interpreta. Quello immenso del dottor Fanti, il medico di Doc - Nelle tue mani che gli fa «provare calore come mai prima», e quello che sta arrivando: Massimo, il marito di Antonia (Cristiana Capotondi) e l’amante di Michele (Eduardo Scarpetta) nella nuova (e attesissima) versione de Le fate ignoranti, stavolta in otto episodi, ventun anni dopo il capolavoro di Ferzan Ozpetek, film epocale per la generazione Lgbtq+ di inizio Duemila e non solo. A firmare la nuova serie è sempre il regista turco, e arriva su Disney+ dal 13 aprile. 


Come ci si prepara al remake di un cult come Le fate ignoranti?
«È un film che conosco a memoria, non ho avuto bisogno di rivederlo. C’è anche da dire che vent’anni fa il mio personaggio era poco sviluppato, era l’innesco, solo la bomba che faceva esplodere la storia. Adesso, invece, ho avuto la possibilità di fare un po’ di più quello che volevo, anche se questa possibilità con Ferzan c’è sempre fino a un certo punto».


Quale?
«Lui ha sempre le idee molto chiare. Dal colore dei calzini alla tipologia di personaggio, la sua direzione è sempre estremamente specifica. Non ho quindi dovuto fare nessuno sforzo di immaginazione, nel senso che quello sforzo lo fa lui per te. È molto semplice, ma anche molto piacevole lavorare con lui. È un po’ il motivo per cui si fa sempre a gara per essere scelti da lui, ed è anche per questo che poi quando questo succede è un privilegio».


Lei aveva già lavorato con Ozpetek in Saturno contro. Com’è stato reincontrarlo?
«È stato molto piacevole perché io e Ferzan siamo rimasti amici nel tempo, non abbiamo più lavorato insieme ma siamo sempre stati in contatto. È stato molto interessante ritornare a lavorare insieme perché, per quanto mi riguarda, l’ho fatto con un bagaglio diverso di esperienze rispetto alla prima volta in cui ero davvero un esordiente».


Saturno contro è uscito nel 2007, 15 anni fa.
«Sì, e l’avevamo girato l’anno precedente. Stiamo parlando di una vita fa. Era il mio secondo film, di sicuro il primo importante, avevo pochissima esperienza sul set. Tornare a lavorare con lui oggi è stato molto piacevole anche per questo, perché so di avere qualche strumento in più da mettere a servizio della storia. Massimo è un personaggio estremamente a servizio del film, serve per raccontare gli altri, più che per raccontare se stesso. Serve per definire l’amore di Antonia, serve per definire l’amore di Michele, le loro personalità, e serve per creare il vero punto in comune tra i due personaggi che poi sono i veri protagonisti di questa storia».
Le Fate ignoranti è stato girato nel 2000, l’anno del primo Pride mondiale a Roma (partenza proprio dal quartiere Ostiense). Nonostante i pregiudizi iniziali, ha incassato tanto e ha vinto tanto, raccontando una parte d’Italia fino a quel momento rimasta nascosta. Ancora oggi resta un film epocale per la comunità Lgbtq+ e non solo. Quant’è cambiata, secondo lei, l’Italia 20 anni dopo?
«Per fortuna viviamo in un Paese meno rigido rispetto a 20 anni fa, ma la vera normalità sarà quando non si parlerà di amore omosessuale, ma si dirà solo che è la storia di due persone che amano la stessa persona, senza pensare che l’oggetto del film sia considerare un amore “diverso” dall’altro. Il senso della storia, del resto, è solo questo: due persone che amano la stessa persona. Mi sembra, però, che siamo ormai abbastanza vicini a tutto questo».


L’altro grande tema del film è non conoscere davvero chi abbiamo accanto. Abbiamo tutti una vita più o meno segreta?
«Io mi circondo di pochi fedelissimi, amici fraterni, familiari molto molto uniti, quindi francamente spero di conoscerli, non credo che dietro ci sia un mondo a me oscuro. Mi stupirebbe molto. Ma, in effetti, il tema del film è proprio questo, anche quando pensi di conoscere davvero bene una persona - tuo marito, tua moglie - poi ha un’altra vita. Diciamo che io ci rimarrei piuttosto male se scoprissi una cosa del genere. Non so se sarei bravo come loro a lasciarmi andare, a voler capire, probabilmente avrei una reazione più drammatica. Certo molti hanno una parte nascosta della propria vita, io no. Ma qualora l’avessi, sarebbe molto strano dirlo proprio a lei (ride, ndr). Mi sento di dire di no, sono piuttosto ordinario».


Il tradimento più grave che si possa commettere?
«Il tradimento fisico se accompagnato dalla menzogna e quindi dalla perdita di fiducia secondo me è letale. Se tu riesci a essere totalmente onesto e a dichiarare una tua debolezza, puoi ancora pensare di salvare qualcosa. Quando, invece, tradisci in senso fisico e poi tradisci anche la fiducia dell’altro è lì che hai fatto un patatrac. Tornare indietro, a quel punto, è molto, molto difficile. Perché se tu decidi di condividere la tua vita con qualcuno è perché quella persona deve essere il tuo punto di forza, non ha nessun senso pensare di vivere con qualcuno che mini le tue sicurezze. Io, quindi, troverei molto complesso perdonare o capire, si può capire solo se mantieni saldo il punto della verità. Se non c’è più nemmeno la trasparenza, per quale ragione bisognerebbe restare?»


In un matrimonio esistono segreti che fanno bene?
«No. Se davvero la persona che hai al fianco è quella che vuoi, perché dovresti avere dei segreti?».


Nemmeno quelli «piccoli»?
«No. Ovviamente parlo per il mio di matrimonio. Io per esempio alcune cose non le ho mai raccontate nemmeno a mia madre, non per vivere meglio ma per fare stare lei più serena. Invece mia moglie sa tutto. Ci deve essere una persona, l’unica, che veramente conosce qualsiasi cosa di te, anche le peggiori qualora ci fossero».


Quella persona la si riconosce subito?
«La fiducia si costruisce. È una cosa che richiede lavoro. Devi imparare a conoscerla una persona per capire se puoi fidarti».


Lei, di solito, è uno che si fida?
«Ho avuto diverse esperienze e ammetto che con Cristina abbiamo raggiunto un grandissimo livello di fiducia reciproca. Posso parlare solo rispetto al presente, e il mio presente è fatto di grande trasparenza. Di grande fiducia e di quello di cui parlavo prima, ossia essere uno il porto sicuro dell’altra, sapere che lì non puoi più avere sorprese. La vita è già mille problemi, mille imprevisti, mille delusioni, almeno quel porto sicuro lì lo devi avere. Cristina è per me quel porto, e io sono certo di esserlo per lei. È questa la vera forza dello stare insieme».


Ne Le fate ignoranti un posto importante lo occupano anche gli amici, la famiglia che ci si è scelti. E insieme ci si ritrova tutti intorno a un tavolo, su una terrazza di Roma. Da torinese, le grandi tavolate sono tra i suoi ricordi? 
«Sì, tante. Sono un torinese un po’ atipico (ride, ndr). Lo dimostra il percorso che ho fatto. Ho preso casa in tante città diverse, ho vissuto già due o tre vite completamente differenti l’una dall’altra. Mi reputo una persona abbastanza conviviale, spigliata, ho sempre amato circondarmi di nuove persone, viaggiare, ho girato mezzo mondo». 


Che significato dà al termine «famiglia»? 
«Una ristrettissima cerchia di persone di cui ti puoi fidare ciecamente, che possono fare affidamento su di te e su cui tu puoi contare nel momento del bisogno, che sia di gioia o di dolore. Crescendo affini questo concetto. Quando sei più giovane il concetto di amicizia è legato ai primi viaggi, alle prime fidanzate, alle prime grandi emozioni che si provano, quindi è più allargato. Si parte dai compagni di classe, da adolescenti arriva la comitiva, infine man mano che cresci questo gruppo si sfoltisce e rimangono gli essenziali. Passati i 40 anni diventa più difficile trovare nuove persone che riescano a entrare in quella cerchia, anche se a me è capitato. Anche in questo caso sono stato fortunato». 


Ferzan Ozpetek ha raccontato che la prima cosa che ha fatto quando è diventato famoso, dopo Le fate ignoranti, è stato togliere il suo numero dell’elenco del telefono. Lei, invece, cos’ha fatto?
«Il mio percorso è piuttosto insolito. Il giorno prima ero in aula studio a Economia e commercio a Torino, il giorno dopo sono uscito da quella famosa porta rossa e c’erano milioni di persone ad aspettarmi (si riferisce al Grande Fratello, edizione del 2003, a cui aveva preso parte, ndr). Avevo 25 anni e pensavo solo a divertirmi come un pazzo e a guadagnare un po’ di soldi facili. Solo in un secondo momento ho capito che la popolarità, se non è accompagnata da qualcosa di valore, è fine a se stessa. È solo la dimostrazione della profezia di Warhol secondo cui tutti per 15 minuti possiamo essere famosi».


Che cos’è oggi il successo?
«Oggi lo definisco dal fatto che dopo 20 anni sono ancora qui a parlare con lei e continuo a raccontare i lavori che faccio. Per il resto non c’è più bisogno di togliere il numero dall’elenco del telefono, basta scrivere sui social».


Al dottor Fanti che cosa scrivono?
«Ho sempre avuto un ottimo rapporto con i fan, sono sempre stato piuttosto ben voluto. Devo dire che raramente mi è capitato di incontrare qualcuno per strada che mi mandasse a quel paese solo per il gusto di farlo, ma dopo Doc sento che l’ondata di affetto nei miei confronti è cresciuta. Le persone dall’altra parte della strada mi fermano, mi dicono “ciao, Doc!”, sento che sono davvero legati al personaggio. Doc è un bellissimo successo, non è solo questione di numeri ma anche di quanto affetto ha suscitato nelle persone, è per me un grande orgoglio».


Quando non lavora, però, si sposta nel suo casale in Umbria. Quando le è venuta voglia di campagna?
«Tantissimo tempo fa, dipende da come sono cresciuto. Da bambino non ho mai vissuto in un condomino. Così quando all’inizio mi sono trasferito a Roma per lavoro, dopo un po’ mi sono detto “ok io posso passare parte del mio tempo così, ma quello che resta devo necessariamente trascorrerlo in un posto più tranquillo, più a contatto con la natura”. Il casale in Umbria c’è da sempre, l’ho acquistato nel 2008. E ho deciso di vivere per dei periodi lì dopo due, tre anni di giovinezza sfrontata e super divertente, dove non mi importava vivere in un posto piuttosto che in un altro».


Com’è la vita da papà Nina?
«Nina è tutta la mia vita. Esiste un prima e un dopo. Non è cambiato qualcosa, è cambiato tutto, sarebbe difficile rispondere in poche parole. Qualsiasi aspetto della mia vita è cambiato radicalmente, è cambiato però in virtù della presenza di Cristina. Nina non avrebbe avuto nessuna possibilità di esistere senza di lei. La mia vita è cambiata non dopo l’arrivo di Nina, ma dopo l’arrivo di Cristina, è Cristina che ha stravolto in positivo la mia vita. Nina è solo la conseguenza di questo amore».






Che padre è?
«Ho avuto un ottimo esempio, e credo quindi di poter replicare. È difficile essere un buon genitore se devi inventarti tutto, io invece posso contare su ciò che ho ricevuto da mio padre. Nello stesso tempo ho sempre detto ai miei genitori che io ero stato molto fortunato ad avere dei genitori come loro, ma anche loro sono stati fortunati ad avere dei figli come me e mia sorella. Nella primissima parte della vita di un bambino tu sei l’unica ragione del suo benessere, poi invece ci mette del suo. A quel punto, puoi fare il meglio che puoi ma conta anche il suo istinto. Tu puoi solo accompagnarli».


Che bambino era lei?
«Un bambino super sorridente, preso bene in generale. Un po’ esagitato, ma mia madre mi racconta che mi svegliavo col sorriso. Il merito ovviamente era il suo. Ho vissuto in un ambiente molto positivo, sono stato molto fortunato».


Da poco è tornato a teatro con il suo spettacolo È questa la vita che sognavo da bambino? È vero che la sua risposta era diventare un tennista?
«È sempre stato il mio grande sogno, ma non ho mai avuto gli strumenti per realizzarlo. Non avevo nessun talento, ero mediocre, ci provavo, ci speravo, ma ho anche avuto la fortuna di avere degli allenatori che mi dicevano “guarda, è inutile che insisti, a 15 anni i campioni lo sono già". È stato utile capirlo e dedicarsi ad altro».


Poi ha scelto l’università, Economia. Lo rifarebbe?
«Ci ripenso spesso, ma ho sempre saputo che mi sarebbe successo qualcosa di non ordinario. O meglio sapevo che avrei fatto qualsiasi cosa pur di non proseguire una qualsiasi carriera ordinaria».


Qual è la maggiore sfida del mestiere di attore?
«Ho cambiato atteggiamento rispetto al passato. Prima mi interessava fare esperienza e accumulare ore di volo. Oggi mi baso solo sulla bontà della storia, se è una storia che mi emoziona mentre la leggo, penso che io possa fare bene. Se non scatta quella scintilla, preferisco di no. È una questione di rispetto nei confronti del pubblico, e io per il pubblico ho grandissimo rispetto».