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 2022  aprile 07 Giovedì calendario

Il default russo ora è a un passo

La Russia si muove sempre più sull’orlo di un “default”, che scatterebbe nel caso in cui il Paese di Vladimir Putin non riuscisse a onorare il debito con gli investitori. A rendere più concreta tale eventualità è stata la decisione, annunciata lunedì dagli Stati Uniti, di impedire a Mosca qualsiasi pagamento da conti correnti in banche americane. Non a caso, per la prima volta dall’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio, il Cremlino non è stato in grado di far fronte in dollari, come contrattualmente previsto, ai pagamenti sulle obbligazioni attesi proprio per lunedì. Il regolamento è avvenuto in rubli, come ha ammesso ieri il ministero delle Finanze guidato da Anton Siluanov, sottolineando di ritenere «di aver adempiuto pienamente ai suoi obblighi». Nel dettaglio, Mosca ha pagato in valuta domestica l’equivalente di 649,2 milioni di dollari, suddivisi in oltre 550 milioni di rimborso residuo su un titolo da 2 miliardi scaduto lunedì, più interessi su un’altra obbligazione di durata fino al 2042.
Le principali agenzie di rating tra cui S&P e Fitch, prima di ritirare i giudizi sul debito russo per le sanzioni, avevano messo in guardia che un eventuale pagamento in una valuta diversa da quella prevista avrebbe potuto comportare un default. L’agenzia europea Scope, per esempio, in generale, considera «qualsiasi cambiamento dei termini contrattuali» di un’obbligazione come un evento che fa scattare un «default selettivo, soggetto all’analisi delle circostanze e al periodo di grazia». Con quest’ultimo termine, si intende quel mese di tempo in più, questo sì previsto dai contratti e appena partito, che la Russia ha ancora a disposizione per correggere il tiro e pagare in dollari. «A causa delle azioni ostili degli Stati Uniti – si legge in una nota di ieri – il ministero delle Finanze russo è stato costretto a coinvolgere un istituto finanziario russo per effettuare i pagamenti». Il fatto è che il giro di vite annunciato dal Dipartimento del Tesoro Usa ha impedito a Mosca di attingere ai conti in dollari detenuti presso la banca americana Jp Morgan, fino a pochi giorni fa appunto utilizzati per far fronte agli impegni sul debito in valuta estera. Con la decisione, gli Stati Uniti puntavano a costringere la Russia a ricorrere alle riserve domestiche di dollari, rimpinguate dalle esportazioni di petrolio e gas, sottraendole in questo modo al finanziamento del conflitto ucraino. Per ora, tuttavia, Mosca ha deciso di onorare il debito in rubli. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha precisato che «una situazione di default è teoricamente possibile ma sarebbe puramente artificiale. Non ci sono basi per un vero default».
Il quadro si chiarirà al termine del periodo di grazia, ma già ieri i prezzi dei cosiddetti “credit default swap” a un anno sulla Russia, strumenti finanziari che consentono di assicurarsi rispetto al rischio di fallimento, sono schizzati oltre 70 punti dai precedenti 60. Il caso di Mosca è particolare, perché un default non deriverebbe dalla mancanza di risorse per onorare il debito ma dal congelamento delle stesse a seguito delle sanzioni occidentali, via via intensificate per spingere il Paese al “cessate il fuoco”. Proprio ieri, il Financial Times ha rivelato che il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, ha ricoperto un ruolo cruciale nella decisione di bloccare buona parte delle riserve estere della banca centrale russa, oggi pari in tutto a 604 miliardi di dollari.
Secondo l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica, «i rischi di una crisi finanziaria diffusa in caso di default russo sono molto bassi», essendo il debito pubblico verso l’estero pari a poco più di 100 miliardi di dollari. Tuttavia, l’Osservatorio non esclude «gravi squilibri sul mercato energetico e dei metalli». L’ultima volta che Mosca è stata insolvente sui titoli domestici correva l’anno 1998. Per le obbligazioni estere, occorre tornare al 1918, quando Lenin ripudiò i debiti del governo zarista.