La Stampa, 7 aprile 2022
Cosa c’è dietro il colbacco di Salvini
Dopo l’uscita filorussa di Salvini di martedì, in occasione dell’espulsione dall’Italia dei trenta dipendenti dell’ambasciata di Mosca, era interessante osservare ieri come leghisti di primo piano, a cominciare dal capogruppo alla Camera Molinari, si dessero da fare, fin dal primo mattino alla trasmissione Omnibus de La7, per smussare, ridimensionare, minimizzare la posizione del leader apertamente in rottura con la linea del governo.
Premessa: nulla che preluda a una messa in discussione della leadership salviniana, che non ha alcuna alternativa all’interno del partito, né riveli aspirazioni personali. Piuttosto è la difficoltà di trovarsi a gestire con i parlamentari e la base degli elettori l’andamento più che rock della linea del Capitano, determinato dall’incubo di recuperare in visibilità su Meloni.
Come si è visto durante la settimana dell’elezione del Presidente della Repubblica, in cui Salvini, autonominatosi plenipotenziario del centrodestra, è andato incontro alla sconfitta annunciata sul nome della Casellati, ha fatto sua prima che fosse matura l’ipotesi della Belloni e ha abbozzato sulla riconferma di Mattarella non prima di aver dato un mezzo sì a Casini, che gran parte dei Grandi Elettori leghisti non avrebbero votato. Analogamente la scelta di mettersi il colbacco putiniano è per la maggior parte di deputati e senatori qualcosa di inspiegabile. Nel partito si sa che il Gran Ciambellano dei rapporti con Mosca è il vicesegretario Fontana con la cellula veronese del Carroccio: ma che l’elettorato, specie quello storico nordista che ancora rappresenta lo zoccolo duro, sia entusiasta di vedere la Lega trasformata nel partito di Putin è tutto da vedere. Lo stesso vale per certe affermazioni di tradizionalismo cattolico che sempre a Verona hanno il loro laboratorio e in Fontana il loro sacerdote, ma non corrispondono alla matrice prevalentemente laica del partito. Salvini sa bene che è così ma, o lascia fare, o mostra di credere a queste torsioni del passato e del presente. Sapendo che prima o poi dovrà fare i conti con i risultati. —