la Repubblica, 7 aprile 2022
Intervista a Francesco Molinari
Maw-Lin-air-ee, per quelli che negli States fanno fatica a pronunciare il suo cognome. Nel mondo del golf tutti sanno di chi si parla: Francesco “Chicco” Molinari è il primo italiano ad aver vinto uno Slam, che nel golf si chiama Major, e dopo quell’Open britannico del 2018 ha trascinato la squadra europea a conquistare la Ryder Cup a Parigi. Nel Masters di Augusta è sempre un invitato di riguardo, in un’edizione che celebra il ritorno alle tradizioni cancellate dal Covid e l’apparizione di Tiger Woods dopo il terribile incidente d’auto e l’operazione alle gambe del febbraio 2021.
Molinari, com’è l’atmosfera ad Augusta?
«Quando gioca Tiger c’è sempre qualcosa in più al Masters.
Speravamo tutti noi giocatori che ce la facesse, vedremo come risponderanno le sue gambe alle sollecitazioni del campo».
La sua prima volta al Masters è legata a doppio filo a lui.
«Dicono che sono l’unico caddie ad aver vinto un Major da giocatore. È successo nel 2005, mio fratello Edoardo si era qualificato e io mi sono offerto di portargli i bastoni.
Eravamo abbinati a Tiger Woods, un’esperienza unica e sconvolgente. La prima volta che vedi Augusta è irreale, incredibile».
Quest’anno dopo due stagioni si ritorna al programma completo.
«La sensazione di un ritorno alla normalità, dopo due edizioni in tono minore. Negli Stati Uniti ci sono le vacanze dello spring break, e i giocatori sono accompagnati dalle famiglie. Molti hanno giocato il torneo Par3 ma i miei figli non sono interessati, quindi io mi sono preso un giorno di riposo in più».
Ormai gli Stati Uniti sono la sua base operativa.
«Viviamo a Santa Monica, in una piccola casa con giardino al confine con Los Angeles. A sette minuti dal mare, in spiaggia si può andare quasi tutto anno. L’oceano non è come il Mediterraneo, l’acqua è fredda anche d’estate, ma per dodici mesi l’anno vedi gente sul surf. Non io, ho paura che sia tardi per iniziare. Poi ci sono montagne a tre ore di macchina per andare a sciare, in questo la California è abbastanza simile a certe parti d’Italia. Si vive bene, il clima è fantastico. Con mio figlio Tommaso sono andato a vedere i Rams due mesi prima che vincessero il Super Bowl».
Sta diventando americano?
«Cerco di rimanere italiano, anzi torinese il più possibile, mi manca Torino dove siamo cresciuti mia moglie Valentina ed io. Ci torniamo ogni estate, in zona Corso Fiume-Gran Madre vivono i nostri genitori. Ci sentiamo profondamente europei. Però non nascondo che i nostri figli stanno crescendo in America e potrebbero voler restare».
Eppure fino a un paio d’anni fa lei era un simbolo degli italiani a Londra: cosa l’ha allontanata dalla Gran Bretagna?
«Da quando ho deciso di giocare di più sul tour americano mi sono chiesto che senso avesse rimanere lì, con me dall’altra parte del mondo e la mia famiglia da sola. Ci sembrava il momento giusto per partire, anche perché ci sarebbero state complicazioni con le scuole dei nostri figli. Londra offre molto per la cultura, ma il clima non è granché e gli spazi sono contenuti.
Negli Usa invece è più facile fare sport».
I problemi alla schiena dello scorso anno l’hanno fatta scendere al numero 185 del ranking: come sta adesso?
«Fisicamente sto bene, anche in questa prima parte del 2022 non ho avuto problemi, rispetto all’anno scorso un deciso passo avanti. Sto recuperando, come tecnica, preparazione mentale, mi manca solo l’abitudine a stare in alto in classifica».
A 39 anni è nel pieno della maturità.
«Attenzione, l’età nel golf si abbassa, ormai i primi dieci del ranking sono sotto i trent’anni. Ma penso di poter fare ancora qualche buona annata, e spero di aver già pagato il prezzo con gli infortuni dell’ultimo anno e mezzo. La voglia e le motivazioni non mi mancano».
Anche perché si avvicina la Ryder Cup a Roma nel 2023.
«Un anno e mezzo passa in fretta, ho ancora un po’ di tempo prima che inizino le qualificazioni, voglio farmi trovare nelle migliori condizioni. Sarebbe fantastico far parte dei dodici del team europeo proprio a Roma».
Ha scelto un preparatore molto speciale per questa fase della sua carriera.
«Sandro Donati mi aiuta da qualche mese, soprattutto nella gestione e nella metodologia degli allenamenti. L’ho conosciuto anni fa, sono sempre stato incuriosito dall’esperienza di altri sport che lui mi trasmette. È interessante sentire le sue opinioni, per cercare di migliorare le prestazioni».
Parlate mai di Schwazer?
«La sua storia la conosco molto bene, so tutti i problemi che ha avuto in passato, non per colpa sua. No, non ne parliamo mai. Ho letto il suo libro, e mi basta per capire quanto dolorosa sia stata questa vicenda per lui e Alex».