la Repubblica, 7 aprile 2022
Intervista a Fausto Brizzi
L’incontro con Fausto Brizzi a San Lorenzo, a Roma, per Bla Bla Baby – commedia (Eliseo e Rai Cinema, in sala da oggi con 01) in cui il bidello Alessandro Preziosi grazie a un omogeneizzato avariato acquista il potere di comprendere il linguaggio dei poppanti e ne approfitta per far breccia nel cuore della mamma single Matilde Gioli – è l’occasione per un bilancio con il regista su carriera e vita, a tre anni dall’assoluzione dalle accuse di molestie.
Come nasce il film?
«Da un’idea di mia moglie (Silvia Salis, vicepresidente vicaria del Coni dal 2021, ndr). Mi disse: “Non hai ancora fatto un film per bambini, perché non giri un Baby boss live?”. È stato un progetto dalla gestazione lunga. Abbiamo scannerizzato gli attori bambini, 5 coppie di gemelli, sono in versione digitale per tre quarti di film. Sogno un bimbo digitale candidato ai David di Donatello. Stiamo trattando per i remake in Spagna e Francia, pensiamo a una serie».
Avete scelto di uscire in sala, non su piattaforma.
«Crediamo nel pubblico delle famiglie, nel passaparola, nelle vacanze di Pasqua».
Un film live che sembra un cartoon. È un progetto inusuale.
«Sono impermeabile alle critiche, specie dopo gli anni dei film di Natale. L’unica che mi addolora è: “la solita commedia con i soliti attori”.
Stavolta non si potrà dire. Su questa scia scrivo con Franco Amurri il reboot di Da grande, il film con Renato Pozzetto. Stavolta quattro bambini diventano adulti in una notte: Enrico Brignano, Luca e Paolo, Ilenia Pastorelli».
Torniamo al rapporto con la critica e i cinepanettoni. Anzi, torniamo ancora più indietro.
«Dopo il Centro Sperimentale mi presero per un progetto alla Rai, allora c’era meno concorrenza. Per dieci anni ho sceneggiato gialli, la mia passione, ma dopo Natale sul Nilo non me ne hanno affidati più. Ora lavoro a una serie prodotta dalla francese Gaumont, Dieci piccoli indiani al Conclave, nella cappella Sistina».
Come arrivò ai film di Natale?
«Feci un casting con Neri Parenti, con Marco Martani. Entrammo nella squadra, ne abbiamo fatti dodici, sempre in giro per il mondo con Neri».
Uno dei pochi che le è rimasto vicino durante la vicenda delle accuse di molestie.
«Sapevo di essere sotto un’onda, avevo la coscienza a posto. Sarebbe passata. Neri è un fratello maggiore, mi ha allevato “a bottega”. Alcuni amici sono spariti, altri, come lui, sono rimastri, senza niente da guadagnarci».
Oggi qual è il bilancio?
«Non ho da recriminare, se non per come la vicenda è stata condotta mediaticamente. Avevo le armi per spegnere in un attimo. Si è chiusa bene e anche questo ha avuto rilevanza mediatica».
Cosa l’ha aiutata?
«Mi ha salvato il lavoro. Ho continuato a scrivere commedie, dopo quattro mesi ero sul set. Mi sono state vicine le donne che lavorano con me, in quel periodo dormivo a casa della mia montatrice. Poi mi ha salvato l’arrivo di Silvia, oggi mia moglie, mi ha dato stabilità sentimentale. Faccio molte cose, ma non sono più workaholic».
Cosa pensa di Will Smith e lo schiaffo agli Oscar?
«Ha fatto un errore. Ma penso che l’artista e la vita privata siano cose separate».
La sua vita è tornata come prima?
«Ho un equilibrio migliore, sono più diffidente. Allora temevo che ogni film fosse l’ultimo, ho riempito i prossimi tre anni di progetti».
Matteo Renzi, con cui ha lavorato, è stato un amico fedele?
«Super leale. La Leopolda è stata un’esperienza bella. Ho imparato che il mondo della comunicazione e la politica stanno andando a coincidere. Non è detto che sia un bene, è il crollo delle ideologie, il potere agli slogan. È una politica fatta da frontman. Ma è una esperienza che non farò più, voglio scrivere».
I cinepanettoni sono finiti?
«Erano legati alla necessità di ridere che tutti abbiamo e che oggi viene colmata, soprattutto tra i giovani, in altro modo, dai meme e TikTok.
Ridono fin dalla mattina accendendo lo smartphone».
È cambiato lo sguardo della società, certe cose non fanno più ridere.
«Come dice qualche mio collega, è difficile oggi essere scorretti. Ho recuperato il film di montaggio di Paolo Ruffini, Super vacanze di Natale, con nostalgia, perché la metà delle cose le avevo scritte io: il 90 per cento di quelle scene oggi sono sessiste, omofobe, vanno contro una categoria sociale o sono un’istigazione a delinquere. È un’Italia che non c’è più».
E menomale. Invece che fare battute sessiste o omofobe si può irridere il potere?
«È difficile perché la tv, penso a programmi come Propaganda live, arriva prima del cinema».
Le posso dire che non era affatto divertente la rappresentazione femminile nei cinepanettoni?
«Guardi, Maschi contro femmine già per il titolo non si potrebbe fare più.
Quando rivedo certe scene mi dico: ma davvero sono passate e facevano ridere?».
Lo pensa davvero o si riferisce al sentire comune?
«È cambiato anche il mio, di sentire.
Perciò faccio film per famiglie, La scorrettezza applicata all’infanzia funziona. Il duello tra il cucciolo e l’adulto che dice “ti butto dalla finestra” è scorretto. Ma fa ridere».