Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  aprile 08 Venerdì calendario

Periscopio

La storia si ripete sempre. Paul Morand.

La storia non si ripete mai. Vilfredo Pareto.

Alla Russia di Putin abbiamo dato in queste settimane 35 miliardi di euro per le forniture di gas, all’Ucraina di Zelensky abbiamo offerto un miliardo in aiuti militari per difendersi dalle bombe russe che i russi pagano (anche) con i nostri miliardi. La contraddizione è evidente: stiamo finanziando il nemico più di quanto facciamo con i nostri amici con un rapporto incredibile di uno a trentacinque. In questo paradosso è racchiuso il dilemma in cui si sta macerando, e avvitando, l’Italia non meno che gli altri Paesi europei gas dipendenti, cioè praticamente tutti. Alessandro Sallusti, Libero.

Ci chiediamo se il prezzo del gas possa essere scambiato con la pace. Cosa preferiamo davanti a queste due cose? La pace, o star tranquilli con il termosifone acceso, anzi ormai con l’aria condizionata accesa tutta l’estate? Questa è la domanda da porsi. Mario Draghi, iltempo.it.

«Dove sono le garanzie che deve dare l’Onu? Dove è la pace che il Consiglio deve costruire?» esordisce Zelensky gelando la platea [dell’Onu] alla quale chiede di cambiare pelle per essere efficace, oggi in Ucraina, domani in altri scenari. E in un nuovo schema la Russia deve essere rimossa affinché – dice – non possa più esercitare il diritto di veto. «Altrimenti potete anche chiudere». Alberto Simoni, La Stampa.

Dall’inizio della guerra tanti ucraini, dal capo del governo all’ultimo dei profughi, in cento dichiarazioni e interviste, ci hanno chiesto armi per potersi difendere. Da allora, il dilemma che abbiamo davanti non potrebbe essere più semplice e lineare: [gli ucraini vogliono essere armati] per impedire che le loro mogli e i loro mariti, i loro figli e i loro genitori facciano la stessa fine degli abitanti di Bucha, ed è una domanda cui si può rispondere solo in due modi, con un sì o con un no. Dire, come hanno fatto alcuni raffinati filosofi, politologi e geopolitologi, che dovremmo rispondere di no, ma per il loro bene, per non prolungare inutilmente le loro sofferenze, è persino più ridicolo che disumano (ed è molto disumano). Francesco Cundari, linkiesta.it.

Il fatto che ancora oggi si discuta tra gli storici se possano essere definiti «genocidio» quei lugubri eventi di novant’anni fa dovrebbe indurre Zelensky e i suoi a maneggiare con maggiore cautela la definizione degli atti criminali di cui attualmente sono vittime. Non hanno bisogno di far ricorso a parole che evocano altri misfatti del secolo scorso per risvegliare la sensibilità di chi segue la loro vicenda. Paolo Mieli, Corsera.

C’è lì un mostro novecentesco al lavoro. Non sarà Hitler, ne sarà soltanto un’imitazione sbiadita, ma certo non misura torture, stupri, colpi alla nuca, fosse comuni, saccheggi e deportazioni. Non è ridicolo prendersela con Zelensky perché non misura le parole? Pierpaolo Albricci, ItaliaOggi.

Vorrei indirizzare la mia protesta soprattutto contro quegli amanti e propugnatori della pace che, con straordinaria ristrettezza di vedute [mostrano] fastidio per i dettagli preliminari: chi abbia fatto questo o quello, e se ciò fosse o meno giusto. Essi paiono soddisfatti semplicemente affermando che una enorme calamità, chiamata guerra, è stata iniziata da qualcuno, o da tutti, e dovrebbe essere conclusa da qualcuno, o da tutti. G.K. Chesterton, La barbarie di Berlino.

Com’è difficile dire: Putin. Una strana forma di afasia, limitata all’impossibilità di sillabare un solo nome. Colpisce maestri dell’eloquio, principi della retorica, oratori infaticabili, capaci di parlare per ore ed ore senza il soccorso di un goccio d’acqua. Quattro per tutti, come i moschettieri: Silvio Berlusconi, Matteo Salvini, Beppe Grillo, Giuseppe Conte. Roberto Gressi, Corsera.

Spuntano dai cassetti (anche digitali) vecchi selfie sulla Piazza Rossa, e quello del Salvini con il Savoini, giustamente cliccatissimo, è forse il più romantico. Solo le persone più stagionate ricordano la Nathalie di Gilbert Becaud: la Place Rouge était blanche, / la neige faisait un tapis. La Piazza Rossa era bianca, la neve faceva un tappeto. Ormai anche i selfie, come le canzoni di Becaud, hanno la patina del tempo. Michele Serra, la Repubblica.

Esprimo [qui] un concetto elementare. Dato che la situazione in Ucraina sta precipitando trasformandosi in una carneficina immonda ad opera dei soldati inviati da Mosca, sarebbe stato meglio che sin dall’inizio del conflitto Zelensky avesse alzato bandiera bianca. Vittorio Feltri, Libero.

Dopo l’ultima sortita di Matteo Salvini («l’unico, vero leader italiano» secondo l’incoronazione ricevuta da Berlusconi) contro l’espulsione dei trenta diplomatici russi dall’Italia il centrodestra italiano ha semplicemente cessato di esistere. Francesco Damato, graffidamato.com.

Secondo i benpensanti atlantisti e i giornalisti a gettone, la Russia dovrebbe assistere muta (e magari anche grata) al proprio accerchiamento ad opera delle autoproclamate «forze del bene» made in USA, quelle che in Ucraina appoggiano forze dichiaratamente naziste. Diego Fusaro (Michele Brambilla, QN).

Vedo diffondersi, soprattutto sulla scia emotiva di questa guerra, un vetero-atlantismo di stampo fideistico che, unito all’oltranzismo bellicista, rischia di portare guai a noi e agli alleati. L’Europa deve avere una posizione chiara. Giuseppe Conte (da QN).

Un bambino può essere felice anche in una dittatura (Valentino Orsini, Cartabianca).

Chi ha la faccia da picio è un picio. Fruttero e Lucentini, Il palio delle contrade morte.

Papa Francesco «è disponibile» ad andare a Kiev se questo potrà servire a fermare la guerra. «Ma non so se si potrà fare, se è conveniente farlo, se è per il meglio o se devo farlo». [Pertanto] non c’è assolutamente niente di concreto: zero su zero. [Si teme] che il viaggio a Kiev possa rivelarsi un boomerang facendo irrigidire ancora di più la controparte russa. Non per niente in Vaticano si evita accuratamente di pronunciare la parola «Putin» in pubblico. C’è poi un discorso geopolitico. […] Nel continente africano, dove la Russia si sta espandendo a macchia d’olio, esistono tantissime missioni della chiesa cattolica, e la chiesa non vuole problemi. Stesso discorso per la Cina, che potrebbe a sua volta contrastare l’azione di evangelizzazione in Africa. Tutti rischi che Francesco non vuole correre. Marco Antonellis, ItaliaOggi.

C’è una sola cosa più difficile di dare l’esempio: seguirlo. Roberto Gervaso.