la Repubblica, 8 aprile 2022
Il film su Navalny
NEW YORK — C’è un nuovo guaio per Vladimir Putin e per il suo controllo del potere a Mosca. Stavolta viene da un film, Navalny, proiettato in anteprima a New York. Protagonista di questo documentario straordinario, un thriller che tiene aggrappati alla sedia, è Alexey Navalny, carismatico oppositore del regime putiniano. L’opera del canadese Daniel Roher ricostruisce le dinamiche dell’attentato a Navalny il 20 agosto 2020 e il suo dramma politico e personale. Ma l’importanza del film è nell’essere il primo documento a darci la misura di quanto forte, determinata, diffusa, pronta a tutto, sia la resistenza russa alla dittatura di Putin.Lo avevamo sospettato. Abbiamo visto anche recentemente coraggiose dimostrazioni contro la guerra. Abbiamo seguito alcune voci dissidenti contro Putin e la sua devastante guerra. Ma non avevamo ancora visto, nella coerenza di un’opera a tutto campo, quanto l’ispirazione, l’esempio di un leader d’opposizione come Navalny possa toccare i cuori di milioni di persone. I sondaggi ci raccontano che la maggioranza dei russi è schierata con Putin e che i dissidenti sono una minoranza. Ma da questo documentario si capisce che la minoranza è talmente motivata da rendere possibile un cambiamento al Cremlino. A patto che ai pochi milioni che resistono oggi se ne aggiungano altri. Ben costruito, con molte immagini inedite, il film parte da un’intervista di Roher a Navalny dopo l’attentato e poco prima del ritorno a Mosca nel gennao del 2021. All’arrivo l’arresto. Da li, un flashback che ci riporta alle battaglie, alle denunce, ai comizi affollatissimi, ai 182mila volontari che lo appoggiano. E ai momenti chiave della sua battaglia: il viaggio a Tomsk, in Siberia, dove gli agenti del Fsb organizzano l’avvelenamento con il Novichok. Le convulsioni in aereo, l’atterraggio di emergenza a Omsk, l’intervento dei medici che gli danno antidoti provvidenziali, il volo in Germania dove viene curato e dove si prova che l’intossicazione è da Novichok.C’è poi l’incontro con Christo Grozev, il giornalista investigativo di Bellingcat, che riesce a ricostruire alcune dinamiche chiave che puntano il dito direttamente sul Cremlino. Putin nega qualunque coinvolgimento in una conferenza stampa live. Sbertuccia Navalny come un debole. Ma capiamo che la debolezza è da un’altra parte. E quanto la tecnologia possa essere importante: Christo recupera i nomi dei possibili esecutori materiali dell’attentato setacciando biglietti aerei per Tomsk, compra informazioni a buon mercato, riesce a mimetizzare il numero da cui Navalny chiama i suoi attentatori. E, in un momento chiave, il leader politico si presenta come assistente di uno dei capi della Fsb a Konstantin Kudryavtsev, il chimico nel commando organizzato per avvelenarlo. Assistiamo in diretta alla telefonata. Navalny chiede a Kudryavtsev dettagli su quel che è successo a Tomsk per fare un rapporto sul fallimento dell’operazione e quello, convinto di parlare a un suo superiore, confessa tutto. La registrazione viene messa su Internet. Putin è furioso. Kudryavtsev scompare e non sarà mai più ritrovato. Poi, dopo cinque mesi in Germania per curarsi, la decisione di Navalny di rientrare a casa, a Mosca, dove rischia una condanna per... violazione della condizionale. I protagonisti del giallo sono Navalny stesso, la sua assistente Maryia Pevchickh, la coraggiosa moglie Yulia e, nei momenti più intimi, i figli Daria e Zahar. Incontro alcuni di loro al Walter Reade Theater, al Lincoln Center, a un ricevimento dopo l’anteprima. Yulia mi dice che il film «mobiliterà una protesta che porterà alla liberazione di Alexey», condannato giorni fa a nove anni di carcere. Daria, che studia psicologia a Stamford, è commovente nel ricordo del padre in prigione: «Non ho mai avuto dubbi, non gli ho mai chiesto di smettere, anche se ero addoloratissima, perché lui è dalla parte della ragione. E vincerà contro la barriera delle menzogne». Christo mi dice che «ognuno ha la sua versione dei fatti e mente anche senza saperlo. Ma i dati non mentono mai. E i dati che ho recuperato con Alexey inchiodano Putin alle sue responsabilità». Daniel, il regista, appena 29 anni, ha cominciato con l’idea di raccontare la storia di Bellingcat : «È stato Christo – rivela – a dirmi due anni fa che stava per scoprire cose importanti sull’attentato a Navalny e ho dirottato il progetto. Ora la sfida è politica».Navalny è anche un film che ci conferma quanto la Russia sia una cugina europea. E che l’Europa – non la Francia, la Germania, l’Italia, ma l’Europa – resta un punto di riferimento chiave per i russi: pur nella loro tradizione, come noi pensano di appartenere alla storia, alla cultura, all’economia europea. Dall’11 aprile il film sarà distribuito in 800 sale in America e in Canada. Presto anche in Italia. E Daniel, felice per aver vinto al Sundance, a gennaio, il premio per il miglior film votato dal pubblico, mi dice che la grande sfida, anzi la promessa della Warner Brothers, che l’ha prodotto con la Cnn, è trovare il modo di distribuirlo a Mosca: «Spero che in Russia possano vedere in molti il film, anche in modo clandestino, su Internet, via streaming o grazie alle copie private».Se dovesse succedere, se il film sarà davvero visto in Russia, non possiamo non credere, come dice Navalny, che quella minoranza che oggi forma la resistenza a un regime, non possa ingrandirsi davvero, grazie a chi sceglierà di venire allo scoperto. Del resto, la storia conferma: sulle fake news vince l’evidenza dei fatti.