Avvenire, 8 aprile 2022
Liquori e Farmaci: cosa producono i monasteri italiani
Erboristeria e farmacia. Fitoterapia e cosmesi. Liquori, profumi e prodotti culinari. C’è un filo unico che li accomuna. Un filo che passa attraverso i monasteri e le loro antiche ricette, diligentemente annotate nei codici delle biblioteche abbaziali. Un filo ispirato, oltre che alla regola dell’ora et labora, alla massima attribuita a Plinio il Vecchio: «Quando hai bisogno di aiuto, girati intorno e troverai nella natura ciò che serve».
Chi va per monasteri e abbazie lo sa bene. Entrare nella bottega dei loro prodotti significa riscoprire un mondo che coniuga natura, studio e sudore della fronte. Ma quel sapore antico è anche anticipazione del presente. Perché molte delle buone pratiche oggi in voga tracciabilità della filiera, chilometro zero, sostenibilità, rispetto del lavoro e della natura – sono state ’brevettate’ secoli addietro proprio in questi luoghi di spiritualità. E allora un viaggio tra gli scaffali è come una macchina del tempo, una specie di ritorno al futuro, che mette insieme i saperi più diversi, dalla storia, alla botanica e all’agricoltura, dalla medicina alla carità verso i più poveri, fino alla letteratura. Si prendano ad esempio le Gocce imperiali dei Cistercensi. Un distillato d’erbe che piaceva anche a Gabriele D’Annunzio. Fu inventato da Eutimio Zanuccoli nel 1766 e ha uno spiccato gusto di anice. Diluito in acqua diventa un dissetante, nel caffè nel tè e nel latte un tonico, versato su un batuffolo di cotone un calmante per il mal di denti. Il suo effluvio, inalato profondamente, libera le vie respiratorie.C’è poi la Tisana delle Benedettine di Pistoia, che risale a una ricetta di madre Cristina Carobbi, badessa farmacista del primo ’900. Ha effetti diuretici, antinfiammatori e abbassa anche il colesterolo. O l’Alchermes della Certosa di Firenze, liquore dolce fiorentino, che Caterina de’ Medici portò in dote al suo sposo, il re di Francia Enrico II, nel 1533 e che fu ribattezzato ’liquore dei Medici’. E sempre per restare in Francia si può citare il Profumo delle Benedettine d’Oltralpe, fragranza sintetizzata in onore di Anne de Beaujeu (Anne de France) che divenne la reggente del Paese transalpino dal 1483 al 1491.
Talvolta si sconfina anche nella leggenda. Come quella dell’abate irlandese Colombano che nel 612, passando nei pressi di Pavia, allora capitale dei Longobardi, fu ricevuto dalla regina Teodolinda, che servì a lui e ai suoi confratelli un sontuoso pranzo a base di selvaggina. Ma si era in quaresima e perciò Colombano disse che non potevano mangiare le carni, ma volle ugualmente benedire la tavola. Ed ecco il prodigio: la selvaggina si trasformò in colombe di pane, bianche come le vesti dei monaci, che poterono così rifocillarsi. Teodolinda donò loro le terre di Bobbio dove sorge tuttora l’Abbazia di San Colombano, dalla quale ebbe origine probabilmente il dolce pasquale giunto fino alle nostre tavole.
Più di XIV secoli dopo, la tradizione non ha smesso di diventare innovazione. All’inizio della pandemia, quando mancava il gel igienizzante, le monache trappiste di Valserena (Pisa) hanno usato l’alcool dei loro profumi per realizzarlo più velocemente, con estratto di malva e glicerina e profumazione all’acqua di colonia. Mentre i Camaldolesi, in collaborazione con il dipartimento di Scienza e Tecnologie cosmetiche dell’Università di Siena, hanno da poco creato una linea di creme cosmetiche per chi è sottoposto a radioterapia e chemioterapia. Anabasis è il nome benaugurante, che ricorda Senofonte e indica il movimento di ascesa, quindi la rinascita dopo la malattia. Fusione di antico e moderno, dunque. Anche per quanto riguarda altri prodotti come l’acqua di melissa dei Carmelitani Scalzi (la cui ricetta è datata 1710), indicata per alleviare gli stati d’ansia e vari disturbi dell’apparato digerente. O i ceci neri dei Monaci di Siloe (Grosseto) ricchi di vitamina B, proteine, sali minerali e ferro fino a tre volte tanto i normali ceci.
Un crocevia di passato e futuro è anche la start up di Luca Bonafini. Quarant’anni, bresciano, ex monaco benedettino, nel 2016 ha aperto nella sua città un negozio che ha chiamato Lo Speziale, rifornendosi da 60 monasteri di tutta Europa (Camaldoli, Vallombrosa e l’abbazia di Praglia tra i più famosi) per rivendere ai suoi clienti, anche online, 700 prodotti divisi fra enogastronomia, cosmesi, artigianato e rimedi come unguenti e oli essenziali. L’iniziativa più unica che rara in Italia, si inserisce nell’alveo dello storico negozio romano Ai Monasteri di proprietà della famiglia Nardi. Una tradizione risalente al 1894, quando il capostipite, Domenico Nardi, medico e botanico, aprì un punto vendita (per decenni poi in Corso Rinascimento, nei pressi di Palazzo Madama) dove commercializzava prodotti naturali concepiti a partire dalle antiche ricette dei monasteri italiani. Ancora oggi i Laboratori Nardi si dedicano al loro studio e alla loro evoluzione.
«Come ex monaco – spiega Bonafini – ho voluto mantenere in qualche modo il cordone ombelicale e farmi tramite non solo di prodotti di qualità, ma di una cultura del vivere e di un modo di lavorare, profondamente ispirati dal Vangelo. Chiunque bussa alla porta di un monastero, dice la Regola di San Benedetto, deve essere trattato come se fosse Cristo stesso». Perciò, ricorda Bonafini, «il prodotto monastico ha anche una dimensione interiore e spirituale, un qualcosa in più che è difficile da spiegare. Soul food, cibo dell’anima, lo chiama qualcuno». In pratica, si potrebbe dire, il prendere dal creato (e quindi dal Creatore) ciò che serve ad aiutare le persone anche nel terzo millennio.