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 2022  aprile 07 Giovedì calendario

Ritratto di Macron

La notte del 7 maggio di cinque anni fa Emmanuel Macron attraversava il Carrousel del Louvre in una lunga e teatrale marcia solitaria carica di simboli per andare incontro al popolo che l’aveva eletto. Il più giovane capo di Stato della storia (dopo Napoleone) saliva al vertice della Quinta Repubblica che il generale De Gaulle aveva disegnato come una monarchia repubblicana negli anni tempestosi della guerra d’Algeria. Nell’aria risuonava l’Inno alla Gioia in omaggio all’Unione europea (la patriottica e bellicosa Marsigliese venne solo dopo il primo discorso) mentre sullo sfondo luccicava la piramide voluta da François Mitterrand, simbolo misterioso di razionalità ed esoterismo. Un «roi enfant», un re bambino, dissero allora i più diffidenti, saliva al soglio di Francia in una enigmatica messinscena di luci e di buio.
Il curriculum
Ma chi era esattamente Emmanuel Macron, 39 anni di Amiens, super dotato ex allievo delle alte scuole della Repubblica che nell’emblematico dibattito finale della campagna elettorale aveva letteralmente stracciato Marine Le Pen? Andando incontro ai militanti raccolti sull’Esplanade dello storico palazzo dei re di Francia, Emmanuel Macron incedeva vittorioso sulle rovine del paesaggio politico nazionale: raso al suolo il Partito Socialista e con esso la sinistra, dopo i cinque anni all’Eliseo di François Hollande; auto affondata nel penoso scandalo di una rimborsopoli famigliare del candidato François Fillon quel che restava della destra gollista uscita in frantumi dagli anni Sakozy.
Macron rappresentava dunque un inedito esperimento politico, a capo di un movimento costruito in pochi mesi, la «République En Marche» (la Repubblica in cammino), con un programma dichiaratamente «né di destra, né di sinistra», con candidati in gran parte giovani professionisti, esordienti in politica come il loro giovane leader. Macron non era mai stato eletto, fenomeno del tutto inedito nella politica francese, dove il cursus elettivo fin dalle più piccole istanze locali è costitutivo anche per il deputato più periferico. La sua vittoria nasceva dunque da uno stato d’animo nazionale antisistema, di rifiuto della politica tradizionale, dalla richiesta di rinnovamento della classe politica.
Il consenso per i «marcheurs» (i marciatori), come vennero chiamati i militanti del movimento, è stato qualcosa di molto simile a quello raccolto in Italia dal Movimento 5 stelle, con la differenza che il leader non era un comico ma un giovane tecnocrate dal brillantissimo curriculum: studi di filosofia all’università di Nanterre, allievo e assistente di Paul Ricoeur, poi allievo all’Ena e Sciences-Po, ispettore delle Finanze e infine ministro con Hollande presidente, dopo una parentesi nel privato alla banca d’affari Rothschild. Un marchio che gli vale come timbro della famigliarità con l’élite finanziaria internazionale, da una parte, dall’altra come certificato di appartenenza alla società dei più ricchi, che ha pesato enormemente nei momenti più difficili dei suoi cinque anni.
L’identità
Emmanuel Macron era e resta un «Ovni» (come i francesi definiscono gli Ufo) della politica, l’incarnazione di un «logiciel», un software, del potere che rifiuta ogni ideologia e si adatta alle circostanze. Il giovane presidente è stato l’incarnazione di un nuovo modello di leader cui era stata affidata la missione di battere la destra diventata populista dei Le Pen, leader globale e patriottico, liberale ma anche interventista in economia, secondo tradizione nazionale, però con la bussola europea sempre in vista: dopo la fatidica notte elettorale del Louvre il primo grande discorso da presidente, agli studenti della Sorbona, è stato dedicato all’Unione europea. E l’incessante duettare con Angela Merkel non è stato soltanto frutto della dovuta manutenzione dell’alleanza chiave nella politica europea, ma è valso anche come un’autocandidatura alla successione della leadership Ue declinante della cancelliera.
Emmanuel Macron ha interpretato il ruolo con energia, senza risparmiarsi nel dettagli della simbologia nazionale. Quando Vladimir Putin arrivato a Parigi per la prima visita ufficiale, lui gli ha fatto da guida a Versailles nell’esibizione della storica grandeur. Donald Trump è stato ospitato nella tribuna presidenziale alla parata del 14 luglio e di quel giorno resta in archivio la tenacia con cui ha anticipato la stretta di mano da saloon del vecchio west con cui il presidente americano era solito spiazzare i suoi interlocutori.
Nei cinque anni passati all’Eliseo ha avuto modo di mettere alla prova il suo «logiciel». Partito con l’ambizione di liberare il sistema caratterizzato da infiniti particolarismi, ha subito lo scontro più simbolico sulle pensioni, spezzettate in regimi di categorie piccole e grandi. Il no è stato frontale e aneddotico: dagli avvocati alle ballerine dell’Opéra, dagli attori agli insegnanti, ai ferrovieri, al personale sanitario. Ma il conflitto più duro, diventato emblematico della sua presidenza, è stato quello con i gilets gialli, nato dalla tassa «ecologica» sulle vetture diesel che ha fatto emergere una Francia profonda, impoverita e incattivita contro lo Stato che tagliava servizi e protezione, in un modello di governo che sembrava andare a beneficio solo dei privati, benestanti e cittadini, a cominciare dagli snob parigini. Una rivolta che ha diviso e ferito profondamente il Paese e che non si è tradotta se non sporadicamente in una nuova istanza politica. La pandemia e ora la guerra in Ucraina hanno fatto il resto. Il presidente, come nella sua natura ha avuto varie metamorfosi: capo guerriero e insieme leader protettivo, sempre pragmatico, capace di adattare il suo software alle circostanze, un presidente «camaleonte».
Le prospettive
Con ogni probabilità nel ballottaggio Emmanuel Macron si ritroverà di fronte Marine Le Pen, e se nel 2017 nessuno avrebbe scommesso un euro sulla vittoria dell’erede del carismatico Jean-Marie, storico duce dell’estrema destra, l’arcipelago della società francese appare più disunito. Se il «sistema» è con lui e con la sua idea di «Stato start up», che dirà il popolo? Dopo cinque anni Emmanuel Macron resta inafferrabile, «insaisissable», come scrisse Le Monde, e si trova ora di fronte a un paradosso politico: gli elettori di destra e quelli di sinistra si uniranno per battere il presidente che si è detto né di destra né di sinistra? —